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processo “Reset”

Mala cosentina, la partita a scacchi tra accusa e difesa sul «sindacato di ‘ndrangheta»

Una tesi quella della presenza della Confederazione sostenuta dalla Dda, ma respinta dai vertici dei clan cosentini

Pubblicato il: 17/08/2024 – 10:33
Mala cosentina, la partita a scacchi tra accusa e difesa sul «sindacato di ‘ndrangheta»

COSENZA Poco più di un mese di pausa estiva, poi si tornerà in aula bunker a Lamezia Terme. Il processo “Reset” contro la ‘ndrangheta cosentina riprenderà da dove si era interrotto, con l’escussione dei pentiti pronti a rivelare fatti e misfatti d alcuni imputati nel maxi procedimento scaturito dall’inchiesta coordinata dalla Dda di Catanzaro. Nel corso delle udienze concluse nel mese di luglio, i pm della Distrettuale Antimafia Corrrado Cubellotti e Vito Valerio hanno avuto la possibilità di dare conferma alle ipotesi accusatorie tramite l’esame dei testimoni. Prima gli operanti della polizia giudiziaria, poi i collaboratori di giustizia hanno cristallizzato business illeciti e figure centrali della presunta confederazione di ndrangheta cosentina nata dopo la pax sancita dai clan gravitanti nell’orbita della galassia criminale bruzia. Come sottolineato dal collaboratore di giustizia, Luciano Impieri, “Zingari” e “Italiani” avrebbero fatto «accordi di pace», in particolare «il 60% su estorsioni e droga lo prendevamo gli “Italiani” mentre gli “Zingari” il 40%». La differenza a favore dei primi perché «avevano più detenuti da mantenere». Di tutti questi fatti, saranno Maurizio Rango ed Ettore Sottile a parlarne al pentito.

Lo spaccio, il core business

Come sottolinea spesso il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, è lo spaccio di droga il business più redditizio per la criminalità organizzata. Anche la mala cosentina, ha messo in piedi «una solida filiera di approvvigionamento e distribuzione di sostanze stupefacenti» per alimentare la “bacinella”, la cassa comune: soldi sporchi utili a finanziare investimenti in attività solo apparentemente lecite. Sul mercato della droga vige una regola, gli unici acquisti consentiti ai pusher sono quelli riferiti e riferibili al “Sistema” e non è consentito il sottobanco, ovvero il rifornimento da fonti terze. Secondo il pentito Giuseppe Zaffonte «all’interno del Sistema gli spacciatori possono transitare da un gruppo all’altro perché…è sempre come se fosse la stessa cosa..». «Nel sistema, ad esempio, i Banana (gli Abbruzzese di Cosenza) trattano da soli l’eroina ma danno un pensiero, ovvero una parte dei proventi, a Roberto Porcaro». Mentre Celestino Abbruzzese definisce il Sistema un «accordo tra clan come se fosse un ‘unica organizzazione dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti». Sua moglie, la collaboratrice Anna Palmieri, afferma che «la bacinella dei clan è il Sistema». Infine, sono illuminanti le dichiarazioni di Franco Bruzzese. Che sull’approvvigionamento dello stupefacente aggiunge: «avviene con il denaro della bacinella comune». Non solo droga. I clan cosentini non rinunciano ai metodi classici per esercitare il potere e mostrare i muscoli sul territorio, ottenendo in cambio lauti guadagni. E’ il caso degli imprenditori sotto usura, costretti a cedere dinanzi i tassi fuori mercato applicati dalla mala.

Il nodo è la Confederazione

La partita tra accusa e difese si gioca sulla presenza o meno della Confederazione di ‘ndrangheta. Il sindacato messo in piedi dai gruppi criminali bruzi avrebbe sovvertito lo status quo, messo a tacere le scorribande armate dei clan, consentito di unire le forze per gestire le attività illecite nella città di Cosenza e nell’hinterland bruzio senza spargimenti di sangue e lotte intestine. Una tesi quella della presenza di una unica grande Cupola ‘ndranghetista sostenuta dalla Dda, ma respinta con forza dai vertici dei clan cosentini. Recentemente, nel corso di un altro processo, Francesco Patitucci ex reggente del clan Lanzino-Ruà-Patitucci ha reso interessanti dichiarazioni spontanee. In buona sostanza, il boss oggi al 41 bis, ha ammesso «di far parte di un’associazione mafiosa, di esserne stato capo, ma di non aver mai fatto parte di una Confederazione». Chi la pensa diversamente è Daniele Lamanna, oggi pentito ma un tempo uomo d’onore. Affiliato al clan Bruni-Zingari, ha ripercorso le tappe che hanno convinto i gruppi a seppellire l’ascia di guerra e sancire la pax: preceduta da due incontri. «Ero rappresentante di quella pace», dice Lamanna. Che aggiunge: «Facemmo due incontri per arrivare alla “bacinella unica”. Ad un primo abbiamo partecipato io, Michele Bruni, Francesco Patitucci, Franco Presta, Umberto di Puppo». Fu di Puppo «a portarci nel luogo in cui incontrammo il latitante Franco Presta». Nel corso del secondo incontro, invece, Lamanna ed altri incontrarono Ettore Lanzino. «L’obiettivo era fare pace tra i due gruppi: Bruni-Zingari e gli “Italiani». Sulla presunta Confederazione, «al vertice c’erano coloro che avevano un certo rilievo nel concetto ‘ndranghetistico», dice Lamanna che chiosa: «Quando parlo di gruppi mi riferisco a Patitucci-Ruà-Lanzino e poi ai Tundis, ai fratelli Calabria, a Muto, e Maurizio Rango che era rappresentante degli Zingari». Due versioni completamente agli antipodi, il confronto tra accusa e difesa proseguirà in aula prima della verità giudiziaria e della sentenza in primo grado che emetterà il tribunale di Cosenza. (f.b)

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