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la protesta

I sindaci del Sud in piazza a Bari e Roma contro il Ddl Calderoli

Cinquanta sindaci del Mezzogiorno sfileranno per dire no all’autonomia differenziata

Pubblicato il: 08/02/2024 – 10:34
I sindaci del Sud in piazza a Bari e Roma contro il Ddl Calderoli

ROMA A Bari il 9 febbraio e a Roma il 16 saranno organizzate manifestazioni contro il ddl Calderoli. Aderiscono i sindaci del Sud, pronti a sostenere anche i lavoratori che incrociano le braccia contro il progetto di autonomia differenziata. Cinquanta sindaci del Mezzogiorno e lo scrittore Pino Aprile, presidente onorario dell’intergruppo parlamentare Sud, si uniscono all’appello dei sindacati unitari di base, che chiede di organizzare uno sciopero nelle scuole. I primi cittadini del Mezzogiorno aderiscono purché “siano realmente coinvolti anche gli altri sindacati oltre ai Cobas”. D’altronde la rete Recovery Sud sostiene anche la manifestazione indetta da Cgil e Uil a Bari per il 9 febbraio: in piazza anche il sindaco Antonio De Caro, presidente Anci, e la neoeletta sindaca di Foggia Maria Ida Episcopo. Hanno dato la loro adesione Giovanna Bruno, sindaca di Andria, e Mosè Antonio Troiano, sindaco di San Paolo Albanese, nominati vicepresidenti dell’Associazione Sindaci del Sud Italia, insieme a Nicola Fiorita, sindaco di Catanzaro, Vito Fusco, sindaco di Castelpoto, Maria Grazia Brandara, sindaca di Naro. L’associazione ha deciso anche di aderire alla manifestazione nazionale davanti al ministero della Coesione, indetta dal presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. La Segreteria Nazionale dei Sindacati unitari di base ha redatto intanto un documento in 8 punti, l'”Appello per un grande sciopero unitario contro la regionalizzazione della scuola” diretto a Flc-Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola Rua, Gilda, Anief e a tutte le OOSS del settore. Si dice, in sintesi, “No all’Autonomia Differenziata che frammenta e spezza l’Italia, perché: 1. esalta le disuguaglianze fra Nord e Sud, che sono già le più profonde e durature del mondo, all’interno di uno stesso Paese; 2. frammenta la formazione scolastica, legando l’offerta nazionale dell’istruzione obbligatoria non al diritto di cittadinanza, ma alla ricchezza dei territori, favorendo così i più ricchi. “Con l’attuale situazione di sfacelo generale degli istituti, per il 90% non in regola neanche con le norme su igiene e sicurezza (il cui rispetto grava proprio sugli enti locali), cosa potrebbero più garantire le regioni più povere, prive di mense e laboratori e nelle quali spesso non è mai partito il tempo pieno? Le Università del Sud rischierebbero di chiudere e le scuole (già piene di problemi) diventerebbero un cronicario didattico. L’alternanza scuola-lavoro, intesa come mero apprendistato aziendalista, ne uscirebbe dovunque rafforzata ed ulteriormente distorta”. 

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