LAMEZIA TERME Il rilancio del Sud e della Calabria è la risposta più utile alla ripresa economica dell’intero Paese. La strategia per contrastare la trappola del continuo ricorso all’indebitamento per rincorrere modelli di sviluppo che non consentono all’Italia di crescere realmente. Ma la condizione fondamentale per consentire al Sud di divenire una sorta di motore produttivo di ricchezza non solo per i territori meridionali, resta quella di concentrare risorse ma soprattutto linee strategiche che contrastino lo spopolamento ed il depauperamento delle regioni del Mezzogiorno. Ad iniziare dall’attenzione da riservare alle aree interne e alle periferie del Sud Italia. Da tempo Antonio Corvino, economista, scrittore e direttore dell’Osservatorio di economia ed azione sociale è un assertore di questa filosofia. Una linea che ha mantenuto coerentemente nella sua attività come ricercatore dei fenomeni economici e confluita nelle sue produzioni letterarie. Nel suo ultimo lavoro “Cammini a Sud, sentieri, tratturi, storie, leggende, genti e popoli del Mezzogiorno”, Corvino, rilancia quell’idea e chiede di restituire al Sud la possibilità di immaginare un modello diverso di sviluppo. Nel volume, edito da Giannini, con prefazione di Fulvia Ambrosino e postfazione di Francesco Saverio Coppola, il direttore dell’Osservatorio economico critica quel modello di sviluppo concentrato solo a favorire le megalopoli e chiede di lasciare al sud grazie anche alle aree interne «che organizzino le loro economie in linea con le loro culture e la loro identità». Ma per fare questo c’è bisogno di dotare regioni come la Calabria, degli strumenti essenziali per garantire innanzitutto servizi essenziali come quelli sanitari e assistenziali e che diventano pre condizioni per rilanciare le economie locali.
Lei ha recentemente scritto un volume sull’importanza della memoria storica come punto di forza del Mezzogiorno. Crede realmente che possa costituire un elemento di riscatto di interi territori anche per la Calabria?
«A settembre scorso è uscito il mio “Cammini a Sud” edito da Giannini, Napoli. Si tratta di un romanzo sulla memoria del Sud sedimentata nelle storie e nelle leggende delle genti e dei popoli del Mezzogiorno raggiunti attraverso gli antichi sentieri ed i tratturi un tempo usati per spostarsi da un luogo all’altro. La desertificazione delle terre di mezzo del Mezzogiorno si riflette nella marginalizzazione del Mediterraneo che nega il passaggio a quanti cercano la salvezza esercitando il diritto primordiale delle migrazioni. L’aspetto più assurdo di tale deriva è, che le migrazioni, ben governate, rappresenterebbero un’autentica ancora di salvezza per un Paese e soprattutto per un Sud che si spopola al ritmo annuo di 80/100.000 giovani e che ha già perso due milioni di abitanti e che nei prossimi decenni ne perderà altri quattro. La politica ha definito le terre di mezzo del Sud, quelle isolate e/o lontane dalle metropoli, dalle aree urbane e addirittura dalle coste, aree interne, svuotandole di ogni prospettiva e sottraendo loro ogni possibilità di uno sviluppo radicato nella loro dimensione e non surrettiziamente innestato in funzione dei fatui e transeunti interessi altrui, preoccupati di sfruttare condizioni temporanee di vantaggio piuttosto che di innescare processi capaci di auto sostenersi e rigenerarsi. Il riscatto del Mezzogiorno non può che scaturire da un paradigma dello sviluppo che declini il territorio in funzione delle sue potenzialità ricreando ovunque condizioni di vita degne di essere vissute e tali da suscitare la positiva reazione delle energie presenti. Non può sostenersi oltremodo un modello che ritengo soccombente. Credo che la dimensione duale dello sviluppo che accumula ricchezza e servizi a nord lasciando povertà e disservizi a Sud, accatasta popolazione nelle metropoli svuotando i territori dell’interno è destinata a subire gli effetti nefasti di un inevitabile cortocircuito sociale ed economico oltre che ambientale. I governanti italiani hanno dimenticato che la base della produzione della ricchezza, si chiami PIL (prodotto interno lordo) o reddito pro capite o capacità di consumo o altro, è la popolazione. Ed un Paese che da decenni invecchia, favorisce lo svuotamento del Mezzogiorno, vivacchia con una crescita negativa o prossima allo zero, non va da nessuna parte, anzi corre verso la propria rovina. Per questo riattivare processi virtuosi di integrazione territoriale, di razionale distribuzione della popolazione, di equa ripartizione della ricchezza e di uniforme creazione delle condizioni dello sviluppo è non solo un imperativo per sottrarre il Sud ad un destino di degrado durato troppo a lungo, ma un obbligo per mantenere alti i livelli del nord e ripristinare la capacità della nazione di ritrovare innovazione, dinamismo economico e produttivo, equilibrio demografico e territoriale.».
C’è un fenomeno crescente di riscoperta dei luoghi, dei mestieri e del turismo esperienziale. Come sostenere questo trend e farlo divenire ipotesi di sviluppo per il Sud e la Calabria in particolare, che hanno mantenuto più di altri caratteristiche originali?
«La riscoperta dei territori va nella giusta direzione. In Spagna il Cammino di Santiago ha messo in moto un vero e proprio sistema economico. Nei paesi del Nord, in Gran Bretagna, in Francia e Germania, grandi vie come la Francigena intersecano itinerari minori sui territori. Anche nel Mezzogiorno qualcosa si muove. I cammini religiosi, naturalistici insieme agli itinerari storici, come la via Francigena e la via Micaelica, si affermano come le nuove frontiere di un rapporto esperienziale che riscopre la storia e la cultura dei territori. Ma vi sono delle criticità che dovranno essere superate. I cammini seguono sentieri e tratturi spesso legati alla transumanza, agli spostamenti di monaci e pellegrini, alle migrazioni interne e necessitano di un’indispensabile azione di riscoperta, manutenzione e gestione. La recente pandemia ha favorito un primo, sia pure timido, ritorno sui territori alla ricerca di un contatto con la natura lontano dal caos metropolitano. Il turismo lento potrà portare, dal canto suo alla valorizzazione dei territori. D’altronde le nostre Terre di Mezzo, hanno un patrimonio architettonico di assoluto pregio. I borghi ed i castelli potrebbero divenire luoghi di rinnovato fervore, solo che centri di ricerche, università, istituzioni, grandi imprese, volessero decentrare le loro organizzazioni andando ad allocare in essi pezzi dei loro laboratori, uffici, dipartimenti e mille altre cose. I benefici sarebbero generali. Si allenterebbe la pressione al centro e si darebbe nuova vita alla periferia. Limitare la scoperta dei territori interni solo alla pratica del turismo lento sarebbe infatti riduttivo. Il Sud ha bisogno di ritrovare vita e voglia di rinascere. Ovvio che per questo sono necessarie condizioni di base indispensabili, prima fra tutte livelli di connessione digitale adeguati. Date ad un ragazzo o ad un centro di ricerca, ad un’impresa culturale o produttiva o di progettazione, la possibilità di connettersi con il mondo, scaricando e trasmettendo in tempi reali, quanto serve e le terre di mezzo torneranno a vivere. D’altra parte la tecnologia consente di superare d’un salto i ritardi accumulati, andando a collocarsi sul crinale più avanzato. È esattamente quello che serve a Sud e che si può fare in Calabria come in Molise».
Quali iniziative da mettere prioritariamente in pista per rendere possibile questa nuova rivisitazione delle periferie del sud?
«La infrastutturazione digitale dei territori è il presupposto irrinunciabile per rivitalizzare i territori interni e le terre di mezzo. E, con essa, la creazione di servizi sociali legati alla specificità del Mezzogiorno e sul piano dell’infanzia e sul piano della assistenza sanitaria e su quello della assistenza degli anziani. A Sud, la dimensione comunitaria è un valore irrinunciabile che si lega alla autonomia della persona che in quella trova complemento ed integrazione. Non servono asili nido che resteranno vuoti e quindi riciclati o chiusi, ma babysitter ed una rete di servizi di supporto alle famiglie. Non servono RSA che a Sud sono la negazione stessa della vita comunitaria e identitaria, ma servizi domiciliari agli anziani e servizi ospedalieri quando necessario. Sarà così possibile procedere al decentramento delle strutture di ricerca, delle istituzioni legate alla biodiversità ed alla agricoltura mediterranea, all’allocazione di centri culturali et cetera che sposteranno sul territorio giovani che rimetteranno in moto la vita da queste parti».
Nel concreto però, le popolazioni che vivono nelle zone interne, soprattutto in regioni come quelle calabresi, si scontrano con difficoltà sempre più crescenti. Rarefazione di servizi essenziali, su tutti quelli legati alla sanità e all’istruzione rende la fuga da queste aree come unica scelta. Come rispondere a questi bisogni?
«È proprio sul fronte dei servizi che si gioca la scommessa del ritorno alla vita nelle Terre di Mezzo a Sud. L’assistenza sanitaria, l’istruzione, gli asili nido, la cura degli anziani ne sono i banchi di prova. Sul piano sanitario, la dimensione pubblica non può essere uno slogan vuoto che copre speculazioni private ormai al netto di ogni pudore. In Spagna, durante un mio cammino, mi sono trovato ad aver bisogno di assistenza sanitaria. Ero in ambasce avendo in mente la situazione sfilacciata del servizio in Italia. Il tassista a cui mi ero rivolto per un trasferimento che non potevo più fare a piedi, accortosi che non stavo bene, mi ha accompagnato, di sua iniziativa, al centro medico del paese, un paese di quattromila abitanti. Vi erano quattro centri medici ben strutturati e con personale permanente. All’ingresso sono stato accolto da una addetta al servizio che mi ha preso in carico con la tessera sanitaria personale, ha redatto la scheda e mi ha inviato al medico competente. Dopo aver ricevuto tutta l’assistenza ed essere stato visitato dal medico, al momento di andare via ho chiesto quanto dovevo pagare, mi è stato risposto che non dovevo nulla, essendo un cittadino europeo. In un altro centro medico, visto che i sintomi non passavano, mi hanno inviato al policlinico di Santiago dove, in alcune ore, mi han fatto tutti gli accertamenti assegnandomi la terapia. Il tutto esibendo la tessera sanitaria italiana. Mi chiedo perché questo non si faccia in Italia e non si faccia al Sud, dove uno straniero credo che scapperebbe a gambe levate. Sul fronte dell’infanzia, la questione non è finanziare asili nido sino al punto di ristabilire l’equilibrio tra Reggio Emilia e Reggio Calabria ma di assumere dei modelli funzionali ai rispettivi territori. A Sud, con lo spopolamento pauroso in essere, non ha senso creare asili nido che resteranno vuoti; ha più senso creare una rete di operatori/operatrici che garantiscano l’assistenza in casa, piuttosto che il trasferimento in strutture pubbliche costose ed a rischio chiusura per carenza di utenti. Questo vale anche e direi soprattutto per l’assistenza agli anziani. A sud le persone hanno una forte cultura dell’autonomia che si sposa con la dimensione familiare e comunitaria. Nel Mezzogiorno, inoltre, sono molte le aree in cui la gente vive a lungo. Le chiamano le terre dei centenari. Le RSA sono la via per distruggere questa cultura e sradicare la stessa voglia di vivere. A Sud vi è bisogno di una rete di assistenza domiciliare non di una rete di RSA dove relegare gli anziani. Costerebbe meno e sarebbe in linea con la storia, le tradizioni e la cultura mediterranea del Mezzogiorno. Circa l’istruzione infine, l’Italia ed il Sud dispongono di saperi e tradizioni di altissimo livello che, ahimè, stiamo dilapidando sull’altare del mito aziendale artatamente spostato sulle scuole fatte divenire aziende. Restituiamo alla scuola la sua natura pedagogica, rinunciando all’aberrante visione aziendale, e tutto, o almeno molto, tornerà a posto».
Ed è proprio lo spopolamento la più grande sfida che il Sud deve affrontare. Soprattutto in Calabria. È un destino ineluttabile?
«Lo spopolamento della Calabria, come quello del Sud, non è un destino ineluttabile ma il risultato di scelte scellerate che hanno sacrificato il Mezzogiorno al sottosviluppo, spingendo la gente ad emigrare in massa prima, ed a cercare migliori condizioni di vita altrove, dopo. Non è un caso che il Mezzogiorno abbia il “privilegio” di aver popolato con i suoi migranti intere regioni del mondo più lontano. Oggi sono i ragazzi che partono. A suo tempo Enrico Mattei e Adriano Olivetti avevano capito che lo sviluppo italiano e quello del Sud in particolare era legato al Mediterraneo. Quella stagione finì presto e drammaticamente. Lo sviluppo è stato realizzato secondo il paradigma Atlantico e per il Sud si sono chiuse le porte. Adesso lo si immagina come hub energetico nazionale. Va riscritto il paradigma dello sviluppo con il Mediterraneo al centro. In questo modo il Mezzogiorno cesserà di essere vagone al traino della locomotiva settentrionale, secondo la vulgata, per tornare ad essere protagonista del suo futuro. Il paradosso sta nel fatto che il Nord del Paese e l’Italia tutta, al di là della propaganda che non trova riscontro nei numeri della ricchezza prodotta e distribuita, hanno un estremo bisogno di far crescere il Mezzogiorno per far fronte ad un debito pubblico abnorme che potrà essere abbattuto solo con una crescita poderosa del Paese che consenta altresì una occupazione dignitosa in grado di assicurare reddito e consumi adeguati. E questo è impossibile senza il contributo determinante del Sud».
Le risorse messe in piedi per rilanciare le aree interne non sono mancate. Cosa non ha funzionato?
«Sulle risorse messe a disposizione, sottratte, nascoste o spostate c’è molto da discutere. La Germania, all’indomani della riunificazione nel 1989, in vent’anni, ha speso 1500 miliardi di euro per rimettere in moto i land della ex DDR che di loro avevano già cultura e mentalità oltre che fabbriche. In Italia in cinquant’anni sono stati spesi per il Sud 352 miliardi. La bugia circa le risorse destinate a Sud è evidente oltre che eclatante. Certo le poche risorse giunte sono state anche spese male e gestite peggio e questo ha che fare con una classe politica che a Sud non ha dato buona prova di sé. Vi è tuttavia un altro fattore che ha compromesso l’uso delle risorse. Lo sviluppo del Sud è stato pensato e gestito in funzione di interessi estranei al Mezzogiorno. Non si è innescato un processo legato al territorio ed alle sue vocazioni mediterranee, ma si sono spostati, o creati pezzi di tessuto precario per sfruttarne le condizioni. Vale per lo sviluppo economico quanto detto per lo stato sociale. Ripartiamo dal pensiero meridiano e dalla dimensione mediterranea e costruiamo un paradigma dello sviluppo da declinare sui parametri coerenti, smettendo di scimmiottare o accogliere scelte altrui».
L’autonomia differenziata potrebbe rappresentare ancor di più un limite per avviare politiche attive di rilancio delle zone periferiche calabresi?
«L’autonomia differenziata è l’aspetto più becero di un’azione mirata a perpetuare il dualismo italiano. Ormai c’è una letteratura infinita sulle aberranti motivazioni e sulla insostenibilità di tale scelta oltre che sulla distorta destinazione dei fondi nazionali tra Sud e Nord a favore di quest’ultimo, per soffermarsi più di tanto su di essa. Basti dire che la cosiddetta autonomia differenziata rischia di essere la cartina di tornasole di un’Italia egoista che ha cessato di essere nazione, se mai lo è stata, e non certo per responsabilità del Mezzogiorno. Il corollario più assurdo in tutta questa vicenda è che il Nord, partito con la provocazione indipendentista della Padania, oggi spinge il Sud a porsi la questione della sua indipendenza, nella certezza, tuttavia, che esso lo metterebbe a ferro e fuoco laddove il Mezzogiorno dovesse seriamente rivendicare, con un referendum per esempio, l’indipendenza». (r.desanto@corrierecal.it)
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