LAMEZIA TERME «Ricordo che c’erano gli esponenti della famiglia Evolo, sterminata durante la faida in corso tra Pititto, Prostamo e Iannello mentre su San Giovanni di Mileto conoscevo personalmente la figura di Peppe Prostamo, Nazzareno Prostamo, Pasquale Pititto. Con questi ho avuto rapporti diretti sia con Giuseppe Prostamo, la persona che è stata uccisa, con il fratello di Nazzareno Prostamo, con Pasquale Pititto e con lo stesso Nazzareno Prostamo». A parlare, fornendo dettagli e raccontando episodi risalenti alla fine degli anni ’90 e gli inizi degli anni 2000 è il collaboratore di giustizia, Andrea Mantella, in collegamento dal sito riservato in una delle ultime udienze del processo “Maestrale-Carthago” alle battute iniziali in aula bunker, davanti ai giudici del Tribunale di Vibo Valentia.
Proprio sulla figura dei fratelli Prostamo, alla domanda del pm della Dda di Catanzaro, Antonio De Bernardo, Mantella ha risposto: «Giuseppe Prostamo era a capo della fazione della cosca Prostamo-Iannello-Pititto, perché ai tempi Pititto era una sorta di sottoposto. Comunque, tra di loro, erano apparentati per via del fatto di alcuni matrimoni che c’erano. Mi ricordo che Nazzareno Prostamo era sposato con una sorella di Michele Iannello».
E spiega ancora Mantella: «Ricordo un episodio, una certa frizione tra Pasquale Pititto e Peppe Prostamo, siamo nel 2004 o 2005, e dovemmo intervenire noi, come Domenico Bonavota, Francesco Fortuna, io e Francesco Scrugli, di andare a San Giovanni di Mileto per intimare a Pasquale Pititto di non assolutamente mettere in atto i suoi propositi omicidiari nei riguardi dello stesso Peppe Prostamo perché Giuseppe Prostamo a sua volta aveva aiutato il gruppo Prostamo-Iannello e Pititto, quando c’era la guerra di mafia a Sant’Onofrio, fronteggiata da Vincenzo Bonavota, il papà dei fratelli Bonavota». Perché «quando Giuseppe Prostamo era in difficoltà nel proprio territorio, nel proprio paese a San Giovanni di Mileto, si era rivolto alla famiglia Bonavota chiedendo una mano di aiuto perché Pasquale Pititto “Carrozzina” lo voleva uccidere».
E, a questo punto, il pentito racconta un episodio: «Ricordo che era una domenica mattina, siamo andati io, Francesco Fortuna, Francesco Scrugli, Onofrio Barbieri e Domenico Bonavota direttamente a San Giovanni di Mileto con due autovetture, armati ovviamente, a casa di Pasquale Pititto, detenuto agli arresti domiciliari». «Ricordo che non aprì, però sul viale abbiamo incontrato una persona conosciuta da Domenico Bonavota e gli hanno detto: “dì a Pasquale Pititto che lo stiamo aspettando a 500 metri, che ci manda l’imbasciata, che noi dobbiamo andare a casa per parlare direttamente”». I propositi “minacciosi” del gruppo non si fermano neanche davanti alla possibile presenza di forze dell’ordine e al rischio che a Pititto revocassero i domiciliari. Secondo Mantella, infatti, nel pomeriggio di quella stessa domenica «il “Carozzina” ci dovette ricevere obbligatoriamente. Mimmo Bonavota gli disse di cancellare i suoi propositi omicidiari nei riguardi di Peppe Prostamo altrimenti avrebbe scatenato una guerra anche con noi». «Pititto ha spiegato quali erano le ragioni ma la famiglia Bonavota si è messa in mezzo, hanno fatto da intermediari per trovare la quadra tra Pasquale Pititto e Giuseppe Prostamo affinché quest’ultimo non venisse ucciso».
Superata questa fase, ha spiegato durante l’udienza il collaboratore Mantella, «sono ripresi i contatti con la famiglia Pititto, era lui a comandare di più rispetto a Peppe Prostamo». «Ci sono state relazioni – ha spiegato il pentito – scambio di informazioni tra referenti, tra ‘ndranghetisti, uno con l’altro. In uno di questi mi ricordo che Pasquale Pititto disse a Francesco Scrugli che volevano uccidere assolutamente Michele Tavella». (g.curcio@corrierecal.it)
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