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un anno di giudiziaria

“Testa del Serpente”, una costola di “Reset” e il primo sigillo sulla ‘ndrangheta confederata

Il vuoto di potere nei clan, le fibrillazioni e la sentenza. Per i giudici è certa «l’esistenza della Confederazione cosentina»

Pubblicato il: 30/12/2023 – 11:59
di Fabio Benincasa
“Testa del Serpente”, una costola di “Reset” e il primo sigillo sulla ‘ndrangheta confederata

COSENZA Le indagini svolte dalla Dda di Catanzaro, negli ultimi anni, hanno consentito di mettere in luce una evoluzione con conseguente sviluppo del fenomeno criminale nella città di Cosenza e nei territori limitrofi. Quelli che gli investigatori identificano come gli storici gruppi criminali si sarebbero consorziati al punto di istituire una “bacinella comune” alimentata dal fiume di danari ricavati dalle attività illecite: dal racket, all’usura, ai danneggiamenti, ai pestaggi, allo spaccio di ogni tipo di sostanza stupefacente, alla gestione del gioco d’azzardo». Una riorganizzazione, quella dei sodalizi gravitanti nella galassia criminale bruzia, naturale conseguenza del “vuoto di potere” creatosi sul
territorio dopo il processo “Nuova Famiglia” che, con gli arresti conclusi nel novembre 2014, «ridimensionava fortemente il gruppo “Rango-Zingari”, fino a quel momento egemone in virtù dell’alleanza con il gruppo degli “Italiani” collegati al gruppo “Ruà-Lanzino-Patitucci”. Da questo contesto, chi indaga prende consapevolezza della necessità di intervenire per interrompere l’equilibrio criminale dei clan e liberare il territorio dallo strapotere delle cosche. Una azione che si concretizza nell’operazione denominata “Testa del Serpente“, conclusasi con la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Cosenza il 18 luglio 2023.

Una costola di “Reset”

Molti identificano, dal punto di vista giudiziario, l’inchiesta “Testa del Serpente” come una costola della maxi inchiesta “Reset” che il primo settembre 2022 ha assestato un duro colpo non solo alla ‘ndrangheta cosentina ma anche a presunti colletti bianchi e politici. Tornando al procedimento di primo grado conclusosi a luglio, i giudici hanno esaminato con attenzione «il contesto criminale di riferimento» e osservato la presenza di «una fase di fibrillazione del sodalizio storico operante sul territorio cosentino, ovvero la cosca “Lanzino-Ruà-Patitucci” indicata come “gruppo degli Italiani‘ – già stigmatizzata con la sentenza Terminator 4 – che nel biennio 2018 – 2019 stringeva accordi con la fazione degli “Zingari” facente capo alla famiglia degli Abbruzzese detti “Banana” al fine di costituire un sodalizio criminale dedito alla commissione dei reati di usura, estorsione e spaccio di sostanze stupefacenti, previa spartizione del territorio tra i due clan». Questo è un passaggio importantissimo, cristallizzato nelle motivazioni della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Cosenza. Il riferimento dei giudici è ad uno dei temi più dibattuti tra accusa e difesa, nel corso degli ultimi processi celebrati contro la ‘ndrangheta cosentina, ovvero la presunta esistenza di una “Confederazione” della mala bruzia. L’ipotesi è sostenuta dalla Dda di Catanzaro. Tuttavia, sul punto, giova ricordare gli interventi di chi ha vissuto un passato criminale militando in uno o più fazioni dei clan cosentini. Come ad esempio Francesco Patitucci, ex capo del clan degli “Italiani“. Che nel corso di una udienza del processo scaturito dall’inchiesta “Bianco e Nero“, ha reso dichiarazioni spontanee sconfessando la tesi della presenza della “Confederazione” di ‘ndrangheta cosentina sostenuta invece con forza dal pentito Daniele Lamanna, secondo il quale «la Confederazione è stata attiva fino al 2014». «Non ne ho mai sentito parlare», ha sentenziato l’ex vertice della cosca degli “Italiani”.

I riflessi su “Reset”

Quanto messo nero su bianco dai giudici nella motivazione della sentenza del processo “Testa del Serpente” avrà naturali conseguenze sugli altri procedimenti in corso contro vertici e gregari dei clan. Il Collegio giudicante fa riferimento alla “Confederazione” quando annota: «Il portato istruttorio evidenzia l’esistenza della Confederazione che agiva per il tramite di Porcaro Roberto, figura di spicco della cosca Lanzino-Ruà-Patitucci nel periodo di riferimento e trait d’union delle due consorterie degli “Italiani” e degli “Zingari”». Non il “primo” riconoscimento dell’esistenza della consociazione criminale. «Abbiamo le prime tracce della nascita della Confederazione, della bacinella comune e della legittimazione degli Zingari all’epoca guidati da Franco Bevilacqua, detto “Franchino i Mafalda”», ha avuto modo di asserire – in qualità di testimone – il dirigente della Polizia di Stato Fabio Catalano. Chiamato a riferire, in aula bunker a Lamezia Terme, i dettagli del lavoro svolto nell’ambito dell’inchiesta “Reset”. (f.benincasa@corrierecal.it)

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