COSENZA «Oggi come sempre in questi diciotto anni ho la tristezza nel cuore, eppure non vedevo l’ora che arrivasse questo benedetto diciottesimo compleanno. Tanti auguri figlio mio, sarò sempre pronta a cercarti ovunque. Voglio solo vederti, abbracciarti, poterti dire che io non ti ho mai abbandonato e spiegarti che cosa è accaduto il giorno in cui sei nato».
Decine e decine di appelli, frammenti di ricordi tenuti assieme da fili impalpabili: una foto, un cognome, una data. È tutto ciò che si possiede quando l’oblio ha cancellato ogni traccia delle proprie radici o del destino dei propri figli. Sui social ci sono pagine che accolgono storie cariche di interrogativi, quelle di chi cerca i propri figli dati in adozione alla nascita o di chi è sulle tracce dei propri genitori biologici. Molte di queste vicende sono collocate in tempi ormai remoti (qui le date precise e i cognomi sono stati volutamente omessi), sono estremi tentativi di ricongiungersi e guardarsi negli occhi prima che sia troppo tardi. «Cerco la donna che mi ha dato la vita e partorita e poi lasciata nell’ospedale, sono passati 65 anni ma penso che il giorno del mio compleanno ti ricorda che hai abbandonato una bimba. Non ti giudico, ma se sei viva ricorda che una figlia ti cerca». Poche parole che lasciano trapelare molto più di quanto si vorrebbe.
Ci sono appelli che portano in Calabria, in particolare a Cosenza, dove viene più volte menzionato l’istituto di suore che si trova nel cuore della città, un tempo orfanotrofio, da sempre ha accolto neonati figli di madri che hanno scelto, dolorosamente nella stragrande maggioranza dei casi, di abbandonarli subito dopo il parto. «Sono nata a Cosenza in una clinica nel 1969 da una donna che ha deciso di non riconoscermi, sono stata poi affidata al vicino orfanotrofio e in seguito sono stato adottata. Cerco la donna che mi ha messa al mondo, vorrei guardarla negli occhi e riconoscermi nel suo sguardo, grazie a chi potrà e vorrà esaudire questo mio desiderio».
«Sono nata nella clinica del professore Giuseppe Santoro a Cosenza e poi data in adozione. Se c’è qualche persona che ha partorito nello stesso giorno e ricorda una donna che voleva dare in adozione la propria figlia mi contatti».
«Cerco Vanda nata a Cosenza tra il 1946 e il 1949, adottata attraverso le suore del brefotrofio di via Zara, sono tantissimi anni che ti cerco». «Cerco mia figlia, nata all’ospedale civile di Cosenza 60 anni fa, io l’avevo chiamata Lucilla, poi me l’hanno portata via in orfanotrofio. Sono anni che la cerco e sono disperata».
C’è poi chi, raccogliendo gli indizi e i frammenti di storie, si fa intermediario: «Faccio un appello per una persona a me molto cara perché voglio farle un regalo, cerco la mamma biologica di questa bambina nata in ospedale di Cosenza all’Annunziata nel 1955, poi portata in un istituto di Cosenza in via Zara, vorrei tanto che lei abbracciasse la sua mamma”. “Cerco le origini di una mia cara amica nata a Cosenza in ospedale nel 1955, ha vissuto in un istituto fino a 13 mesi dove è stata battezzata e poi data in adozione in Sicilia».
L’urgenza è scavare nel passato per arrivare ad un volto, a un indirizzo, per avere il tempo di ottenere una risposta che per alcuni diventa un’ossessione: perché?
«Ciao papà, sono nata a Cosenza nel 1983 e subito dopo sono stata adottata. Non so perché non mi hai voluta, ma vorrei avere tue notizie anche per sapere se hai altri figli e che cosa è successo».
«Sono nata a Cosenza nel 1983 da una ragazza madre nella clinica Giuseppe Santoro di via Isonzo a Cosenza. Ho saputo che mia madre dopo pochi giorni mi ha dovuto dare in adozione, ma vorrei conoscere i nomi delle infermiere che in quei giorni hanno lavorato nel reparto dove mia mamma mi ha dato alla luce, per trovare il mio vero papà. Se qualcuno si ricorda qualcosa può contattarmi».
«Sono nata a Cosenza nel 1983 e sono stata data in adozione, vorrei sapere se ho fratelli o sorelle». Pezzi mancanti senza i quali si fa a fatica a sentirsi completi. «Papà, tua figlia ti sta cercando».
Un vuoto con cui si convive da sempre o che si percepisce all’improvviso e si apre come una voragine, di fronte a due foto di neonati ritrovate facendo ordine tra le cose di una anziana madre appena deceduta. «Cerco i miei due fratelli sono nati a Crotone ma poi sono stati adottati probabilmente a Bologna. Ho saputo di voi dopo la morte di nostra madre, ho trovato le vostre foto in un vecchio documento. Vorrei tanto rivedervi per chiudere un cerchio sospeso, la sorpresa di questa notizia e la perdita di mamma mi hanno lasciato un vuoto che non si può colmare fino a quando non riuscirò a trovare almeno uno di voi. Se vi riconoscete nella foto sarei felicissima di incontrarvi anche solo una volta».
A rimorchio degli appelli, sempre più numerosi, ci sono persone che offrono “ricerche genealogiche” su commissione. «Stai cercando la tua mamma biologica? – recita l’annuncio sotto uno dei tanti post – Mi contatti, l’aiuto io a trovarla. Mi occupo di reperire le informazioni sui registri di stato civile e fotografo i dati per assicurarne l’autenticità».
Uno dopo l’altro, i pensieri intimi di madri pentite, tormentate da una decisione spesso presa troppo frettolosamente. Madri che hanno trascorso anni nel ricordo di quei pochi istanti in cui hanno tenuto un bambino o una bambina tra le braccia. «Cerco i miei figli, sono gemelli, ho dovuto darli in adozione, gli ho lasciato due medagliette incise con Isaia 41:10. Vorrei solo sapere che siete al sicuro». Sono appelli struggenti, in cui ci si aggrappa alla speranza di recuperare un po’ del tempo perduto.
«Aiutatemi a colmare questo dolore, – scrive un’altra mamma – oggi ho quarant’anni ma non mi sono mai dimenticata delle mie due figlie, unica ragione di vita». E ancora, «sei nata nel 1997, sei stata portata in istituto, io non ero d’accordo ma per motivi economici gravi ho dovuto dire di sì. Dopo un mese ti hanno adottato e io non ho potuto fare più niente. È una vita che ti cerco, ma ora tu sei grande, mi puoi cercare pure tu». Parole scelte con cura, poche, essenziali, che sembra quasi di sentirla la fatica di doverle scrivere e di trovare il coraggio di pubblicarle.
«Sei nato nell’ospedale di Vibo Valentia, oggi avresti 54 anni, ti cerco».
x
x