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È bagarre sul Teatro di Roma, Pd all’attacco

Schlein: per Meloni la cultura è solo poltrone. E il caso finisce in Parlamento

Pubblicato il: 21/01/2024 – 19:57
È bagarre sul Teatro di Roma, Pd all’attacco

ROMA «La destra al governo, nazionale e regionale che sia, ha sempre e solo la stessa ossessione: occupare poltrone». L’affondo della segretaria del Pd Elly Schlein mette il sigillo sulla bagarre politica scoppiata attorno alla nomina di Luca De Fusco alla direzione generale del Teatro di Roma: una decisione assunta ieri dal Cda della Fondazione alla presenza dei tre componenti indicati da Regione e ministero della Cultura, assenti il presidente, Francesco Siciliano, e la consigliera indicata dal Comune, Natalia Di Iorio, e da subito bollata dall’opposizione come nuovo blitz dell’esecutivo Meloni sulla cultura. «Abbiamo superato il livello di allarme», rincara oggi la dose Schlein. Tutto regolare, ribadisce da FdI il responsabile Cultura Federico Mollicone, che parla di nomina «legittimata dagli organi di controllo e da urgenze di bilancio».
Il caso approda in Parlamento: proprio il ruolo che Mollicone avrebbe svolto nella vicenda spinge i dem ad annunciare un’interrogazione urgente al ministro Sangiuliano, mentre il sindaco Roberto Gualtieri si prepara a impugnare la delibera. Siciliano torna a puntare il dito sulle modalità della nomina di De Fusco, con una “delega in bianco” assegnata a un componente del consiglio – a dispetto delle sue prerogative di presidente – per definire i dettagli del contratto e soprattutto il compenso nel neo dg, «150mila euro, oltre ai compensi per le regie)»: una cifra «esorbitante» e «quasi triplicata rispetto ai “68mila euro» finora percepiti da de Fusco allo Stabile di Catania. «Ho invitato tutti i consiglieri e i sindaci ad intervenire e a desistere dal proposito sopra descritto, altrimenti saranno valutate tutte le azioni conseguenti», avverte Siciliano.
«Ci opporremo in tutte le sedi a questo atto di prepotenza inaccettabile», ribadisce Gualtieri. «È stata una scelta di responsabilità assolutamente legittima», replica il vicepresidente del Teatro, Danilo Del Gaizo, indicato dalla Regione Lazio. «La Fondazione non può funzionare senza un direttore generale», sarebbe «monca senza l’organo amministrativo e anche di conduzione artistica, più importante». Tutto regolare anche per Mollicone, che mette nel mirino la gestione Siciliano: «Per colpa sua il Teatro di Roma è in esercizio provvisorio e sta rischiando di perdere il finanziamento ministeriale, senza il quale non sarebbe possibile l’equilibrio di bilancio. Pertanto la nomina, dato l’atteggiamento riottoso dei rappresentanti del Comune, è stata decisa in via urgente dai soci», sottolinea l’esponente FdI, rivendicando per sé, in qualità di «prima carica istituzionale nel settore culturale del Parlamento», «il compito di vigilanza, insieme alla commissione Cultura, su tutti i teatri Stabili e le istituzioni culturali».
Un ruolo contestato dal Pd, che con Matteo Orfini accusa Mollicone di «ingerenza indebita» e con Irene Manzi di aver «commissariato Sangiuliano». Nella lettura dei dem, l’esponente di Fratelli d’Italia si sarebbe imposto sul ministro, che avrebbe invece potuto appoggiare il nome di Onofrio Cutaia, attuale commissario del Maggio Fiorentino, per liberare una casella per Carlo Fuortes, l’ex Ad della Rai rimasto senza incarico dopo che la sua nomina al San Carlo è stata bocciata dalla magistratura. Nello scontro di queste ore scendono in campo anche artisti e attori: da Matteo Garrone a Lino Guanciale a Elio Germano, da Maddalena Parise a Vinicio Marchioni firmano una lettera aperta a sostegno di una scelta condivisa per il Teatro di Roma, mentre un presidio di lavoratori, guidato dall’assessore alla Cultura del Campidoglio Miguel Gotor davanti al Teatro Argentina, annuncia un’assemblea e iniziative di mobilitazione.
Dal sottosegretario Vittorio Sgarbi arriva invece una proposta: «De Fusco chieda di essere votato da tutto il cda: un contropiede limitatamente rischioso, rispetto allo schema di prepotenza che è stato rappresentato. Così la sua direzione è mutilata e minacciata. De Fusco, per la sua storia, non vale meno degli altri candidati, politicamente, più che culturalmente, a lui contrapposti». (Ansa)

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