Scolpiti nel marmo bianco dell’Apo Oscia Potamo e poi dipinti di bronzo da Igghiu. Erano così belli i figli di Mana Ghe che le Anarade soffocavano il loro istinto bestiale, sopraffatte dalle fattezze sublimi dei peduci Aspromontini, e invece di divorarne le vite si vestivano d’amore materno e intonavano melodie soavi per i bimbi che sottraevano alle madri negli agguati sul greto della Mindula Glicia. Nel tempo in cui l’arroganza dell’uomo non s’era fatta sfida e ogni sasso, pianta o animale avevano un’anima, ci stava il paradiso in groppa a un cavallo di Perrea che galoppava incontro a tre mari. Si scalavano le vette per stare insieme agli Dei e godere della potenza artistica divina. Adesso che l’uomo si è messo al centro del tutto il quadro rimane e, instancabile, lo stallone di Dio continua a cavalcare in sella a Montalto, e dalla torre col Cristo si vede ancora il quadro che mani celesti regalarono alla terra. Bisogna salirci sulla vetta dell’Aspromonte e guardarlo da sopra il corpo formidabile della Grande Madre, bello sempre, come il primo giorno della sua creazione. Ad arrivarci in primavera, quando Khore risorge e lancia la sua veste fiorita sui monti, ci si sente liberi e immobili, con la voglia, irresistibile di restare fra gli Dei. L’Aspromonte è una gabbia di perle, porte aperte e il volo si perde, lo smeraldo è nell’acqua dei fiumi, dal suo abisso, Persefone, ridona il candore ai cuori più scuri. Ai bambini dell’Aspromonte non si può rubare la bellezza è in arrivo la festa di Primavera, Mana Ghe riporta sulla terra Khora, liberandola dalla prigionia di Ade. Persefone lascia l’inferno e raggiunge il paradiso aspromontano per dargli sei mesi di fiori e profumi. Un amore che sa di vaniglia, limone e caramello, il sentore della Ginestra. Kalimera, zoi charapia.
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