In copertina un collage di foto mostra i diversi travestimenti del cantautore calabrese, che di volta in volta diventa impiegato, turista, prete, teppista, clochard, marinaio, donna. «È un disco – afferma Maurizio Costanzo – nato dalla volontà di mettere per iscritto momenti e istanti che hanno attraversato la mia vita». Fotografie in bianco e nero, insomma, che ci restituiscono chiaramente passaggi importanti della sua biografia. Ascoltando le 8 tracce sembra che la sua voce sia alla ricerca di una geometria musicale incerta, si muove senza alcuna difficoltà tra il pop più disinvolto e un cantautorato impegnato, scandagliando le fragilità e le incertezze della vita («…scivolare lentamente nelle strade laterali che circondano la mente» canta nel brano “L’ultimo giorno”; mentre in “Biancaneve” risalta l’aspetto edificante del saper vivere femminile: «poi arriva un temporale e porta via ogni dispiacere»). Nella canzone “Mia madre ha il Parkinson” Costanzo parla della sua esperienza accanto a una persona costretta a vivere con una malattia degenerativa, evidenziando il punto di vista di un figlio che assiste inerme a un lento e costante annullamento delle capacità cognitive e di movimento della madre.
“Tutto quello che rimane”, invece, riecheggia la tessitura discorsiva di Niccolò Fabi e la sua capacità di esprimere in musica le difficoltà di questa generazione: nonostante tutti i tentativi di instaurare quante più possibili relazioni con gli altri in questa società sempre più fugace, in fondo, “tutto quello che rimane” sono le nostre facce, che mostriamo in ogni momento della giornata. Dietro a tutti i brani del disco, ovviamente c’è il lavoro in studio di registrazione di un gruppo di musicisti professionisti capitanati da Roberto Costa (fonico, arrangiatore e produttore di Lucio Dalla, Ivan Graziani, Ron, Luca Carboni, Mina, Gianni Morandi, Luciano Pavarotti). Collaborazione che il cantautore calabrese ha voluto a tutti i costi. «Lavorare al fianco di Costa – racconta – è stata un’esperienza molto interessante. Con tantissimi anni di carriera alle spalle Roberto riesce a trovare sempre in modo originale la veste sonora a un brano nato per voce e pianoforte».
Iniziati gli studi musicali fin da bambino e diplomatosi al Conservatorio di Vibo Valentia, con il massimo dei voti, Maurizio Costanzo collabora con orchestre e gruppi da camera in Italia e all’estero. Dopo la laurea all’Università di Bologna, comincia a frequentare gli studi di registrazione bolognesi, ed è qui che conosce Lucio Dalla e si avvicina per la prima volta alla musica leggera. «Ogni volta che andavo a trovare Dalla nel suo studio di registrazione lo costringevo ad ascoltare le mie prime canzoni. A volte me ne andavo contento perché mi stimolava a continuare, altre invece mi dava una pacca sulle spalle dicendomi spietatamente, con il suo immancabile accento bolognese, “andiamo al bar, mi sto un po’ annoiando”». Esperienze, queste, che lo porteranno molti anni dopo a pubblicare “La faccia delle persone” e realizzare un percorso di crescita nella composizione delle musiche e della scrittura dei testi . «A me piace scrivere e cantare. Quando mi vengono le idee in testa cerco sempre di realizzarle. Ho voglia di raccontare le “cose” che mi si presentano davanti. E poi sono molto curioso di sapere cosa produrrà negli altri il racconto delle mie idee». Il passaggio dalla musica classica a quella leggera è avvenuto dunque durante gli studi universitari a Bologna. Ma cosa implica frequentare e suonare due generi tra loro così diversi? «La musica è una droga, una dipendenza, non posso fare a meno di comporre e di ascoltare. Per me non c’è differenza se devo suonare il concerto di Haydn per oboe e orchestra o accompagnarmi con la chitarra e cantare Ivano Fossati. Sempre di forti emozioni si tratta. Non esistono barriere ma solo labili confini». Attualmente Maurizio Costanzo è docente della classe di Oboe al Conservatorio di Cosenza e vive tra la Calabria e l’Emilia Romagna. «Sono certamente due regioni tra loro lontane, ma negli anni sono riuscito a trovare molte analogie e somiglianze. La cosa che più le rende simile è l’importanza che sia gli emiliani sia i calabresi danno al cibo».
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