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Trapianti di midollo osseo, Massimo Martino: «Italia a livelli europei, Calabria alla pari, senza gap»

Parla il presidente del Gitmo, tra i relatori del panel del 25 maggio a Reggio Calabria. E annuncia il «primo Centro del Sud a curare con le CAR-T»

Pubblicato il: 23/05/2024 – 19:02
di Emiliano Morrone
Trapianti di midollo osseo, Massimo Martino: «Italia a livelli europei, Calabria alla pari, senza gap»

All’inizio del Novecento i bambini con la leucemia si consumavano in ospedale e non avevano speranze. Non c’era infatti una cura, il che rendeva ancora più struggente guardarli da vicino. Nella prima metà del secolo, Sidney Farber scoprì che gli antagonisti dell’acido folico causavano una regressione della malattia. Lo raccontò l’oncologo Siddhartha Mukherjee nel volume “L’imperatore del male”, con cui vinse nel 2011 il Pulitzer per la Saggistica. Oggi i tempi sono cambiati, la ricerca scientifica ha compiuto passi significativi come la medicina, i pazienti subiscono trapianti di midollo osseo sino alla senescenza, a volte pure avanzata, ma poi affrontano problemi di adattamento ancora poco conosciuti.

Il prossimo 25 maggio si terrà a Reggio Calabria la prima Giornata Gitmo-Ail dedicata al paziente che ha subito il trapianto di cellule staminali emopoietiche o terapie cellulari CAR-T. Si tratta di un’occasione per riflettere sul tema e sensibilizzare l’opinione pubblica, per discutere delle difficoltà dei trapiantati, sostenerli sul piano psicologico e spingere le istituzioni a considerarne più a fondo le esigenze.Tra i fautori dell’iniziativa c’è Massimo Martino, presidente del Gitmo, che sta per “Gruppo italiano per il trapianto di midollo osseo, cellule staminali emopoietiche e terapia cellulare”, direttore del Centro trapianti di midollo e del reparto di Ematologia all’interno dell’ospedale pubblico di Reggio Calabria. Con lui parliamo di questa prima Giornata, che, sottolinea lo stesso primario – tra l’altro autore di oltre 150 pubblicazioni scientifiche e con un h-index pari a 24 – «sarà significativamente a Reggio, a conferma del ruolo che il Grande ospedale metropolitano (Gom, nda) ha svolto e svolge nel campo dei trapianti di midollo osseo».

«In Italia – spiega Martino – quest’anno sono stati effettuati oltre 2mila trapianti allogenici e circa 3.500 trapianti autologhi. Per intenderci, allogenico è il trapianto per cui utilizziamo un donatore; nel trapianto autologo, invece, utilizziamo le cellule proprie del paziente. Il discorso è che il trapianto allogenico è una procedura terapeutica molto impegnativa per il paziente: comporta un trattamento che non si basa in via esclusiva sul ricovero in ambiente ospedaliero, che può durare anche oltre un mese, con tutto un periodo successivo che è molto impegnativo. Direi pure che il paziente in questo lasso di tempo può vincere – ed è quello che speriamo tutti – la sua battaglia contro una malattia, un tumore del sangue. Però si porta con sé tutto quello che comporta questo anno, anno e mezzo e più, di tanto si tratta: stare molto vicino alla struttura ospedaliera, magari la vittoria contro la malattia tumorale, nonché altri aspetti, che vanno da quelli psicologici alle difficoltà di ritorno alla vita sociale, di interpretare il rapporto con gli amici, con i figli, con il marito o con la moglie, con la famiglia in senso generale. Il paziente, insomma, nutre diverse preoccupazioni per il futuro».

Cioè?

«Chi è stato trapiantato può immaginare o affrontare problematiche economiche, eventuali complicanze immunologiche e malattie autoimmuni, problemi alimentari oppure della sfera sessuale. Quindi, c’è tutto un contorno di problematiche che spesso non sono considerate o vengono sottovalutate da tutti i sanitari che girano intorno e, direi, perfino nelle dinamiche organizzative della sanità. Faccio un esempio utile: lo psicologo non esiste, negli organigrammi delle strutture ospedaliere, nei dipartimenti di Emato-Oncologia. Questo non va bene perché, come le stavo spiegando, si tratta di problematiche estremamente importanti».

Quindi è opportuno renderle, per così dire, di dominio pubblico?

«Esatto. Noi ne abbiamo discusso come Gitmo, all’interno delle nostre riunioni. Perciò si è sentita l’esigenza di creare una Giornata del paziente trapiantato, che poi verrà ripetuta ogni anno. Ciò per mettere al centro le riferite problematiche, di qualità di vita, che dovrebbero essere affrontate meglio, con maggiori risorse e con maggiore impegno anche da parte delle istituzioni. Aggiungo pure che è un orgoglio personale, da presidente del Gitmo, che questa prima Giornata sia stata prevista in Calabria, precisamente a Reggio. Quindi, mi fa piacere che si svolga nella mia città, sotto l’egida dell’ospedale in cui lavoro, il Gom; anche per dimostrare che alle nostre latitudini si può fare sanità di un certo livello e possiamo rappresentare tutto il movimento in Italia, anche dal punto di vista istituzionale come presidenza di una società scientifica».

Quando si fa il trapianto allogenico e quando quello autologo?

«Se parliamo di trapianto allogenico, quello per cui ci serve un donatore di cellule staminali, la patologia che ha la principale indicazione è la leucemia acuta mieloide, un tipo di leucemia acuta. Al secondo posto, c’è la leucemia linfoblastica acuta, che è un’altra forma di leucemia acuta. Poi vi sono delle forme pre-leucemiche come le mielodisplasie e altre malattie del sangue tumorali, come le mielofibrosi. Inoltre, c’è anche uno spazio, in alcuni casi, nei linfomi e talvolta anche in malattie non tumorali, quali l’aplasia midollare. Queste sono le indicazioni più importanti. Mi consenta, poi, di aggiungere due messaggi».

Prego.

«Uno è che non tutte le leucemie acute e mieloidi devono arrivare al trapianto. Ciò perché, tramite percorsi di diagnostica molecolare sofisticata, oggi riusciamo a capire quelle più rischio di non guarigione. L’altro messaggio è che i dati italiani – che peraltro abbiamo presentato all’ultimo, recente congresso a Napoli – dimostrano che stanno aumentando i trapianti in soggetti con più di 60 anni. Questo significa che la tecnica trapiantologica è migliorata, perché permette di eseguire tale procedura terapeutica in soggetti più anziani. Ricordo, per esempio, che 30 anni fa il trapianto non si poteva fare, soprattutto quando si utilizzava un donatore dal registro, in soggetti che avevano oltre i 30 anni. Da quell’epoca c’è stata è una grossa crescita culturale, anche di tutto quello che sta intorno, con terapie di supporto che permettono di offrire il trapianto a pazienti che hanno più di 60 anni».

Quando si ricorre, invece, al trapianto autologo?

«In questo momento, quasi il 60 per cento dei trapianti autologhi si fanno nel mieloma multiplo».

Il caso pubblico del musicista Giovanni Allevi, per intenderci?

«Sì. Il trapianto fa parte integrante del percorso di cura, già alla diagnosi, nei pazienti che sono eleggibili a questa procedura, per l’età e anche per comorbilità. In quanto all’età, diciamo che fino a 70 anni si riesce a fare. Certo non è solo l’età che noi consideriamo; valutiamo anche la funzionalità degli organi. Dopo ci sono i linfomi non-Hodgkin e i linfomi di Hodgkin, a seguire ma molto staccati in termini di percentuale. In pratica, inoltre, non si utilizza più il trapianto autologo nelle leucemie acute».

Qual è, in Italia, il livello dei centri di trapianto esistenti?

«In Italia ci sono 80 centri. Di questi solo 60 fanno il programma completo, cioè sia il trapianto autologo che quello allogenico, e una ventina fanno solo il trapianto autologo. Chiaramente, nello stesso insieme c’è un certo numero di centri dedicati al trapianto nei pazienti pediatrici, cioè con meno di 18 anni. Nello specifico occorrono requisiti precisi che ora non possono avere tutti. Qual è l’expertise italiana? Essa è testimoniata e certificata anche da analisi di benchmark, che dimostrano che i livelli che riusciamo a raggiungere in Italia sono di fatto allineati con lo standard del resto d’Europa».

Quindi?

«Ne deriva un messaggio forte: in Italia questa terapia è di alto livello, è sviluppata al di là della latitudine e raggiunge ovunque gli stessi risultati, praticamente in tutte le regioni italiane, Calabria compresa. Posso dirlo da presidente della Società scientifica. Dunque, non c’è il divario che ci può essere forse in altre patologie, in altri trattamenti. In campo trapiantologico, posso dirlo con forza, siamo abbastanza allineati in tutta Italia».

Dottore, parliamo invece del Centro reggino.

«Come le dicevo, è un piacere per me essere riuscito a portare questa riunione a Reggio Calabria, perché io, a parte il mio ruolo di presidente del Gitmo, rappresento il Gom in quanto direttore dell’Ematologia e del Centro trapianti, struttura nata nel 1992 e dedicata al compianto professore Alberto Neri, ematologo di fama internazionale che fondò l’Ematologia a Reggio Calabria. Nella nostra struttura siamo in grado di effettuare tutta l’attività trapiantologica, sia allogenica – in senso lato perché utilizziamo anche donatori compatibili al 50 per cento, oltre ai classici donatori familiari e da registro – e sia autologa. Soprattutto, un primato che c’è a Reggio Calabria è che siamo stati i primi, in tutto il Sud, a erogare quella che rappresenta la più grossa innovazione in termini di terapia cellulare: la terapia con le CAR-T, che sono i cosiddetti linfociti autologhi modificati. Il primo trattamento l’abbiamo fatto nel giugno del 2020, quando eravamo in pieno periodo Covid. Siamo stati, ripeto, il primo centro, da Roma in giù, a effettuare questa terapia. Ora siamo arrivati a una cinquantina di trattamenti del genere. È importante sottolineare il ruolo e lo sforzo della Direzione strategica del Gom e di tutti gli altri reparti dell’ospedale, che hanno avuto un ruolo fondamentale per il raggiungimento dei risultati clinici».

E per il futuro?

«Saremo uno dei primi centri in Italia che farà questa terapia anche nel mieloma multiplo; ormai ci siamo e fra agosto e settembre dovremmo partire. Siamo uno dei cinque centri italiani in cui si inizierà questo trattamento anche nel mieloma multiplo. Quindi penso che sia motivo di orgoglio per il Gom e per tutta la Calabria, direi».

Come si svolgerà invece la Giornata del 25 maggio?

«Ci sarà inizialmente una conferenza stampa, che sarà condotta da me e dal dottor Giuseppe Toro, presidente dell’Ail (Associazione italiana contro le leucemie-linfomi e mieloma, nda), la quale ha dato al riguardo un contributo decisivo. L’Ail pone sempre al centro il paziente, organizza ogni volta importanti attività di supporto nei vari pazienti e sa che anche il trapiantato ha bisogno di maggiore attenzione. Ecco perché ha sposato la nostra idea e ha deciso di portare avanti l’iter affinché questa Giornata sia riconosciuta a livello istituzionale. Dopo la conferenza stampa, ci saranno i saluti istituzionali e, a seguire, una serie di incontri dei nostri pazienti trapiantati con quegli specialisti che segnalavo prima: lo psicologo, il ginecologo, l’esperto di alimentazione, l’esperto di qualità di vita. In pratica tutte le figure che vanno al di là della cura tecnica e generalizzata che noi pensiamo su un paziente; figure che, ripeto, spesso sono sottostimate o poco presenti».

«Non dimentichiamo mai – ha avvertito Papa Francesco – che il vero potere è il servizio. Bisogna custodire la gente, aver cura di ogni persona, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore».

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