CATANZARO L’arte, la storia, la cultura, le tradizioni, l’ambiente naturale in una sola parola “la bellezza” possiedono in sé la dote salvifica per un territorio. La capacità cioè di riscattare, attraverso la valorizzazione di quelle risorse, il valore aggiunto che intrinsecamente i luoghi possiedono. Ma a condizioni ben precise, a partire dall’innalzamento della vivibilità dei territori, soprattutto periferici, e da una precisa visione strategica del futuro. Tradotto significa tutelare i diritti essenziali di chi ha scelto di vivere quei territori e lì quotidianamente abita. E nel contempo mettere a sistema una serie mirata di interventi all’interno di un perimetro ben preciso di valorizzazione delle risorse.
Un assioma che è valso in tanti angoli del pianeta – che hanno saputo far fruttare nel migliore dei modi quei tesori artistici, architettonici, archeologici e culturali – a garantire uno sviluppo armonico sotto il profilo socio-economico. Un assioma che potrebbe valere ancor di più nelle aree interne della Calabria colme di quella “bellezza” che proviene da un passato luminoso e da una natura particolarmente generosa nel regalare alla regione tante gemme ambientali uniche: dalle cascate ai canyon, dalle montagne incontaminate ai boschi millenari.
Ne è pienamente consapevole Francesco Cuteri, archeologo e professore di Beni Culturali e Ambientali all’Accademia di Belle Arti di Catanzaro tanto da sottolineare – a questo proposito – che «tutta la nostra regione è straordinariamente ricca sebbene “diversamente” ricca». È lui che nel 2012, scoprì nell’antica Kaulon il più grande mosaico di epoca ellenistica: l’immagine di un drago, contornata da riquadri e rosette floreali dell’ampiezza di circa 25 metri quadrati. Su quel tesoro così come sulle altre immense testimonianze storiche presenti in Calabria, Cuteri è convito che «devono dare ancora il meglio». Per farlo occorre però, sottolinea, una visione strategica e puntare sulla specificità della Calabria. Secondo il docente, il turismo se non ben interpretato «può divenire una trappola». E sul corretto uso delle risorse finanziarie avverte: «Ora siamo in una strettoia, o si lavora bene o si soffoca».
La Calabria ha un enorme patrimonio architettonico e archeologico non sufficientemente valorizzato. Quanto questo potrebbe contribuire a creare sviluppo nelle aree periferiche della Calabria?
«La prima cosa da mettere a fuoco è naturalmente il valore che vogliamo dare al termine “aree periferiche”. Termine che potrebbe essere riferito a dimensioni extra-urbane, a luoghi, magari non distanti da noi, che non rispondono in maniera soddisfacente alle richieste frenetiche del nostro tempo o che sono scarsamente collegati, o ancora a specifici ambiti territoriali che sono stati in un certo senso condannati a morire o a dissolversi per via delle profonde modifiche che sono in atto nella società, in tanti ambiti. Se pensiamo a qualche decennio addietro sarebbe stato veramente complicato, staccandosi dalle aree costiere fortemente caratterizzate da un ricco patrimonio archeologico di età antica (città greche e romane, ville, fattorie, necropoli, etc.), parlare di valori archeologici e culturali, mentre oggi, grazie ad un lavoro di divulgazione e valorizzazione sempre crescente ed a un nuovo modo di intendere la ricerca, scopriamo che tutta la nostra regione è straordinariamente ricca sebbene “diversamente” ricca. Naturalmente rimane molto da fare, anche nella direzione di una comunicazione che deve essere “leggera”, ma corretta e che purtroppo sempre di più viene sottratta a quanti sono veramente esperti di patrimonio culturale e che si sono formati per occuparsi, con passione, di questo. Insomma, anche per via dei social e di internet, si conosce sempre di più ma non sempre circolano informazioni storicamente attendibili. Infine vorrei dire, e forse rispondo più concretamente, che lo sviluppo delle aree che qui definisco “interne” potrà trovare garanzie di successo e di qualità grazie proprio alla messa a valore del prezioso patrimonio culturale, che dovrà essere proposto in parallelo al rafforzamento di altri settori, come quello agricolo e di tutela del paesaggio o quello del mantenimento di un livello medio dei servizi essenziali».
La scoperta dei mosaici di Kaulon alla quale lei ha contribuito in questo senso ne è un esempio?
«La scoperta dei mosaici ha per prima cosa cambiato me e il mio modo d’intendere il valore dei beni archeologici. Non che prima non dessi valore a questo mondo meraviglioso, ma quelle figure silenziose disegnate da mani sconosciute con piccole tessere colorate, così cariche di valori e di significati, mi hanno spinto a lavorare molto di più sull’idea di far comunicare diversamente, per raggiungere più in profondità i nostri cuori, le testimonianze del passato. Le esperienze di racconto intorno ai mosaici mi hanno insegnato che le persone, tutte, di qualunque età e formazione, hanno necessità di cogliere l’essenza delle cose, il valore vero e non solo simbolico di quanto il tempo ci riconsegna. Ma quei mosaici, così come tante altre testimonianze, devono dare ancora il meglio di se, ed è per questo che è necessario rafforzare le politiche di comunicazione, come già Parchi e Musei stanno in larga misura facendo, per distribuire a tutti, non come mancia o premio, ma come profumato pane quotidiano, il sapore dell’antico. Ovviamente il patrimonio culturale non si trova solo in Parchi e Musei, che sono certo la principale interfaccia fra patrimonio stesso e società, ma in una infinità di luoghi, contesti e situazioni in cui sarà necessario sostenere amministratori e cittadini per affrontare al meglio la gestione e la valorizzazione di ciò che si ha. Sarà necessario, insomma, coinvolgere le comunità per renderle protagoniste di azioni di tutela consapevole che dovranno diventare naturali. E ci sono già esempi bellissimi».
Cosa manca per trasformare queste che restano potenzialità in vera e propria ipotesi di crescita per quei territori?
«Io dico sempre che la Calabria è la terra del possibile e dell’impossibile. Tutti i territori, sebbene in forme diverse, hanno grandi potenzialità e grandi possibilità, ma la crescita vera e propria potrà verificarsi non solo lavorando sulla qualità dei servizi culturali che dovranno essere offerti o che vengono offerti, ma anche sulla qualità di altri servizi, che sono essenziali e che servono alle comunità più isolate, disagiate, penalizzate a poter vivere col sorriso e non ad essere sempre costrette a dover combattere per le tante preoccupazioni. Questo è un aspetto, ma c’è n’è un altro ugualmente importante e che per molti versi è più politico: il nostro tempo reclama infatti precise strategie di gestione dei territori, con interventi in ambito culturale che devono essere sì orientati a garantire la cura delle testimonianze del passato ma anche a tessere precise linee di sviluppo. Insomma, ho l’impressione che spesso si faccia, a volte anche bene, ma senza una precisa visione, senza immaginare come possa essere l’orizzonte e quali frutti possa far cogliere».
Sono in molti a ritenere il turismo la ricetta migliore per risollevare le sorti delle aree interne della Calabria. Anche lei è di questo avviso?
«Quale turismo? Anche su questo termine dovremmo ragionarci un po’ di più ma non è forse la sede opportuna. Il turismo può essere una trappola, che ti obbliga a costruire prodotti che nascono dall’esigenza di vendere, di trovare mercato, di offrire agli altri quello che agli altri piace. Non è così che si fa turismo sano e neanche gonfiando il petto e immaginando che quello che da noi si può trovare non ha eguali. Magari in parte è così, ma nel senso che ogni regione ha le sue specificità. Ma quello su cui noi dobbiamo puntare, in un contesto di tutela dell’ambiente, dei paesaggi, dei servizi, è l’autenticità. Quel meraviglioso modo di fare che è figlio del nostro passato e che la nostra sentimentale razionalità può rendere ancora più potente. Chi viene in Calabria, ma anche chi vive in Calabria, deve sentire di essere protagonista di una storia che si sta ancora scrivendo e che ha lasciato tracce importanti nelle lingue, nei dialetti, nei modi di fare, nella gastronomia, negli sguardi. Naturalezza e professionalità: due ingredienti che dovranno trovare sulla bilancia il giusto peso»
Su tutto però incombe il fenomeno dello spopolamento che sembra colpire maggiormente la Calabria. Intere fette di territorio soprattutto delle aree più interne stanno subendo una vera e propria emorragia. Dal suo punto di vista cosa è possibile mettere in campo quanto meno per ridurre questo processo?
«Argomento difficilissimo da affrontare e sul quale ho tanto riflettuto anche con molti amici ed esperti di ambiti affini a questa tematica. Qui servono veramente interventi ponderosi, capaci di scuotere un sistema gravemente penalizzante e di dare maggiore consapevolezza delle proprie opportunità a chi vive nelle zone maggiormente colpite dallo spopolamento. Certo, se guardo le cose come archeologo, non posso che prendere atto, e lo faccio spesso guardando luoghi dove un tempo sorgevano villaggi e città, che le cose hanno una fine che è naturale e che poco possiamo fare. Ma se guardo le cose come persona che gira per questa regione, e per altre d’Italia, e che ha trascorso giorni felici in luoghi come Pentone o Serra San Bruno, abbracciato da comunità vive, operose e speranzose non posso che immaginare una ribellione interiore che spinga a dire: voglio vivere qui e voglio farlo nel migliore dei modi; affacciandomi su monti, coste, dirupi, pascoli; voglio essere pastore per dare un senso a queste terre; camminatore per attraversare con gente nuova i sentieri dei padri; artista, per dipingere i giorni di tutti; archeologo, per raccontare a tutti coloro che giungono o che ho accanto, la storia di quella pietra che resiste in cima ad un muro antico; di una pietra che una volta caduta sarà solo pietra».
Eppure le risorse per avviare investimenti anche sotto questo profilo non sono mancate. In cosa si è sbagliato finora?
«Tanti investimenti spesso spesi male o inutilmente. La questione è veramente complicata e non bastano interventi messi in atto fuori da una logica di ripresa e di auto generazione delle risorse. Si è sbagliato ad accontentare sapendo che non si guardava nella maniera migliore al futuro e sono in tanti ad aver accettato questo meccanismo per più motivi. Ora siamo in una strettoia, o si lavora bene o si soffoca».
Come il mondo accademico potrebbe contribuire ad imprimere una strategia nuova e diversa alle politiche di valorizzazione dei presidi storici, archeologici e culturale delle aree interne calabresi?
«Il mondo accademico è già attivo e presente, ma non sempre ha avuto la voglia, la forza, la volontà di andare oltre i propri interessi scientifici, di ricerca, di staccarsi da un tipo di visione per calarsi nella realtà vera delle cose. Ma anche in questo ambito le cose stanno cambiando e sono aumentate sensibilità e attenzione, ed a tal proposito mi piace ricordare, non solo perché ne faccio parte, le attività di valorizzazione e promozione territoriale, partendo dal patrimonio culturale, che stiamo portando avanti come Accademia di Belle Arti di Catanzaro a Saracena, Pentone ed in altri centri calabresi. Siamo tutti chiamati a spenderci, come e dove possiamo, rispettando però il piacevole dovere di contribuire a formare nel modo migliore le nuove generazioni. Il futuro è giovane ma ha radici profonde». (r.desanto@corrierecal.it)
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