L’otto gennaio del 1921 il Simun lo depositò dentro una nuvola di polvere a Racalmuto, Agrigento. 103 anni fa. Leonardo si stropicciò gli occhi, riconobbe il luogo senza sbocchi sul mare in cui era atterrato, sempre deserto e sempre casa. Sorrise, pensò che il suo destino era quello di stare lontano dal mare, che un bagno in acque salmastre non lo avrebbe mai fatto. Provò a parlare e non ci riuscì, si accese una sigaretta e la voce si schiarì di un tono, gli uscirono di bocca parole malferme, azzoppate da un accento che subito gli divenne familiare. Raccolse un legno a forma di bastone e si ritrovò in un’aula, maestro elementare con un popolo bambino davanti. Interrogò quelli delle prime file e lanciò in aria un mozzicone, si accese un’altra sigaretta e comprese che tutto stava tornando indietro perché non c’erano abbastanza maestri elementari che con parole semplici, malferme, cariche di inflessioni dialettali, fossero in grado di svelare verità comprensibili, mostrare prospettive diverse, percorsi opposti a quelli sin lì seguiti. Cominciò a parlare al mattino e smise quando giunse la sera, tutta una vita in un solo giorno: spiegò che dall’angolo si poteva vedere tutto, che si poteva stare dentro l’acqua restando un’esistenza intera nel cuore del deserto. Alzò la mano nel buio, il Simun si abbassò, lo riprese a bordo e soffiò verso un altro deserto senza che nessuno se ne accorgesse.
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