COSENZA «Non è facile vincere il pregiudizio, la gente non si fida, ha paure spesso infondate. Basta guardare queste famiglie per capire che non c’è niente da temere».
L’ultimo pensile della cucina è stato montato, l’appartamento è pronto e Pino Fabiano, direttore diocesano dell’ufficio Migrantes dell’Arcidiocesi Cosenza-Bisignano, si prepara a consegnare le chiavi di casa a Nifemi che ha 34 anni e viene dalla Nigeria. Dalla prossima settimana vivrà qui insieme a suo compagno e i loro due bambini di 8 e 3 anni, in attesa di ricongiungersi con il figlio maggiore, che di anni ne ha solo 12 ma purtroppo si trova ancora nel Paese africano in attesa che si sbroglino alcune questioni burocratiche. Nifemi lavora, segue un corso di italiano, sta anche studiando per conseguire la licenza media. Lei e il compagno sono arrivati nel 2017 sulle coste calabresi con le modalità dolorose e complicate ormai ben note, trasferiti poi alle porte di Cosenza, attraverso il progetto ministeriale Sai – sistema di accoglienza e integrazione – del Comune di Rovito, gestito dalla cooperativa Strade di Casa. Per una famiglia come la sua sarebbe stato difficile ottenere un contratto d’affitto, ma di fronte a un garante come don Cosimo, parroco della Chiesa della Santa Famiglia di Castrolibero, le porte – anzi i portoni – dei condomini si sono spalancati. La parrocchia infatti, ha aderito all’iniziativa “Allarga lo spazio della tua tenda”, un progetto di animazione territoriale per l’ospitalità diffusa curato dall’ufficio Migrantes.
«Dopo avere avuto la disponibilità dell’appartamento – dice il sacerdote – abbiamo chiesto ai nostri fedeli di supportare questa famiglia e darci una mano a trovare i mobili necessari per poterlo abitare: beh- sorride don Cosimo – si è scatenata una gara di solidarietà tale che con quello che ci hanno fatto avere potremmo arredare anche un altro alloggio». Il contratto di affitto avrà la durata di un anno, dopodiché verrà prorogato ma intestato a Nifemi e a suo marito, «che a quel punto potranno camminare sulle loro gambe – sorride don Cosimo – anche se la comunità di Castrolibero sarà sempre disponibile ad aiutare questa famiglia». È andata così anche per altri migranti, accompagnati e sostenuti nella difficile transizione verso lo status di cittadini italiani che passa necessariamente attraverso una residenza.
“Allarga lo spazio della tua tenda” è una potente metafora e nasce da un invito di Papa Francesco fatto nel settembre del 2015. «Rivolgo un appello alle parrocchie, alle comunità religiose, ai monasteri e ai santuari di tutta Europa – aveva detto il Pontefice – ad esprimere la concretezza del Vangelo e ad accogliere una famiglia di profughi». A Cosenza il progetto ha mosso i primi passi partendo dai famosi quattro verbi che sempre Papa Francesco ha rilanciato nel 2018 con il messaggio per la Giornata mondiale del migrante rifugiato: accogliere, proteggere, promuovere e integrare.
«Ci siamo soprattutto concentrati sui verbi promuovere e integrare – precisa Pino Fabiano – e abbiamo capito quante difficoltà ci siano lungo il percorso verso l’integrazione. Non basta lavorare, non basta avere un reddito, se poi non c’è una persona pronta a darti un alloggio in affitto perché non si fida di te. Bisogna vincere il pregiudizio, eliminare i muri. Questa è la nostra sfida». Le parrocchie di Cosenza e Rende hanno risposto con entusiasmo all’appello del Papa: in tre anni le chiese di Sant’Aniello, Loreto e Sant’Antonio prima e ora la Sacra Famiglia, hanno consentito a ben sedici migranti di avere un appartamento in affitto. Bilal e la sua famiglia (lui ha 17 anni ed è il secondogenito, Iaia è il più piccolo e ha un anno e mezzo) arrivano dalla Siria e grazie a questo progetto da oltre un anno vivono in una casa nel centro di Cosenza. Studiano, lavorano e provano a rendere sempre più concreto il loro sogno di aprire un piccolo ristorante. «Perché mia madre è una bravissima cuoca – sorride Bilal– e le piace moltissimo cucinare. Potremo lavorare tutti insieme e guadagnare quello che serve per stare bene».
«Siamo scappati dalla Siria nel 2012 – racconta – . Io e la mia famiglia siamo rimasti uniti nonostante le difficoltà che abbiamo vissuto. Quando dal Libano siamo arrivati in Italia eravamo disorientati e facevamo molta fatica a comunicare. La chiesa ci ha prima fatti sentire accolti e poi ci ha aiutati a trovare un lavoro e una casa. Ci sentiamo profondamente grati e riconoscenti».
Siamo solo all’inizio, chiarisce il direttore dell’ufficio Migrantes, «ci auguriamo che anche altre comunità possano sentire l’urgenza e comprendere la bellezza di allargare i propri spazi, perché nel momento in cui c’è accoglienza c’è sicuramente arricchimento, crescita e confronto senza fine».
Anche l’esperienza di “Casa di Nico” nasce dal desiderio di dare corso concretamente alle parole del Papa. Nico è il nome di un componente del gruppo adulti dell’Azione Cattolica della chiesa di Loreto purtroppo scomparso qualche anno fa. Era una sera d’inverno, era uscito a fumare una sigaretta ed aveva incrociato su una panchina lo sguardi di un ragazzo africano. Faceva freddo e lui aveva solo un giubbino e nient’altro. Non sapeva neanche dove avrebbe potuto trascorrere la notte. Bisognava fare qualcosa di concreto disse quella sera Nico ai suoi amici, bastava poco: una quota a testa per pagare un affitto e dare a giovani migranti la possibilità di riscattarsi dal dolore e dalla miseria. E i racconti di alcuni degli inquilini di Casa Nico sembrano ricalcare le tragiche ricostruzioni del film “Io Capitano” del regista Matteo Garrone. «Ho 22 anni, vengo dal Senegal e da quando sono nato ho visto sempre la guerra» dice Sadia Diaby. «Un giorno il mio migliore amico mi ha detto che sarebbe voluto partire per l’Italia. Ho chiesto a mio padre il permesso di poter partire anche io, lui mi ha detto no. Allora io ho detto va bene, rimango qui. Ma l’ho detto solo per farlo calmare. Poi ho fatto la mia valigia e la mattina dopo sono partito». Poi l’orrore del deserto attraversato ammassati su mezzi di fortuna, «guidavano come pazzi – ricorda – un amico è caduto, non si sono fermati, l’hanno lasciato lì». Infine il viaggio in mare verso le coste italiane: «Avevamo finito l’acqua, soffrivamo tutti, eravamo convinti di morire. Ci hanno salvato quando ormai avevamo perso tutte le speranze». Ricordi terribili, che per fortuna si fanno sempre più sbiaditi. Oggi Sadia gestisce insieme ad altri soci una piccola azienda che produce pasta fresca a Rogliano, una grandissima occasione di riscatto.
«Crediamo in questa via di integrazione perché è l’unica oggi possibile per una comunità civile» afferma Fabiano ripensando al progetto “Allarga lo spazio della tua tenda“. Tutti possono contribuire: «Per esempio mettendo a disposizione appartamenti gratuiti, se è possibile. Oppure proponendo canoni di affitto moderati. Dobbiamo smontare i pregiudizi, cambiare il modo in cui guardiamo gli altri. Accoglierli è il modo migliore per scoprire quanta ricchezza può nascere dall’incontro tra le culture» aggiunge il direttore dell’ufficio Migrantes. E le vacanze alle porte possono essere un’occasione per fare nuove esperienze di integrazione. «Quando l’ateneo di Arcavacata si svuoterà per le feste – spiega – resteranno negli alloggi tanti studenti universitari dei paesi latino-americani che non potranno fare ritorno a casa. Aggiungere un posto a tavola per loro potrebbe essere un bellissimo regalo, da fare e da farsi». (redazione@corrierecal.it)
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