Una trincea permanente. Con dentro uomini e donne quasi inermi. Questo sono oramai i Comuni e in particolare Sindaci in Italia. I “primi cittadini”, a capo di amministrazioni che rappresentano lo Stato nelle sue articolazioni territoriali, sono alienati, quasi abbandonati e spesso esposti al pubblico ludibrio, alla solitudine di fronte alla complessità amministrativa, alla burocrazia imperante, al fantasma dell’inchiesta giudiziaria o, meglio, di una falla in una procedura che possa trasformarsi in una crocifissione per “reati” anche di lieve entità. L’abuso d’ufficio diventato una spada di Damocle, un’ossessione che paralizza gli onesti e i competenti e giustifica l’inezia di incapaci e pavidi, e poi una miriade di compiti, di ruoli, di aspettative da soddisfare, di risultati da mostrare, in una corsa contro il tempo. Da soli.
Gli organi istituzionali sono indeboliti, esautorati ed espongono i primi cittadini a un rapporto diretto e perciò asimmetrico con le organizzazioni di rango superiore, dai ministeri, ai centri amministrativi, agli assessorati regionali, al Tar, ai vari consorzi ed enti di erogazione di servizi collettivi. I consigli comunali sono ormai svuotati in termini di funzioni e discussione, unico luogo dove i sindaci primeggiano seppur pagando lo scotto di rimanere unici responsabili dell’intero processo decisionale. I consiglieri percepiscono “gettoni” di presenza irrisori, un’onta che contribuisce a svilire il ruolo della rappresentanza politica, vera conquista della partecipazione democratica novecentesca. I partiti politici locali sono semi in-esistenti soprattutto nelle piccole realtà amministrative e quindi il personale politico è reclutato attraverso canali di autopromozione, di logica di gruppo/clan e di interessi organizzati di natura para o extra politica. La giunta, l’organo esecutivo dei comuni, è ormai ridotto all’osso, con pochi assessori, sostanzialmente senza stipendio nei comuni di piccole dimensioni e con impossibilità di scelta effettiva da parte dei sindaci stante il sistema elettorale che con le preferenze genera una logica giaculatoria. Chiude tristemente il cerchio per nulla virtuoso il dato mortificante del personale amministrativo carente, anziano, demotivato. Quanto viene descritto dai detrattori del servizio pubblico come una masnada pronta ad assaltare la diligenza statale è in realtà un esercito in rotta che lascia intere aree – geografiche e di politiche pubbliche – scoperte dall’intervento della politica. Insomma, molti i sindaci vagano spesso in una notte buia senza riferimenti: nessun partito, qualche consigliere regionale volenteroso, ovvero la cordata giusta quale interlocutori informali, cui si aggiungono le intemperanze di presidenti di giunta che sognano di essere governatori, come in Texas.
Ogni scelta genera ansia ed è potenzialmente foriera di conseguenze giudiziarie, civili o penali: ad esempio, chiudere le scuole anche se si alza lo zefiro, mentre sarebbe salutare mandare i bimbi nelle aule proprio mentre nevica, ché se una città si blocca per pochi centimetri di ghiaccio dipende da un sistema (anche comunale) di inefficace gestione dei trasporti. Tutto decentrato sulle esili spalle dei sindaci con comunicati che diventano un profluvio di burocratismo insensato e fitto di anonimi algoritmi che deresponsabilizzano la politica e allontanano i cittadini dalle istituzioni. Senza dipendenti pubblici, con pochi vigili urbani, con poche risorse materiali, a svolgere funzioni di autorità sanitaria, di sostegno alle politiche sociali, di sportello psicologico, di aiuto per la protezione civile, di ufficio di collocamento, di raccolta reclami e proteste…, il tutto per uno stipendio misero confrontato con le retribuzioni dei boiardi di Stato.
In Francia esiste il ministero de la ville, che è già un segno tangibile di attenzione, e le azioni urbanistiche sono consolidate, continue e coerenti sull’intero territorio nazionale, altro che autonomia differenziata. Ma il sistema pubblico è in fase di smantellamento consapevole: i dipendenti della Pubblica amministrazione sono poco più di 3 milioni, il dato più basso degli ultimi vent’anni, proprio mentre i parte dei fondi europei del Recovery Plan sono dedicati al miglioramento della capacità amministrativa, ma in un contesto in cui la politica di governo ha dimenticato platealmente il Sud. Rispetto alla vulgata da cinema accattone e da qualunquismo, i dati comparati indicano l’Italia fanalino di coda in termini di percentuale di lavoratori pubblici: 13,4%, meno di Francia (19,6%), Regno Unito (16%,) e Spagna (15,9%) e superiore però alla Germania (10,8%), un valore che non muta di proporzioni se consideriamo la popolazione residente. E a soffrire maggiormente sono in particolare le amministrazioni comunali, soprattutto quelle del Mezzogiorno. Rispetto alla vulgata e al mito diffuso ad arte da ambienti industriali e liberisti del nord, la carenza di personale investe i Comuni meridionali in forma significativamente maggiore. Lo ha rilevato la Fondazione Con il Sud: in particolare in alcuni comuni in Campania (Giugliano, Torre del Greco, Castellammare di Stabia, Napoli, Caserta, Casoria), Calabria (Catanzaro, Lamezia, Reggio Calabria, Cosenza), Sicilia (Catania, Gela, Messina, Trapani, Caltanissetta), Puglia (Foggia, Andria, Taranto, Barletta, Brindisi) e a Matera. Si tratta, cioè, di amministrazioni costrette a fronteggiare problemi sia in termini di erogazione di servizi proprio in ragione della ridotta disponibilità quantitativa e qualitativa del personale disponibile. Si pensi ai comuni interni ormai abbandonati ovvero a quelli costieri ove in estate la popolazione cresce in misura esponenziale senza però che le risorse umane facciano altrettanto. La situazione è dunque insostenibile soprattutto al Sud.
Il Pnrr non trova piena attuazione nelle regioni meridionali per scarso interesse del governo nazionale su politiche redistributive, per il ratto della Lega (nord) e per mancanza di personale e di figure professionali da utilizzare ad hoc, soprattutto nei piccoli comuni che sono impegnati a far fronte a “mille emergenze” quotidiane. Manca il 35% del personale. La migrazione interna è ancora attuale e unidirezionale con relativo spopolamento, svuotamento dei servizi oltre che delle abitazioni e del senso della Repubblica. La norma sulla possibilità di ottenere il terzo mandato per i sindaci dei comuni con popolazione oltre i 5.000 abitanti è solo un palliativo (la metà dei sindaci attuali è al secondo mandato), in un contesto di grande parcellizzazione amministrativa, affrontata senza coinvolgere adeguatamente e democraticamente le popolazioni (emblematica la forzatura della Regione Calabria che tenta di imporre ex legis, unico caso al mondo, l’unificazione di Rende e Cosenza). E mentre si discute di turismo delle radici, i borghi o, meglio, i paesi, muoiono. Senza risorse, senza dotazione ordinaria i sindaci maledicono il giorno della discesa in campo, ma tengono duro per senso di responsabilità. I sindaci, ultima speme. (redazione@corrierecal.it)
*Full Professor | Ph.D. Comparative Politics – Sapienza Università – Dipartimento di Scienze Politiche
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