VENEZIA «Sono un ex mafioso calabrese, sono stato reggente di una delle quattro cosche più importanti della Calabria, attualmente ex collaboratore di giustizia, ho collaborato da persona libera da giugno del 2010 fino a marzo del 2023 dove ho chiesto di uscire dalla protezione, e poi la tua vita è cambiata». E’ l’incipit di una lunga dichiarazione resa al Gazzettino da un uomo le cui generalità restano ignote. Il viso nascosto da un passamontagna e da occhiali da sole, non lascia intravedere nessun segno di riconoscimento. L’ex pentito sostiene di aver perso la propria serenità. I fatti narrati si riferiscono all’acquisto di un’attività. «Dopo circa sei mesi dall’acquisto di un locale, a mia sorella in Calabria è stato mandato sul suo cellulare un messaggio di minacce. Mi ha chiamato e mi ha confermato di aver ricevuto minacce di morte indirizzate a me ed alla mia famiglia, c’era scritto sia l’indirizzo preciso del locale e sia l’indirizzo preciso dell’abitazione in cui ero in affitto».
L’ex collaboratore ha reso edotto dei fatti il proprio avvocato ed è stata presentata una denuncia, con conseguente notifica al Servizio Generale di Protezione di Roma. All’uomo viene consigliato di lasciare la località protetta e decide di presentare domanda per rientrare nel programma di protezione testimoni. «Mi è stata rifiutata dopo tanti mesi, tante chiamate, tante difficoltà per capire come muoverci, poi mi sono voluto allontanare dalla località dove ero in quel momento per questioni di sicurezza».
L’ex pentito confessa di essere stato «reggente di una cosca» e di essersi occupato «dell’acquisto della droga in vari paesi esteri, Albania, Grecia (…) e di usura, estorsione, comandavo su tutto». L’ex collaboratore di giustizia parla di un agguato subito anni fa. «Io mi sono salvato e all’interno dove eravamo è stato ucciso un mio parente. Oggi sono una persona delusa più che altro, ho deciso di collaborare con la giustizia e ho chiamato la procura da uomo libero, non avevo nessuna condanna, le condanne sono arrivate dopo che mi sono autoaccusato». Infine, la chiosa. «Non ho più niente. Attualmente dormiamo in macchina con mia figlia, la piccola, che ha 14 anni. Sono oltre 40 giorni che sto chiedendo aiuto. Stiamo dormendo in macchina io, mia moglie e mio cognato, un malato oncologico operato già due volte di tumore (…) Sto chiedendo aiuto a tutti, non posso ritornare in Calabria».
(redazione@corrierecal.it)
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