CATANZARO Vincenzo Mollica, giornalista, scrittore, autore e conduttore televisivo e radiofonico, riceverà il David Speciale nel corso della 69ª edizione dei Premi David di Donatello. In una lunga intervista rilasciata a Walter Veltroni, il noto giornalista e conduttore televisivo aveva ricordato l’infanzia in Canada e poi l’arrivo in Calabria, a Motticella, frazione di Bruzzano Zeffirio, paese di origine del papà Pasquale. Dove il piccolo Vincenzo a sette anni rientra con la famiglia e sottolinea era «vicino a Brancaleone» in quel piccolo comune inizia la formazione di quello che sarebbe divenuto del giornalista dei divi amato da tutti. «Lì, da ragazzo – racconta Mollica – avevo una stanza in cui c’era un piccolo registratore Geloso, tanti vinili, i libri di poesia e di teatro pubblicati dalla Einaudi. Divoravo Eduardo e Brecht. Mi appassionai ai gialli di Maigret. La tv cominciava al pomeriggio, con la tv dei ragazzi. Rin Tin Tin, Ivanhoe, Zorro, I Forti di Forte Coraggio, Bonanza. La mia vita bambina cominciava a nutrirsi di storie, di personaggi, di fantasie. Vidi Biancaneve, che mi colpì tanto, e i film di Don Camillo e Peppone. E poi mi persi nelle Cantate dei giorni pari e dei giorni dispari di Eduardo De Filippo e soprattutto nei Fratelli Karamazov, un romanzo in cui trovi risposte per ogni domanda della vita».
Poi un ricordo della sua scuola in terra reggina. «Nel mio paese, in Calabria – ricorda Mollica – c’era una sola aula in cui si facevano tutte insieme le classi delle elementari. In quarta il maestro mi corresse un tema. Io avevo scritto, non per caso, le parole “la radio” e lui l’aveva corretta in “l’aradio” e poi mi aveva messo un segno rosso vicino alla parola “duomo” correggendola con “d’uomo”. A quel punto mio padre mi ritirò e finii dai salesiani. Poi il classico a Locri e l’università alla Cattolica di Milano».
C’è un altro ricordo della Calabria che Mollica riprende nell’intervista al Corriere. Forse il momento più drammatico della sua vita. La prima volta che la famiglia e lui scoprono della sua malattia alla vista che l’ha portato poi a perderla. «L’ho scoperto a sette anni. I miei mi avevano portato a fare una visita in un Comune chiamato, pensa tu, Ardore. Si erano accorti che qualcosa non andava, dall’occhio sinistro non vedevo. Loro erano rimasti nello studio del medico, io nella sala d’attesa, a origliare. Sentii distintamente: “Devo dirvi che vostro figlio diventerà cieco”. Loro erano scioccati e non mi riferirono nulla. Io andai a casa e cercai quella parola sul vocabolario. Ma non avevo bisogno, bastava che chiudessi l’occhio destro e precipitavo nel buio».
Una malattia che l’allora piccolo Vincenzo affronta fin dalla tenera età proprio in terra di Calabria.
(redazione@corrierecal.it)
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