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Mercato del lavoro, D’Orio: «In Calabria gli incentivi da soli non bastano»

Il docente di Politica economica dell’Unical al Corriere analizza il sistema di agevolazioni contributive. E avverte: «Sarebbe da stolti credere che creino occupazione stabile»

Pubblicato il: 12/05/2024 – 7:00
di Roberto De Santo
Mercato del lavoro, D’Orio: «In Calabria gli incentivi da soli non bastano»

COSENZA È la mancanza di lavoro uno dei principali limiti che impediscono alla Calabria di garantire un futuro di crescita economica e sociale sostenibile. O meglio l’assenza delle condizioni ideali per creare un mercato occupazionale robusto e duraturo, capace di redistribuire redditi e dunque diffondere ricchezza sul territorio. E se da un verso il sistema di agevolazioni attivate ed attivabili, per incentivare nuove assunzioni o stabilizzare posizioni lavorative precarie, può essere uno strumento valido per generare occupazione, dall’altro il meccanismo da solo non garantisce l’effettiva fioritura dell’economia calabrese. In questo senso la primavera per la Calabria stenta ancora una volta ad arrivare. Al di là degli incentivi – pur validi – innescati per favorire lo sviluppo dell’occupazione. Numeri alla mano, emerge infatti che quelle misure sono servite a creare nuovi posti di lavoro o a trasformali. Ma senza mutare nel profondo la competitività e dunque recuperare gap di ritardi di sviluppo nei confronti di altri territori. Certo, se venissero a mancare si comprometterebbe la costruzione di un percorso virtuoso di rigenerazione del tessuto produttivo con ricadute ancor più pesanti per la Calabria.
A partire da una ventilata cancellazione della “Decontribuzione Sud”, l’agevolazione contributiva introdotta nel 2020 che prevede l’esonero del 30% dei contributi a carico dei datori di lavoro.

Fonte: Inps

Stando all’ultimo report dell’Inps, solo questa agevolazione ha creato nel 2023 in Calabria 98.324 posti di lavoro. Per dare la dimensione si tratta dell’87,4% dell’intera fetta di occupazione generata nella regione da tutti gli strumenti agevolativi. Dato che lo scorso anno complessivamente grazie a misure di incentivazione si sono prodotti o stabilizzati 112.504 posti di lavoro.
Numeri che indicano quanto sia importante per la regione poter contare su questi strumenti e quanto pesi un eventuale depotenziamento di una misura come la “Decontribuzione Sud” soprattutto per la miriade di micro realtà che ne hanno beneficiato per assumere. Ma al contempo chiarisce come – visti gli indicatori di bassa crescita registrati dalla Calabria (un effimero +0,23% del Pil) – da soli quei meccanismi non garantiscono la creazione di flussi di ricchezza diffusa. E non sono dunque sufficienti a generare sviluppo e crescita alla regione.
Ne è pienamente convinto Giovanni D’Orio, docente di Politica economica all’Università della Calabria. Per il professore dell’Unical, infatti, accanto a quelle misure occorre attivare un ventaglio di iniziative concorrenti tese ad innalzare la qualità della vita e soprattutto a potenziare il sistema produttivo della regione. Per creare occupazione, sostiene occorrono soprattutto «idee forti condivise e molto specifiche, investimenti pubblici mirati e investimenti privati complementari ed un’amministrazione pubblica che “segua” e “rassicuri” il cittadino sulla sua presenza».

Giovanni D’Orio, docente di Politica economica all’Unical

Professore, il governo ha messo in piedi uno strumento per agevolare l’occupazione: il superbonus. Secondo lei quale impatto avrà per la Calabria?
«In generale parliamo di uno strumento interessante e utile. Il provvedimento in questione prevede la possibilità di dedurre una quota del costo del lavoro pari al 120% (che nel caso di giovani, donne e soggetti già destinatari del reddito di cittadinanza può arrivare al 130%) per quei beneficiari che hanno svolto l’attività nei 365 giorni precedenti il primo giorno del periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2023. La condizione più interessante del provvedimento è che per accedere all’incentivo attraverso l’assunzione di nuovi lavoratori, si configuri un effettivo incremento occupazionale. In pratica il numero dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, al termine del periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2023, deve risultare superiore a quello del precedente periodo d’imposta. La Regione Calabria, proprio pochi giorni fa, ha lanciato un suo programma, “Dunamis”, in cui sono previste azioni molto simili a quelle proposte dal Governo. Inoltre, erano già presenti incentivi per l’occupazione giovanile e femminile e varie forme di decontribuzione per nuova occupazione e formazione professionale. Nei fatti quindi, per la Calabria, l’impatto dello strumento governativo potrà avere o un effetto molto limitato, o, ove venisse ritenuto più adeguato dai beneficiari, un effetto di “spiazzamento” rispetto al provvedimento regionale. Una visione ottimistica potrebbe far pensare ad entrambi gli strumenti come portatori di nuova occupazione ma i dati macroeconomici congiunturali e quelli del mercato del lavoro regionale nello specifico, non inducono a una visione del genere».

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Il ministro Raffaele Fitto ha annunciato che il governo non rinnoverà la “Decontribuzione Sud”

Alcuni dati indicano che tra le imprese è stato molto apprezzato lo strumento della decontribuzione Sud. Ora il Governo però punta a non rinnovarlo. Anche lei lo ritiene utile per creare occupazione stabile nella regione?
«Decontribuzione Sud rappresenta uno sgravio contributivo per le aziende del sud. Nello specifico, ai datori di lavoro privati è riconosciuta un’agevolazione le cui percentuali variano (a scalare) a seconda delle annualità delle contribuzioni, per esempio, sino al 31 dicembre 2025 si ha l’esonero del 30% della contribuzione previdenziale a carico del datore di lavoro, del 20% per il 2026 e 2027 e del 10% fino al 2029. In termini pratici, per uno stipendio di circa 1.500 euro l’applicazione della decontribuzione ai rapporti di lavoro in corso presso le Regioni del Mezzogiorno consente di abbattere il costo del lavoro totale nella misura del 6%. Nel merito, il fatto che la misura si applichi non solo ai nuovi rapporti di lavoro, ma anche a quelli già in essere, la espone a una critica importante relativamente alla capacità di creare nuova occupazione stabile: gli sgravi contributivi che si applicano anche ai rapporti di lavoro già in corso comportano una rilevante perdita secca di efficienza, in quanto lo sgravio si applica nella stessa misura sia a lavoratori che in assenza dello stesso avrebbero mantenuto il posto di lavoro, sia a quelli che lo avrebbero perso. Da questo punto di vista, gli strumenti che commisurino lo sgravio ad aumenti dell’occupazione al netto delle cessazioni sono da preferirsi. Ciò per evitare che l’ingresso di nuovi lavoratori possa essere compensato da un aumento delle cessazioni dei rapporti in essere. Infine, la misura di decontribuzione non è mirata al sostegno di un particolare segmento del mercato del lavoro ritenuto più svantaggiato (es. giovani, disoccupati di lungo termine), applicandosi a tutti i rapporti di lavoro dipendente, indipendentemente dall’età o dalla storia lavorativa dell’individuo. La letteratura ci dice che gli sgravi contributivi tendono ad avere benefici maggiori sull’occupazione quando sono destinati ad un sottoinsieme specifico della popolazione, mentre nel caso di una platea troppo ampia di beneficiari potrebbero verificarsi perdite secche di efficienza. In qualche misura, infatti lo sgravio si applica anche all’assunzione di lavoratori che avrebbero comunque trovato un lavoro. In questo senso la decontribuzione per gli under 35 e il Bonus Sud appaiono più efficaci per la creazione di occupazione stabile».

Fonte: Svimez

Nonostante questi incentivi e altre misure per le politiche attive, i dati sull’occupazione in Calabria restano non positivi. Ed i giovani soprattutto con alti skills continuano ad emigrare. Cosa non sta funzionando?
«Una serie di incentivi come quelli analizzati non cambierà la struttura produttiva della Regione ne la fanno evolvere in maniera significativa. A ciò va aggiunto che la qualità della vita in assoluto conta e conta tanto. E nella qualità della vita, oltre a un’occupazione stabile, servono anche un salario che permetta una buona qualità della vita e una serie di servizi pubblici che permettano di pianificare con serenità il futuro. Alcuni dati sono molto allarmanti pur partendo da premesse positive. È vero che, a livello nazionale, la disoccupazione sta regredendo (per la Calabria e per le regioni del Mezzogiorno in generale è un discorso un po’ più complesso che abbiamo già fatto su queste pagine). Allo stesso tempo però, la povertà assoluta è in aumento ed è sempre più strutturale: lo certifica il rapporto Bes dell’Istat, appena pubblicato. Avere un lavoro non sempre basta per evitare di cadere in povertà. In Italia un quarto dei lavoratori ha una retribuzione individuale bassa (cioè, inferiore al 60% della mediana) e più di uno su dieci si trova in situazione di povertà (cioè, vive in un nucleo con reddito netto equivalente inferiore al 60% della mediana). I dati del Mezzogiorno e della Calabria in particolare sono ancora più drammatici. Nel dibattito pubblico, la povertà lavorativa è spesso collegata a salari insufficienti mentre questa è il risultato di un processo che va ben oltre il salario e che riguarda i tempi di lavoro (ovvero quante ore si lavora abitualmente a settimana e quante settimane si è occupati nel corso di un anno), la composizione familiare (e in particolare quante persone percepiscono un reddito all’interno del nucleo) e l’azione redistributiva dello Stato. L’azione redistributiva dello Stato (e degli Enti pubblici territoriali) non riguarda solamente il mero trasferimento di somme di danaro (ad esempio Reddito di cittadinanza) ma anche, e forse soprattutto, il fornire servizi pubblici di varia natura (asili nido, buona sanità, trasporto pubblico, scuola, università e così via) adeguati e a basso (o nullo) costo a tutti coloro che ne hanno evidente necessità. Finché queste due cose non staranno insieme (occupazione stabile e qualità della vita decente), chi può, continuerà ad emigrare».

Quali misure potrebbero rivelarsi importanti per creare a breve occupazione vera nella Calabria?
«Nel breve periodo le politiche relative agli incentivi sul lavoro producono dei risultati positivi. Negare ciò sarebbe da stolti. Aggiungere però che creino certamente occupazione stabile sarebbe altresì da stolti.  La storia degli ultimi 60 anni (e forse più) del Mezzogiorno, conferma l’inefficacia di  interventi del genere. Il punto fondamentale è quante e quali misure di lungo periodo (strutturali), affiancate ai “sistemi di tamponamento delle crisi” di breve, permettano al sistema economico/lavorativo di avviare una propria “sostenibilità”. In parte nella precedente domanda abbiamo capito che lo Stato può avere un ruolo importante anche prescindendo dal mero mercato del lavoro ma ciò merita un approfondimento successivo. Restando al breve periodo, oltre agli incentivi che abbiamo già commentato, resto ancora del parere che strumenti come le Borse lavoro e la “Dote Occupazionale” potrebbero avere un ruolo importante. Le Borse Lavoro, erogate alle imprese, includono una serie di politiche attive da fruire in azienda o in aziende del settore per una formazione di primo ingresso o continua. È fondamentale che l’impresa abbia un “diritto” e “dovere” a formare i propri lavoratori con le specificità che non sempre la scuola o il mercato stesso del lavoro prevedono. Allo stesso tempo lo strumento della “dote occupazionale”, con incentivi dati a disoccupati che possono scegliersi percorsi formativi specifici rispetto alle aziende che necessitano determinate figure professionali, restano uno strumento molto interessante nel breve periodo e con conseguenze importanti nel medio-lungo».

E una strategia di lungo periodo per dare una svolta alle politiche occupazionali nella regione?
«Nel lungo periodo, rispetto al mercato del lavoro, bisogna concentrarsi almeno su tre cose, che necessitano di politiche specifiche e molto mirate: contrasto alla disoccupazione giovanile, contrasto alla disoccupazione di lungo periodo, aumento della partecipazione al mercato del lavoro di “esclusi” che, pur avendo tutte le caratteristiche per partecipare, hanno in qualche modo rinunciato a trovare lavoro (in primis Donne e Neet). I Centri per l’Impiego (teoricamente molto potenziati negli ultimi anni) devono necessariamente giocare un ruolo molto più proattivo nell’identificare i bisogni specifici individuali e nello stabilire un piano su misura di primo inserimento o ritorno al lavoro. Spesso parliamo di Sanità che non funziona, ma, dovremmo iniziare a parlare di più e meglio di come far funzionare questi servizi fondamentali per riattivare un segmento ancora più catastrofico di quello della Sanità. Una regione che vuole futuro chiede sì “Sanità” ma, deve chiedere, e con forza, più efficacia del pubblico che si occupa di lavoro. In questo caso non serve semplicemente un percorso evolutivo ma necessariamente rivoluzionario. Lunghe assenze dal lavoro per problemi di salute o incidenti spesso conducono all’esclusione dal mondo del lavoro. Per far sì che i lavoratori con problemi cronici di salute o reduci da incidenti possano continuare a lavorare, servono misure per rendere i posti di lavoro più aperti grazie a programmi di formazione, condizioni di lavoro flessibili e un accompagnamento specifico per lavoratori vulnerabili. La crisi COVID ci ha insegnato molte cose sul lavoro agile: va evoluto e potenziato. Abbiamo parlato su queste colonne nei mesi scorsi della questione dell’occupazione femminile, e, in questo caso, attivare pienamente il portafogli di strumenti utili alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro (asili, asili nido, mense etc.) è l’unica strategia di lungo periodo che può avere effetto. Allo stesso tempo, e nelle more che il sistema si potenzi, la Regione potrebbe provvedere dei voucher (come ha fatto in passato senza spiegare dettagliatamente perché ha interrotto questa politica) per “acquistare” nel mercato privato servizi di conciliazione riguardanti l’infanzia ma anche l’assistenza verso la terza età. Tutto ciò all’interno di un sistema rigorosamente controllato e che sia realmente destinato a donne lavoratrici o che abbiano intenzione di entrare nel mondo del lavoro. Gli interventi specifici di lungo periodo sono svariati e diversi (non ho citato formazione continua, evoluzione dei disegni delle offerte formative, scuole professionali, etc.) fermo restando che, a tutto ciò, come già accennato, va affiancato un intervento pubblico (di tipo redistributivo mediante servizi efficienti) che tenda a migliorare la qualità del lavoro e, più in generale, la qualità della vita».

Fonte: Svimez

Tante risorse impegnate negli anni – a partire dai fondi strutturali – per favorire l’occupazione, le risulta qualche iniziativa che sta portando effettivamente benefici sul territorio?
«Più che riferirmi a una singola iniziativa, un fondo, una misura, penso che vada analizzato con attenzione ciò che è successo nella riviera dei Cedri, e in particolare a Santa Maria del Cedro. Una ventina di anni fa si osservava un’area che cercava in qualche modo di vivere di turismo ma ci riusciva poco e male, e/o di agricoltura, e i risultati non erano dissimili. La memoria collettiva di quel periodo ricorda frotte di gente che passeggiava sulla Statale 18 senza “fini e senza meta”, mare oggettivamente non pulitissimo e caos, tanto caos. Sviluppo poco. Oggi invece osserviamo un territorio che ha una “Bandiera Blu” e una “Spiga Verde” (in tutta Italia sono meno di dieci i comuni che possono vantare entrambe le due eccellenze), con tutte le strade illuminate in maniera sostenibile senza più caos sulla statale tirrenica e con tanti servizi di ultima generazione per i turisti che si recano in quei luoghi e per i residenti che ci vivono. Cosa è successo? Investimenti pubblici mirati (e molto consistenti) indipendentemente dall’utilizzo di solo fondi europei o regionali o comunali e imprenditori privati che, avendo capito la strategia che l’Ente pubblico avrebbe portato avanti in maniera credibile, hanno investito altresì somme ingenti per fornire servizi turistici di qualità. Un lungomare nuovo praticamente su tutto il territorio comunale, col vantaggio di offrire “mete e scopo” alle passeggiate dei turisti e insieme a “migrare” auto dalla statale a altre aree. Contemporaneamente sono stati potenziati (caso di nuovo abbastanza isolato) i servizi comunali, la polizia locale, la raccolta differenziata, è aumentata la cura dei centri storici ed è stato in qualche modo ricreato un senso di orgoglio e di appartenenza. “Money is just money”, non importa che sia europeo o nazionale o locale. L’importante è che i fondi siano utilizzati per le loro finalità (e quelli europei in particolare in maniera addizionale e non sostitutiva) e rispetto a una “idea forza” condivisa, in questo caso, lo sviluppo turistico sostenibile. In questo territorio la popolazione residente è rimasta stabile (cosa non da poco data la crisi demografica che colpisce anche questa area), la stagione turistica si è allungata, in estate arriva forza lavoro anche da altre Regioni e la gente, fortunatamente, parte sempre meno. Per favorire l’occupazione servono quindi, nel medio lungo termine, idee forti condivise e molto specifiche, investimenti pubblici mirati e investimenti privati complementari, amministrazione pubblica che “segua” e “rassicuri” il cittadino sulla sua presenza e infine “pazienza attiva”, cioè il saper attendere e aspettare che gli effetti economici e sociali di investimenti di lungo termine siano efficaci nonostante i cicli politici e amministrativi. Ciò è successo in questa area, nonostante il diverso colore politico delle amministrazioni che si sono alternate, diversità che invece, normalmente, negli anni rischia di generare una visione di breve periodo e obbligatoriamente miope. Guarderei a questo caso come a una “buona prassi” per moltissime aree della Calabria e, d’Italia in genere».

Per disegnare strategie politiche di rilancio dell’occupazione nella regione che ruolo potrebbero avere le università calabresi?
«Le Università calabresi hanno attualmente davanti una sfida difficilissima da vincere: il calo degli iscritti. Prescindendo dalle questioni prettamente demografiche, questa sfida può e deve essere vinta puntando, in parte come si sta già facendo, ad un ruolo più incisivo rispetto alla possibilità di “avvicinare” quanto più possibile lo studente al mercato del lavoro. Le parole chiave in questa sfida sono: ridisegno (o evoluzione) dell’offerta formativa, crescita della qualità in uscita dei laureati, terza missione. Rispetto all’evoluzione dell’offerta formativa, negli anni recenti, molto si sta facendo. Diversi corsi avanzati in lingua inglese, lauree nuove molto innovative, attenzione alle esigenze dei tessuti produttivi locali. In questo ambito è estremamente importante non tanto “inseguire” i settori dinamici del mercato ma “prevedere” le sue evoluzioni future e farsi trovare già pronti. L’Università deve ispirarsi su ciò che accade e prevedere ciò che accadrà. Questo renderebbe l’iscriversi a un corso di studio molto appetibile (incentivando i molti giovani che non si iscrivono ad iscriversi, e ciò contrasterebbe anche l’effetto calo demografico) con prospettive occupazionali più alte. La crescita della qualità delle carriere accademiche degli studenti è altresì importante. Lauree vuote di contenuti ma valide legalmente non danno vantaggi competitivi nella capacità di recuperare divari di sviluppo. Inoltre, lauree vuote di contenuti, non permetteranno facilmente di avere un posto di lavoro che sia stabile, ben pagato e incentivante. Uno sforzo costante su ciò garantisce chi studia e garantisce chi assume. Infine è necessario riferirsi in maniera meno astratta alla Terza Missione, cioè a quelle attività di trasferimento scientifico, tecnologico e culturale e di trasformazione produttiva delle conoscenze, attraverso processi di interazione diretta dell’Università con la società civile e il tessuto imprenditoriale, con l’obiettivo di promuovere la crescita economica e sociale del territorio, affinché la conoscenza diventi strumentale per l’ottenimento di benefici di natura sociale, culturale ed economica». (r.desanto@corrierecal.it)

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