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l’udienza

“Reset”, il controesame sul «monopolio» della mala cosentina nel gaming

Il luogotenente della Gdf di Reggio conclude il capitolo sul “gioco sporco”. Tutte le posizioni oggetto di analisi

Pubblicato il: 16/01/2024 – 15:38
di Fabio Benincasa
“Reset”, il controesame sul «monopolio» della mala cosentina nel gaming

LAMEZIA TERME Si torna in aula per una nuova udienza del processo ordinario scaturito dall’inchiesta della Dda di Catanzaro denominata “Reset“. Nell’aula bunker di Lamezia Terme, siede al banco dei testimoni il luogotenente Antonio Bruzzano in forza al Nucleo della Gdf di Reggio Calabria ed estensore della relazione sul “gioco sporco” per sottoporsi al controesame del collegio difensivo. Il tema è quello del gaming, considerato uno dei settori più floridi della mala cosentina. Slot e sale scommesse sarebbero state nelle mani dei clan che addirittura avrebbero imposto ai gestori dei bar quali e quante macchinette da gioco detenere e da chi prenderle in gestione. Il gioco, spiegano i magistrati antimafia, è uno dei core business della federazione criminale bruzia: «Attività estremamente redditizia che, se per un verso consente la realizzazione di ingenti guadagni, dall’altro, essendo caratterizzata da una costante movimentazione di enormi flussi di capitali, si presta agevolmente a fungere, da meccanismo di ripulitura del denaro “sporco”». Per queste ragioni «essenziali», la gestione del gaming sarebbe «divenuta monopolio della confederazione criminale operante sul territorio bruzio». Quattro i gruppi individuati: Chiaradia-Orlando; Manna-Gaudio; Reda; Carelli. Il settore, dunque, sarebbe chiuso «a soggetti non facendo parte della confederazione criminale egemone o, comunque, non orbitanti intorno a essa». L’accusa in aula è rappresentata dal pm della Dda, Corrado Cubellotti.

Il controesame

Il primo a prendere la parola è l’avvocato Matteo Cristiani difensore di Fabrizio Gioia. «Quest’ultimo è legato a vincoli di parentela con Drago Carlo e Drago Giovanni». Il teste ha riferito che «Fabrizio Gioia fosse deputato all’esecuzione delle attività di allocazione della apparecchiature da gioco e al recupero dell’incasso». L’imputato non è stato direttamente intercettato, ma captato mentre gli investigatori ascoltavano altre conversazioni, in una si parla del recupero di somme da gioco. Secondo l’accusa, «Carlo Drago è promotore del sodalizio e costitutore di una società di fatto denominata “GIOIA GIOCHI Srl” – di cui risulta formalmente legale rappresentante Fabrizio Gioia – deputata sia alla gestione diretta di sale da gioco ed agenzie di scommesse, sia di locazione di slot machine contenenti schede artificiosamente alterate». Le risultano rapporti tra Daniele Chiaradia e Gioia? «No». Con qualcuno dei Reda, «No».
E’ l’avvocato Cesare Badolato, legale di Mario Gervasi a continuare il controesame. Secondo l’accusa, l’imputato «pur senza far parte dell’associazione a delinquere, contribuiva concretamente alla conservazione, al rafforzamento ed al raggiungimento degli scopi del sodalizio di matrice ‘ndranghetista». Al centro dell’esame l’attività della “GECHI GAMES” che «piazzava presso sale giochi ed esercizi commerciali le slot machine, che venivano piazzate direttamente da Daniele Chiaradia e da Mario Gervasi». Il legale chiede se, uscito dalla società, il suo assistito abbia ottenuto una liquidazione, il luogotenente risponde di non averlo accertato. Nel 2013, Gervasi lascia la società e – nello stesso anno – Daniele Chiaradia è coinvolto in un procedimento penale. Ha verificato la media della dichiarazione dei redditi di Mario Gervasi? «No». Sui rapporti tra l’imputato e Mario Piromallo, il teste riferisce di non aver mai segnalato nulla.
Il controesame prosegue, uno dei legali di Ariosto Artese (non intercettato in via diretta secondo il teste) chiede al luogotenente di approfondire la circostanza oggetto di accusa. Il suo assistito è considerato dall’accusa «intermediario in una vicenda usuraria di cui rimaneva vittima E.S.». L’attenzione si sposta della concessione di un parcheggio. Nel corso delle attività d’indagine è emerso l’interessamento diretto di Roberto Porcaro ad un’attività di gestione di un parcheggio per autovetture nei pressi dello svincolo autostradale, per l’avvio della quale era necessario un coordinamento con Artese. «Tale coordinamento con Artese avveniva per il tramite di Carlo Drago».
L’avvocato Luca Acciardi, sempre per la posizione Ariosto Artese, chiede lumi su l’attività svolta da parte della Guardia di finanza. Il teste cita una richiesta estorsiva di Gennaro Presta nei confronti di una società che gestisce un call center a Rende, con Artese che sarebbe protagonista. Secondo il luogotenente «nella prima fase Ariosto Artese è vittima della richiesta estorsiva, poi si evince – dalle successive intercettazioni e i dati testimoniali – la sua vicinanza alla consorteria come detto anche da Roberto Porcaro». Ci sono dati esterni che confermano la vicinanza di Artese alla criminalità? «No». Intercettazioni? «No». C’è una conversazione nella quale Porcaro si lamenta con Artese «perché non si sarebbe mosso a dovere per ottenere un prezzo congruo per la gestione del parcheggio». Avete chiesto ai costruttori citati da Porcaro se Artese abbia avuto o meno un ruolo nella vicenda contestata del parcheggio? «No».
Sulla vicenda dell’estorsione a E.S., quest’ultimo è stato sentito da voi? «Si». Ha ammesso le responsabilità di Drago e Porcaro su questo specifico episodio? «Si». Di Artese non dice nulla però e allora perché lo accusate? «In quella fase l’attenzione non è stata posta l’attenzione su Artese».
L’avvocato Acciardi, si sofferma sulla posizione di un altro suo assistito: Andrea Reda. Lei dice che il gaming è controllato in regime di monopolio dalla criminalità organizzata, ha riferito che su Cosenza ci sono 50 operatori che si occupano del settore e che sicuramente pagano la criminalità. Sulla base di quale evenienze investigative? «Sulla base delle dichiarazioni dei collaboratori», risponde il teste. C’è una intercettazione dove un capo delle presunte cosche confederate parla del gaming? «No». Come fate a confermare il legame tra il gaming e la bacinella. Dal rapporto dichiarativo di «Colosso Angelo», che si pente prima dell’indagine “Reset”. Un altro collaboratore di giustizia, Luciano Impieri, parla di Andrea Reda. Il pentito decide di saltare il fosso quando è detenuto. Quindi apprende le notizie de relato? chiede il legale e il teste risponde: «Lo apprende direttamente in un periodo antecedente alle indagini». Sul collaboratore di giustizia, Silvio Gioia, l’avvocato Acciardi chiede: è stato mai imputato per un reato associativo? «No». Ha mai commesso reati con i 210 imputati di Reset? «No». E come fa a sapere delle cose di cui parla? «Ha conoscenze personali con i soggetti».
Sul presunto rapporto tra Daniele Chiaradia e Mario Piromallo (difeso dall’avvocato Luca Acciardi), quali sono le risultanze investigative? «Ci sono le dichiarazioni dei collaboratori Silvio Gioia e Violetta Calabrese». Avete mai censito una conversazione, intercettazione tra Chiaradia e Piromallo? «No».
Prende la parola l’avvocato Pasquale Naccarato per la posizione di Silvio Orlando. «Tra Orlando e Porcaro ci sono delle intercettazioni? «No». Tra Orlando e Piromallo? «No». Ha elementi investigativi sulla organicità di Orlando nell’associazione mafiosa? «No». Sono stati fatti accertamenti bancari sui conti di Orlando? «No, solo accertamenti di tipo reddituale».
L’avvocato Maria Rosa Bugliari per la posizione di Cristian Vozza. Considerato dall’accusa «uomo di fiducia di Daniele Chiaradia nel cui interesse opera in qualità di factotum». Il teste dice: «sono stati fatti accertamenti per fare emergere sperequazioni nei confronti dei soggetti per ottenere i sequestri». La legale chiede lumi sul rapporto di collaborazione di Silvio Gioia, «iniziato nel 2013». Riferisce rapporti diretti a Vozza? «Fa riferimento ad una conoscenza diretta, ma senza riferire delle sue attività economiche ma solo all’esercizio dell’usura». Sempre per la posizione di Vozza, prende la parola l’avvocato Filippo Cinnante. «Ha avuto modo di riscontrare rapporti telefonici tra Cristian Vozza e Silvio Gioia? «No». E con soggetti imputati o condannati per associazione mafiosa? «No». Sul gaming, ha mai monitorato rapporti, intercettazioni di Vozza con Silvio Orlando? «No, la gestione degli affari comuni venivano gestiti da Chiaradia che ha avuto contatti con Vozza».
Su Fabrizio Abate (difeso dall’avvocato Cinnante), il teste cita due telefonate avvenute con Carlo Drago. «Abate al pare di Fabrizio Gioia si occupava della gestione tecnica delle apparecchiature o locazione delle stesse». Ha riscontrato contatti di Abate con soggetti della criminalità organizzata? «No». L’unico dato riscontrato su Abate è l’omicidio del padre nel 2020? «Non è un dato di collegamento, ma utile a ricostruire il contesto».
Tocca all’avvocato Sarro per la posizione di Simone Greco, intercettato telefonicamente e in maniera indiretta. L’imputato è ritenuto vicino a Daniele Chiaradia. C’è una intercettazione che cita il teste e il riferimento è all’intervento tecnico di sostituzione di una scheda slot presso un cliente. Greco rispondeva riferendo che si era recato presso tale esercizio commerciale, ma aveva desistito nell’effettuare l’intervento tecnico, perché le slot machine erano occupate da alcuni giocatori, aggiungendo di aver avvisato il cliente, che sarebbe ripassato più tardi. «…gli ho detto che ci passavo dopo perchè ci stavano giocando ed erano…in tre macchinette, quindi gli ho detto passo dopo e te la vengo a montare, pure perchè lui se ne stava andando, poi passo e te la vengo a montare…». Sul punto, il luogotenente dice di non aver approfondito ulteriormente le attività di indagine sull’episodio. Ci sono rapporti tra Greco e collaboratori di giustizia? «No».
L’avvocato Aldo Zagarese interviene per Damiano Carelli. Quante intercettazioni sono riportate nella sua informativa su Carelli? «Circa una cinquantina». Quante slot risultavano in forza alla ditta Carelli? «Più di 300 apparecchiature da gioco per una attività e altrettante per l’altra attività. Il territorio di riferimento è l’Alto Jonio Cosentino e circa 50 apparecchiature che riguardavano Cosenza e Rende». Perché non riporta i dati nella relazione, se parla di monopolio di Carelli in provincia di Cosenza e nel Comune di Corigliano Rossano? «Sono state rilevate tutte le apparecchiature e poi è stato riportato solo il dato conclusivo, non quello percentuale». E sui rapporti tra Carelli e Francesco Morabito? «Parlavano di creare insieme un marchio». Vi fossero rapporti di contratto tra i due? «Una società richiedeva la comune intesa nelle dinamiche anche nazionale al settore del gaming».
L’avvocato Enzo Belvedere, si sofferma sulla posizione di Damiano Carelli. Da cosa rileva il presunto monopolio del Carelli sullo Jonio cosentino? «Sono stati estrapolati i dati forniti dalla banca dati investigativa del monopolio». Io le dico che è il 7% delle macchinette sullo Jonio Cosentino e non il 50%, i dati che le fornisco sono quelli estrapolati dal monopolio. «Il dato si riferisce a Corigliano Rossano, Sibaritide e Cariati», risponde il teste. Carelli viene definito promotore del sodalizio e creatore di una società di fatto, da cosa lo intuisce? «Abbiamo preso come riferimento alcuni punti gioco su Vibo Valentia per il quale è stato evidenziato il coordinamento tra Morabito, Mollica e Carelli». C’è una società di diritto tra Morabito, Mollica e Carelli, lo sa? «Non lo sapevo, immagino sia stata costituita dopo. Nel 2019 non c’era». Questo ipotetico cartello di aziende come si concilia con il principio di territorialità? «Io faccio riferimento al cartello di imprese per la provincia di Cosenza». Sui rapporti con Aloia Pierangelo? «C’erano rapporti contrattuali». Aloia era iscritto agli operatori di gioco? «Si evince una sua attività in questo settore».
Il legale di Francesco Reda, Belvedere, chiede lumi sulla verifica dell’attività dell’imputato. Il suo raggio d’azione è riferito ad un piccolo territorio o cercava sbocchi altrove? «Abbiamo monitorato le sue attività e prevedevano una espansione della sua attività economica, le sue società erano di recente costituzione. Riguardava quasi esclusivamente la provincia di Cosenza, l’area di Rende-Cosenza con proiezione in qualche piccolo comune». Sa se Reda utilizzava una doppia scheda nelle sue società? «Non è stata fatta verifica». Ci sono state centinaia di visite degli ispettori del monopolio e non mai è stato trovato nulla di anomalo? «Sia la Gdf e sia i monopoli hanno effettuato delle verifiche. Ma le alterazioni avvengono attraverso vani nascosti e sul posto non è possibile effettuare questi controlli».
Su Antonio Covelli (difeso da Enzo Belvedere) secondo il teste, c’è stata una attività «rispetto ai suoi rapporti con Chiaradia interessenza di natura economiche sul gioco». Per l’accusa, «gli esiti delle intercettazioni svolte hanno permesso di rilevare la delega a Covelli della gestione di una agenzia di scommesse a Rende». Che rapporti aveva e in quali società. «Era socio al 50% nella Top Club Srl con Chiaradia». Sa che attività svolgeva? «E’ uno dei soggetti che viene attivato per delle operazioni inerenti le slot machine». E’ lo stesso Antonio Covelli con dichiarazioni spontanee a chiarire il proprio ruolo. «La società Orchi Srl gestiva le sale a marchio Eurobet, all’interno della sala c’era la società Top Club di Chiaradia Daniele. Noi non potevano entrare e avere contatto con questa sala. La competenza di chi come me lavorava in quella sede era di “scassettare” le Vlt. Noi prelevavamo e versavamo le somme».
Ancora l’avvocato Zagarese, ma per la posizione di Antonio Carmine Policastri, ritenuto «uomo di fiducia di Carelli». Ha fatto accertamenti su eventuali rapporti contrattualizzati tra i due? «No».
Il controesame prosegue, tocca all’avvocato Tarsitano difensore di Aloia Pierangelo. Il teste introduce il lavoro eseguito. «Nelle conversazioni tra Aloia e Carelli Damiano, erano orientate sulla questione relativa alla identificazione dei luoghi di gioco. Non c’era esplicito riferimento alla attività di scommesse rispetto al gioco delle slot machine, spesso le due erano ospitate nelle medesime sale». Ha accertato che fosse supervisore delle slot? «No». Ha installato schede da gioco alterate? «No». Ha installato macchine dove state rinvenute schede contraffatte? «Non emerge». Il materiale investigativo è solo riferito alle intercettazioni? «Si».
L’avvocato Angela D’Elia sulla posizione di Francesco Papara. «Dipendente della società di Reda Andrea con un contratto formalizzato». Sull’imputato è stata riscontrata «una sperequazione incongrua rispetto alla sua successiva disponibilità patrimoniale». Aveva auto, immobili o conti intestati? «No».
L’avvocato Febbraio in difesa di Bruno Mollica. «Il suo gruppo era formato da Bruno Mollica e dal suo nipote Francesco Morabito, la loro società si occupava di noleggio di apparecchiature da gioco». Sui rapporti con la criminalità organizzata? «Nessun rapporto con membri della Locride e del Cosentino, l’unico rapporto era con Damiano Carelli».
Sulla posizione di Ines Red, interviene l’avvocata Angela Caputo. L’imputata è «titolare di un bar con all’interno delle slot di machine». Avete accertato schede alterate? «No».
E’ il turno dell’avvocato Gaetano Bernaudo legale di Giovanni Drago. Quest’ultimo avrebbe concesso un prestito ad usura. Ma «non siamo riusciti a quantizzarlo», dice il teste. L’avvocato cita un altro presunto episodio di usura. Anche in questo caso «non è stato possibile determinarlo». Sono cristallizzati incontri tra Giovanni Drago e un qualsiasi esponente dell’organizzazione criminale? «No, ma in una intercettazione ambientale dice di aver frequentato casa di Francesco Patitucci». L’incontro risale ai primi anni del 2000.
Spetta all’avvocato Antonio Quintieri, che assiste Remo Prete, proseguire il controesame. L’imputato è un dipendente di un bar, factotum dell’azienda. Con chi parla? «Quasi esclusivamente con Carlo Drago». Si parla di dolciumi nel periodo natalizio e pasquale? «Si parla di panettoni, a Pasqua di colombe». Ci sono controlli con soggetti di interessi operativo? «No». Qualche collaboratore di giustizia ne ha mai parlato? «No».

L’analisi sulla sperequazione

E’ il pm Corrado Cubellotti a chiedere al teste di riferire in merito al concetto di sperequazione, più volte richiamato dal collegio difensivo. «I dati che vengono presi a riferimento sono desumibili dalle dichiarazioni dei redditi dei soggetti per quanto attiene la capacità reddituale del soggetto stesso. Mentre per quanto riguarda la manifestazione della capacità finanziaria si procede con un accertamento che copre tutti gli aspetti della vita del soggetto, come ad esempio l’acquisto di auto, immobili o investimenti».
(f.benincasa@corrierecal.it)

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