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‘Ndrangheta, le “autoaccuse” dei pentiti. «Le auto di Arturo Bova bruciate per vendetta»

Nelle carte dell’inchiesta della Dda di Catanzaro anche gli episodi risalenti al 2014 e il 2015 e le dichiarazioni di Santo Mirarchi e Turi Danieli

Pubblicato il: 26/02/2024 – 15:17
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta, le “autoaccuse” dei pentiti. «Le auto di Arturo Bova bruciate per vendetta»

CATANZARO Due episodi di evidente matrice mafiosa, risalenti al 3 aprile del 2015 e al 16 gennaio 2016, deliberati dalla cosca di ‘ndrangheta “della montagna”, i Bruno di Vallefiorita. Nel mirino Arturo Bova, ex consigliere regionale nonché ex presidente della commissione regionale anti-ndrangheta. Due episodi di cronaca che, all’epoca, fecero scalpore e che alzarono il livello di attenzione degli inquirenti ma che dietro celavano scenari complessi sui quali la Dda di Catanzaro, negli anni, ha cercato di far luce. È uno dei tanti episodi ricostruiti dagli inquirenti e confluiti nel faldone dell’inchiesta “Scolacium” che, qualche giorno fa, ha portato all’arresto di 19 persone finite poi in carcere e altri tre ai domiciliari.

I pentiti

A fornire dettagli chiave sono stati, però, due collaboratori di giustizia, Santo Mirarchi e Salvatore “Turi” Danieli. Il diktat era chiaro: l’autovettura dell’avvocato Bova doveva essere incendiata. E l’incarico fu affidato “dagli amici” a Nico Gioffrè, almeno per un episodio. «È stato lui ad accennarmi che, precedentemente, il padre di Bova che aveva un oleificio o comunque vendeva olio, prima pagava e adesso non pagava più il dovuto a Natale, Pasqua e Ferragosto. Devo precisare che questa versione mi è stata riferita da Gioffrè come fosse un suo pensiero, una sua supposizione che lui si dava come spiegazione di questo favore che gli era stato chiesto dalle “famiglie”». In un altro interrogatorio, riportato nella richiesta dalla Dda avanzato al gip di Catanzaro, Mirarchi riferisce di alcune «frizioni sorte tra le “famiglie” di Vallefiorita ed Amaroni e quella di Borgia, con riguardo a chi dovesse gestire l’estorsione ai danni di una ditta che avrebbe dovuto effettuare dei lavori nell’area territoriale ricadente nei comuni di Vallefiorita, Girifalco e Amaroni, ma che si era insediata – come base logistica – presso un capannone ubicato nel territorio della località Germaneto di Catanzaro». Mirarchi aggiunge, poi, che alle elezioni regionali del 2014 «non aveva incontrato più Arturo Bova», all’epoca difensore del fratello Vitaliano.               

«Aveva allontanato i clienti dal mio bar»

Ancora più significative le dichiarazioni di “Turi” Danieli. A cominciare dalla conferma in merito alla “deliberazione” delle famiglie della montagna. Poi si attribuisce il ruolo di mandante degli atti intimidatori. Secondo Danieli, infatti, «Bova avendo persuaso la sua clientela dal recarsi presso il bar-pizzeria da lui gestito ad Amaroni» aveva cagionato un’evidente diminuzione del volume d’affari. Secondo il pentito inoltre «Bova avrebbe agito così nel momento in cui aveva capito che Danieli non avrebbe appoggiato la sua candidatura politica per le elezioni regionali del novembre 2014». Ma non è tutto. Nel suo racconto il collaboratore Danieli spiega che «avrebbe deciso di incendiare l’autovettura, incaricando per l’esecuzione Simone Bevilacqua, corrispondendo la somma di 1.000 euro, precisando però di non conoscere nel dettaglio come poi questi avesse posto in essere l’azione delittuosa e se avesse inteso coinvolgere altre persone». Danieli ha spiegato poi di «aver appreso che l’avvocato Bova si era recato a Roccelletta di Borgia, esternando i suoi sospetti nei confronti del Danieli circa il danneggiamento subito, chiedendo loro di compiere un’azione ai danni di quest’ultimo. In conseguenza di ciò, Danieli decideva di fare incendiare nuovamente l’autovettura di Bova, e in questa circostanza affidava l’incarico a Mirarchi Santo».

I voti dalla comunità rom e dai clan

Dalle dichiarazioni di Santo Mirarchi, però, emergono altri dettagli riportati nella richiesta dalla Dda. E riguardano ancora Arturo Bova e le elezioni regionale del 2014. I due – come racconta il pentito – si sarebbero incontrati nel corso della campagna elettorale. In quell’occasione, Bova aveva preso in affitto un locale in Catanzaro Lido, a piazza Anita Garibaldi, a poca distanza dal suo studio legale, adibendolo a segreteria elettorale. I due si sarebbero incontrati in più di un’occasione già agli inizi del 2014: frequenti sarebbero state le visite dell’avvocato presso il capannone di Mirarchi, ma anche incontro casuali in un bar di Catanzaro. «In effetti – scrivono gli inquirenti della richiesta – tali incontri erano avvenuti, almeno 5 o 6 volte e in quelle occasioni Arturo Bova avrebbe chiesto a Mirarchi di impegnarsi a raccogliere voti in suo favore presso la comunità rom di Catanzaro dove risultava ben inserito, sia per questioni di parentela che lavorative». Così come ricostruito dall’accusa, la stessa richiesta era stata ribadita, nel periodo più prossimo alle elezioni, «presso il comitato elettorale dello stesso Bova, a Catanzaro Lido. In una delle visite dell’avvocato al capannone di Mirarchi – scrivono gli inquirenti – si era avuta la presenza anche dello “zio” acquisito di quest’ultimo, Cosimino Abbruzzese, alias “U Tubu”, il quale aveva confermato anche la propria disponibilità a procacciare preferenze per Bova presso la comunità rom».

«2mila euro per i voti»

Bova otterrà un ottimo risultato elettorale e un posto in Consiglio regionale e così – come scrivono gli inquirenti – l’avvocato neoconsigliere avrebbe «invitato Mirarchi presso il proprio studio legale donandogli la somma di 2.000 euro, come ringraziamento per l’impegno profuso, avendo riscontrato i molti voti raccolti nei quartieri di residenza della comunità rom. Allo stesso modo il legale riferiva di aver regalato un “pensiero” della stessa natura allo zio di Cosimino “Santino” Abbruzzese». Nel corso dell’interrogatorio reso ai pm il 17 giugno 2016, Mirarchi aveva ribadito «la richiesta che gli sarebbe stata avanzata da Arturo Bova» precisando peraltro di essersi «effettivamente impegnato a procacciare voti in favore del professionista nella sua cerchia di parenti, amici e conoscenti». Mirarchi poi aveva confermato «di aver ricevuto, a conclusione della campagna elettorale, la somma di 2mila euro per l’impegno profuso» e solo dopo che lo stesso Bova «aveva opportunamente controllato e verificato le preferenze ottenute nelle sezioni ubicate nei quartieri di Catanzaro con una elevata presenza di elettori di etnia rom».

La piena consapevolezza

Secondo la Distrettuale antimafia di Catanzaro «è dimostrata la piena consapevolezza di Arturo Bova del contesto criminale dell’area in cui lo stesso vive e opera professionalmente». E ciò emergerebbe anche dalle intercettazioni telefoniche effettuate proprio sull’utenza dell’avvocato. Bova, in particolare, prende le distanze dai “Bruno” e da Luciano Babbino. Con diversi interlocutori, sostiene che sia quest’ultimo «a condizionare i risultati delle elezioni a Vallefiorita, nella cui amministrazione comunale vi sarebbero persone ritenute poco limpide». «… quell’amministrazione comunale ha schierato in lista parenti diretti di gente che è indagata per mafia (…) prima o poi succederà qualcosa a quel comune…» dice Arturo Bova, ad esempio, in una telefonata con la quale mette in guardia Angela Napoli che lo aveva contattato per la presentazione di un libro al Comune di Vallefiorita. (g.curcio@corrierecal.it)

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