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AdnKronos, Marra: «Né rimpianti, né rimorsi. Ho avuto successo, forse»

Con il tycoon dell’informazione: passato e prospettive dell’informazione, futuro della Calabria e delle radici affettive dei suoi emigrati

Pubblicato il: 29/03/2024 – 6:58
di Emiliano Morrone
AdnKronos, Marra: «Né rimpianti, né rimorsi. Ho avuto successo, forse»

Giuseppe Pasquale Marra è giornalista professionista, fondatore e presidente dell’AdnKronos, che ha condotto al successo con tenacia e lampi di genio. Originario di Castelsilano (Crotone), fine osservatore dotato di fiuto, capacità di ascolto e sintesi, egli ha saputo anticipare i nuovi scenari dell’informazione puntando sul rigore giornalistico e sulla qualità dei prodotti editoriali. Con Marra, che ci ha rilasciato un’ampia intervista dopo aver firmato un importante accordo di cooperazione con l’agenzia di stampa del Sultanato dell’Oman, parliamo di passato e prospettive dell’informazione, del ruolo che essa può giocare anche per la connessione tra i territori, del futuro della Calabria e delle radici affettive dei suoi emigrati.

Direttore, oggi si dice spesso che i giovani non hanno passioni e non sono educati a coltivarle. Lei partì da Castelsilano, in provincia di Crotone, in cerca di opportunità. Quanto e in che modo hanno influito, nella sua affermazione professionale e imprenditoriale, il desiderio di crescita e la volontà di affrontare sfide sempre più difficili e complesse? 

Ho affrontato la vita e il lavoro partendo da un piccolo paese, in una terra che non offriva grandi opportunità. Ma l’ho fatto in un periodo in cui tutto il Paese si sollevava dalle sue difficoltà e cominciava ad aprirsi al mondo e al progresso. Da questo punto di vista sono stato fortunato, come un po’ tutta la mia generazione. Per i giovani, oggi c’è forse qualche difficoltà in più. Le cose corrono e se non si prende il ritmo giusto si rischia di restare indietro. Ma personalmente continuo ad essere ottimista sul nostro futuro e confido che le nuove generazioni sappiano cogliere le opportunità che si nascondono nella globalizzazione.

Dall’analogico al digitale, l’AdnKronos è sempre stata al passo con i tempi. Lei, che ha saputo proiettare in avanti le sue aziende, si sente più analogico o più digitale?

Personalmente sono più analogico, imprenditorialmente sono più digitale. Le mie comunicazioni, le mie attività personali e familiari viaggiano con gli strumenti di qualche anno fa. Non potrebbe che essere così. La cultura orale, la disciplina di una volta, sono tutte cose che fanno parte della mia vita. Ma ho sempre cercato di spingere l’AdnKronos lungo percorsi più innovativi. E infatti siamo forse l’agenzia più al passo coi tempi, più coerente e a suo agio in un contesto segnato dalle nuove tecnologie. Che non sono mai fonte di disagio, neppure per le persone della mia generazione. Semmai sono fonte di nuove opportunità.

Marra AdnKronos

Spesso lei ripete che il giornalismo è il racconto chiaro e sintetico dei fatti. Qual è, oggi, in piena era social, la sua opinione sul livello e sul ruolo dell’informazione?

Il giornalismo è racconto, è una trama che lega e connette tempi diversi, offrendo delle spiegazioni e dando forma a un contesto. È solo all’interno di quel contesto narrativo che gli eventi acquistano un significato e diventano leggibili. Cioè utili innanzitutto all’immensa platea globale che segue l’evoluzione delle cose con una curiosità sempre più informata e anche più esigente. Da questo punto di vista credo che abbiamo fatto grandi progressi, e che molte altre novità siano già in cantiere. A una condizione però: quella di non farsi prendere da un affanno che non aiuta a distinguere tra le notizie e le cose che restano e mettono radici da quelle più effimere destinate a volare via.

I giornalisti saranno sostituiti dagli influencer o dall’Intelligenza artificiale?

Non credo. L’intelligenza artificiale è una macchina possente. Ma è una macchina, appunto. Non crea, non inventa. Rielabora quello che già esiste. Avrà un’influenza importante, che non va trascurata ma che dovrà essere regolamentata. Ma la creatività appartiene all’uomo, alla sua fantasia, alla sua capacità di scoprire cose nuove. E su questa frontiera la macchina, anche la più sofisticata, arriverà sempre dopo. Non c’è da spaventarsi. Semmai ci sarà da pensare a regole più stringenti. A tutela delle persone. Che dovranno imparare a usare le nuove tecnologie e a non farsi prendere prigionieri dalla loro suggestione.

Qualche giorno fa un quotidiano nazionale ha scambiato la Calabria per la Basilicata e la Basilicata per il Molise. Crede che i tempi sempre più veloci dell’informazione possano determinare errori del genere?

La velocità dell’informazione può generare equivoci e superficialità. Ma anche in questo caso voglio essere ottimista. In passato l’ignoranza era molto più diffusa. E ai giorni nostri proprio la tecnologia ci può aiutare ad essere più accurati, meno imprecisi. Il sentimento catastrofico con cui alle volte si guarda alle novità tutto sommato è mal riposto. Certo, non bisogna abbassare la guardia.

Ha nostalgia del giornalismo del passato?

Un briciolo di nostalgia ce l’abbiamo tutti. Tanto più a una certa età. Ma pesa molto quello che c’è sull’altro piatto della bilancia. Sta crescendo una nuova generazione più curiosa, più informata. Può fare degli errori, certo. Può dar retta a suggestioni troppo effimere. Può sbagliare per superficialità, per la fretta di arrivare a conclusioni che avrebbero bisogno di maggiore elaborazione. Dunque, è sempre giusto stare in guardia, essere esigenti, innanzitutto con noi stessi. Alla fine, però, sono convinto che ci stiamo muovendo lungo una traiettoria di progresso. E chi come me ha qualche anno in più ha il dovere di essere più fiducioso.

Come vede la Calabria di oggi? Di che cosa avrebbe bisogno, secondo lei?

La Calabria ha bisogno innanzitutto di valorizzare di più i suoi legami con il resto del Paese. Parlo di infrastrutture, prima di tutto. Ma non solo. Anche l’informazione a suo modo è una infrastruttura. Avvicina, connette, lega territori diversi a un destino comune. E tanti operatori dell’informazione che vengono da quella terra e che si stanno facendo largo nel panorama più complesso del Paese possono essere utili a rafforzare le connessioni con i territori più sviluppati, o magari più fortunati, quelli collocati più a nord. La questione meridionale, come si diceva una volta, resta un grande problema di tutta l’Italia. Anche di quella che si sente più avanti. Resta il fatto che l’Italia è una e una sola. E che solo a condizione che il Sud risalga la china può giocare un ruolo importante nello scenario internazionale che siamo chiamati ad affrontare.

È vero che i calabresi tendono a esprimere le loro potenzialità soprattutto fuori dalla Calabria?

Credo di essere un esempio di questo tragitto. Uno dei tanti. Ma ho conservato negli anni, anche a distanza di tanta vita e di tanti chilometri, un legame speciale con la mia terra. Le mie radici sono lì, e non si sono mai indebolite, tantomeno spezzate. Quello che conta è tenerle sempre vive. E ben strette. Poi, se capita di lavorare altrove, c’è sempre modo di pagare il giusto debito che ognuno ha sempre con la terra dei padri.

Ha qualche rimpianto, nonostante i suoi successi?

Né rimpianti, né rimorsi. Ho avuto successo, forse. Ma ho sempre conservato l’umiltà di chi sa di dovere una parte importante di sé e della propria realizzazione nel lavoro a tantissime persone che mi hanno insegnato a stare al mondo con dignità, tenacia e passione. Questi legami sono la parte più importante della mia vita. La parte, cioè, che mi ha dato le soddisfazioni umane più forti e più vive. A cominciare ovviamente dalla mia famiglia.

Che consiglio darebbe agli aspiranti giornalisti?

Umiltà, passione, scrupolo professionale. E attenzione verso gli altri, soprattutto. Il giornalismo è sempre un occhio aperto e rivolto al prossimo. È una curiosità, una ricerca. Dentro questa cornice ognuno poi trova il modo giusto di servire e di affermarsi. È la ruota della vita. Bisogna salirci con il giusto grado di generosità. Perché ogni successo, anche quello che ci rende più orgogliosi di noi stessi, deve sempre qualcosa al prossimo. Che magari ha fattezze che non conosciamo. Ma che ogni volta poi ritroviamo lungo i nostri percorsi di vita e di lavoro. (redazione@corrierecal.it)

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