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la vicenda oscura

La strategia stragista di ‘ndrangheta e Cosa nostra, 30 anni fa l’omicidio dei carabinieri Fava e Garofalo

Il 18 gennaio 1994 l’attentato a Scilla. Un duplice omicidio che si inserisce in un quadro più ampio, una strategia che ha segnato per sempre la storia d’Italia

Pubblicato il: 18/01/2024 – 10:51
di Mariateresa Ripolo
La strategia stragista di ‘ndrangheta e Cosa nostra, 30 anni fa l’omicidio dei carabinieri Fava e Garofalo

REGGIO CALABRIA Un duplice omicidio che si inserisce in quadro più ampio, all’interno di quella che spesso è stata definita «una delle pagine più oscure e dolorose della storia d’Italia», che ha visto la cooperazione di ‘ndrangheta e Cosa nostra per l’attuazione di una vera e propria strategia stragista. È in questo contesto che matura e si consuma l’efferato omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, trucidati trent’anni fa a colpi d’arma da fuoco in un agguato avvenuto sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria nei pressi dello svincolo di Scilla.

L’attentato il 18 gennaio 1994

Era il 18 gennaio 1994, Antonino Fava, 36 anni, di Taurianova (Reggio Calabria) e Vincenzo Garofalo, 31 anni, di Scicli (Ragusa) viaggiavano su un’Alfa 75 del Nucleo radiomobile di Palmi. Erano partiti dal carcere di Palmi per un servizio di controllo sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria, fino a Villa San Giovanni.

Ma poco dopo essersi immessi sull’autostrada notano subito un’auto sospetta, una Fiat Regata, che procede pericolosamente vicino alla loro, e con gli abbaglianti accesi. Lo segnalano alla centrale, ma pochi attimi dopo vengono affiancati e contro di loro vengono esplosi raffiche di mitragliatrice M12, stessa arma utilizzata altre due volte nel corso di altrettanti attentati a carabinieri. Fava e Garofalo non avranno scampo, moriranno sul colpo, e la loro auto, ormai priva di controllo finirà la sua corsa contro il guardrail.

Il disegno criminale di ‘ndrangheta e Cosa nostra

Per l’omicidio di Fava e Garofalo sono stati condannati all’ergastolo, sia in primo che in secondo grado, il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, esponente della cosca Piromalli di Gioia Tauro. Il loro ruolo, secondo la Dda di Reggio Calabria, sarebbe andato ben oltre quello dei semplici mandanti del duplice omicidio, ma l’attentato ai due carabinieri avrebbe contorni criminali per più ampi e precisi. Attentati, quelli a Fava e Garofalo e agli altri esponenti dell’Arma, avvenuti nei primi anni ’90, che rappresentano «la prosecuzione e il completamento della strategia stragista», come affermato dal procuratore aggiunto di Reggio Giuseppe Lombardo, che ha rappresentato la pubblica accusa nel corso del processo “‘Ndrangheta stragista”. Le fondamenta del processo si basano sull’assunto che vede «‘ndrangheta e Cosa nostra come un unico corpo, una cosa sola». L’organizzazione criminale calabrese, secondo la Procura reggina, «agì, attraverso le sue componenti apicali, d’intesa con quella siciliana» segnando per sempre la storia d’Italia con la strategia stragista, ossia un vero e proprio attacco alle Istituzioni. Ma intorno all’efferato omicidio, tassello di quello che secondo i giudici ha rappresentato una strategia ben più ampia, ci sarebbe ancora un velo da squarciare. «Una prosecuzione (della strategia stragista ndr) che era stata chiesta proprio da Giuseppe Graviano che, nelle intercettazioni in carcere con un altro detenuto, Umberto Adinolfi, e rispondendo alle domande del pubblico ministero di primo grado, dice che una determinata stagione stragista non si doveva fermare perché così gli era stato chiesto», ha detto Lombardo, nel corso della requisitoria del processo, ricordando la frase del pentito Gaspare Spatuzza, al quale Graviano, nel corso di un incontro nel bar Doney di via Veneto, aveva detto: «Abbiamo il Paese nelle mani perché gli accordi che dovevo concludere li ho conclusi. Però dobbiamo accelerare la strage dell’Olimpico perché i calabresi si sono mossi». «Infatti – ha detto ancora Lombardo – il 18 gennaio del 1994 i calabresi si erano mossi uccidendo Fava e Garofalo e quell’incontro tra Graviano e Spatuzza certifica che qualcuno ha chiesto un ulteriore colpo, un’ulteriore eclatante azione di violenza anche in questo caso nei confronti di militari appartenenti all’Arma dei carabinieri. Cinquantacinque ne dovevano morire in un colpo solo all’Olimpico. Quando Graviano troverà la forza di dirci chi gli ha chiesto il proseguimento della strategia stragista già in atto, avremo un ulteriore tassello di verità. La certezza che siamo in grado di spendere in questa sede ci consente di dire che qualcuno glielo ha chiesto».

La commemorazione

Questa mattina, in occasione del trentesimo anniversario dall’omicidio di Fava e Garofalo, i carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, alla presenza delle autorità civili, militari e giudiziarie, assieme ai familiari delle vittime, hanno ricordato i loro colleghi caduti nel vile attentato. La commemorazione ha avuto inizio a Palmi, presso la Concattedrale, con una cerimonia religiosa officiata dal cappellano militare Don Aldo Ripepi, per poi proseguire, con una deposizione di una corona d’alloro, presso l’area di sosta dell’autostrada prima dell’uscita di Scilla, dove fu perpetrato l’attentato e dove oggi si trova il monumento alla memoria dei due carabinieri.

«I militari e i familiari – si legge in una nota dell’Arma – non hanno mancato, anche quest’anno, di far sentire la loro presenza, a testimonianza dell’inscindibile vincolo che lega nel tempo i militari in servizio, i commilitoni caduti nell’adempimento del dovere e le famiglie che hanno perso i loro cari». (m.ripolo@corrierecal.it)

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