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Franco Pino e la linea criminale. «Quella dote riservata concessa in un momento di difficoltà»

Le dichiarazioni del collaboratore nelle motivazioni della sentenza “Rinascita-Scott”. Il valore di uno ‘ndranghetista dipende «dalle capacità»

Pubblicato il: 29/04/2024 – 6:38
Franco Pino e la linea criminale. «Quella dote riservata concessa in un momento di difficoltà»

COSENZA La morte di Luigi Palermo detto “U zorru” chiude un ciclo, quello della “mala bastarda cosentina” (ne abbiamo parlato qui). Franco Pino inizia a raccogliere consensi e il suo potere aumenta diventando assoluto protagonista della scena criminale bruzia. Pino, in passato a capo dell’omonimo gruppo Pino-Sena, è un profondo conoscitore della galassia criminale calabrese. Da quanto ha scelto di collaborare con la giustizia, ha ripercorso la trasformazione e l’evoluzione della ‘ndrangheta bruzia, offrendo la chiave di lettura più corretta della formazione dei due gruppi organizzati (Perna-Pranno e Pino-Sena) e reso dichiarazioni in numerosi processi contro la criminalità organizzata calabrese, da “Ndrangheta Stragista” ad “Imponimento“. Le sue dichiarazioni, vengono riprese anche nelle 1.600 pagine delle motivazioni della sentenza del processo di Appello “Rinascita-Scott”.

Le “doti” di ‘ndrangheta e il valore criminale

E’ il 26 giugno 2018, quando a proposito delle “doti” di ‘ndrangheta e del loro significato, Pino confessa: «Nel 1983-1984 conosco Luigi e Peppe Mancuso nel carcere di Palmi (anche se stringo amicizia di più con Luigi). Era l’epoca del processo denominato ”Delle tre Province”: in quel periodo Umberto Bellocco mi conferisce la dote superiore di ”diritto e medaglione” una dote ”riservata” creata in un momento di difficoltà per l’organizzazione derivante dalle dichiarazioni di Pino Scriva che aveva rivelato le doti di ‘ndrangheta fino al “trequartino“, dote che doveva rimanere segreta ed esclusiva di un gruppo di un centinaio di ‘ndranghetisti in tutta la Calabria». Tuttavia, oltre alla “sacralità” dei riti ed alla rilevanza criminale della dote, il valore di un soggetto appartenente alla ‘ndrangheta «non dipende da queste cose, ma dalle sue capacità». Ipse dixit.
Ma lo stesso Pino poi avrà modo di aggiungere: «Eravamo criminali e volevamo avere una prospettiva, non potevamo restare isolati, anche se riuscivamo a comandare nella nostra zona era per noi importante, per la nostra crescita ed il nostro riconoscimento criminale all’esterno, appartenere a quella che io chiamo una ”linea” criminale, e la nostra linea era quella dei Piromalli di Gioia Tauro e dei Bellocco. Quello che faceva Umberto Bellocco, che ci conferiva queste doti». Per accrescere potere ed influenza, dunque, era fondamentale stringere legami con le altre famiglie ed affidarsi al loro «comando centrale». (f.b.)

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