Le radici del veleno separatista che farà scomparire l’Italia come Stato unitario nato nel 1861 vanno ricercate principalmente nella riforma del titolo V della Costituzione approvata in via definitiva col referendum del 7 ottobre 2001 e contenuta nella legge costituzionale del 18 ottobre 2001 n. 3.
In quel referendum, che è stato determinante per le sorti della Repubblica e dell’unità del paese, andò a votare soltanto il 34,1 % degli aventi diritto, cioè 16.483.530 elettori sul totale di 49.462.222. Votarono SI 10.433.574, votarono NO 5.816.526. Quella trasformazione epocale della nostra Repubblica è stata decisa da un italiano su cinque.
L’affluenza alle urne fu bassa dovunque, bassissima nell’Italia Meridionale su cui era prevedibile si sarebbero abbattuti gli effetti più negativi di quella sciagurata riforma; effetti che il ceto politico e la maggioranza degli stessi intellettuali meridionali scoprono oggi, con molto ritardo, quando l’irreversibilità del tempo ed il succedersi degli eventi non consentono più la redenzione dal peccato.
La riforma del 2001 fu presentata come necessaria nel processo di trasformazione dello Stato e di allargamento della partecipazione delle comunità locali e regionali alle decisioni che le riguardavano (già incardinate nelle leggi Bassanini) ma anche come scelta per fermare le mire secessioniste della Lega Nord. Essa avrebbe dovuto mettere a tacere le crescenti istanze separatiste delle Regioni più ricche e salvare l’unità del paese. Invece l’effetto prodotto è stato il contrario e non era difficile prevederlo perché in quella legge di riforma costituzionale lo Stato unitario arretrava e le istanze autonomistiche-separatiste avanzavano mettendo il grimaldello nelle mani di coloro che programmavano, in superficie e sottotraccia, la rottura dell’unità politica, economica, sociale dell’Italia. Tra gli incapaci a capire quale era il futuro prossimo a sorgere vanno annoverati tutti i leader della sinistra del tempo.
Il fondamento giuridico-costituzionale del separatismo regionale risiede proprio in quella riforma del 2001, figlia della terza Bicamerale e del progetto di legge Amato-D’Alema del 1999. Nel testo della riforma il primo comma dell’originario articolo 114 della Costituzione “La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni” è stato sostituito da una strana formulazione nella quale lo Stato viene elencato per ultimo tra gli organi costitutivi della Repubblica. Esso recita “La Repubblica è costituita da Comuni, Province, città metropolitane, Regioni e Stato”.
In questa separazione concettuale ma sostanziale tra Repubblica e Stato, quest’ultimo viene considerato quasi organo residuale per competenze, poteri, decisioni. Da questa premessa discendono le modifiche sostanziali contenute nei successivi articoli del novellato titolo V, dal 115 al 133, particolarmente negli articoli 115,117,118 con i quali vengono tolti allo Stato ed assegnati alle Regioni potestà legislativa, organizzativa e di spesa su materie fondamentali per l’unità di una nazione.
In un mio libro del 2019 dal titolo “Perché il sud non è una polveriera” (Edizioni Erranti, Cosenza) rilevavo come qualche anno prima di quella riforma costituzionale, era il 1997, un Presidente della Camera, Luciano Violante del PDS considerato giurista di fama, aveva legittimato e consentito che il gruppo parlamentare della Lega Nord guidato da Bossi venisse registrato come “Lega Nord per l’indipendenza della Padania”, denominazione che conteneva in sé la rottura dell’unità nazionale, in aperta e plateale violazione della Costituzione, perciò da respingere. Proprio da allora la Lega, come la veccia talpa, ha continuato a scavare usando or l’uno or l’altro alleato di Governo. Così oggi siamo arrivati al punto di non ritorno e la secessione delle Regioni ricche, mascherata come autonomia differenziata, è dietro l’angolo.
Dunque l’autonomia differenziata ha dei “padri ignoranti” e dei “padri coscienti”. I primi sono tutti quei politici di sinistra che hanno pensato, scritto e poi approvato la riforma del titolo V della Costituzione (Amato, D’Alema, Bassanini, Violante ecc.) i quali non sapevano quel che facevano, cioè non si resero conto che stavano aprendo le porte alla Lega Nord che ancora oggi continua ad avere uno Statuto al cui art. 1 vengono indicati i confini sud della Padania-Stato che sono quelli della Toscana, dell’Umbria e delle Marche. Ma la storia dirà che tra i padri ignoranti vanno annoverati anche quelli che oggi (F.d.I.) barattano l’unità del paese e l’abbandono del Mezzogiorno con il premierato ed il bavaglio ai giudici.
I secondi- padri coscienti– sono invece i leghisti, da Bossi a Calderoli e Salvini, che cambiando alleanze di governo e simulando ipocrisie di ogni genere (come il mito del Ponte sullo stretto di Messina), sanno far approvare l’uso della corda anche all’impiccato. Tra i padri ignoranti, con minore responsabilità, vi sono anche tutti quelli che nel 2001 non andarono a votare convinti che si trattasse di un referendum qualsiasi, privo di importanza per la propria vita; ancora più responsabili quei milioni di meridionali che votarono SI a quel referendum popolare confermativo della revisione costituzionale, tenutosi in quell’infausto giorno del 7 ottobre 2001, che non capirono di che si trattava o lo fecero per cieca obbedienza ad un partito e che ancora oggi continuano a dare consensi a coloro che hanno deciso di dividere l’Italia ed abbattere sul Mezzogiorno una tegola mortale. Forse ci sarà un altro referendum ma sperare in una loro resipiscenza mi sembra vana illusione.
*docente e scrittore
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