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l’intervista

Ferraris ricorda il pensiero di Vattimo. «Una visione potente che ha segnato un’epoca»

Il 19 settembre dell’anno scorso moriva il filosofo torinese, di origini calabresi, padre del «pensiero debole»

Pubblicato il: 19/09/2024 – 10:49
di Emiliano Morrone
Ferraris ricorda il pensiero di Vattimo. «Una visione potente che ha segnato un’epoca»

Intervistato dal Corriere della Calabria, oggi Maurizio Ferraris ricorda il pensiero, la politica e l’insegnamento di Gianni Vattimo, fra i suoi maestri. Il 19 settembre dell’anno scorso moriva il filosofo torinese, di origini calabresi, padre del «pensiero debole», già parlamentare europeo e, tra l’altro, nel 2005 candidato sindaco di San Giovanni in Fiore, la città adottiva dell’abate Gioacchino, teologo della storia e della speranza nel futuro. Ferraris – che insegna Filosofia teoretica nell’Università di Torino ed è annoverato tra i più importanti intellettuali italiani – ha nel tempo espresso posizioni filosofiche opposte a quelle di Vattimo, cui ha rimproverato un eccesso di relativismo davanti, dal suo punto di vista, all’esigenza di fare i conti con la realtà e la verità. C’è però un aspetto che accomuna questi due grandi pensatori, oltre all’ardore per il sapere e il ragionamento critico: il legame con la Calabria, terra di altezze filosofiche spesso offuscate dalla ’ndrangheta, da ignorati processi di spopolamento, da ricorrenti manifestazioni di provincialismo e da una diffusa (auto)emarginazione collettiva.

Vattimo
Gianni Vattimo

Professor Ferraris, che cosa di getto le viene, pensando a Gianni Vattimo a un anno dalla scomparsa?

Che non mi riesce di pensarlo come negli ultimi anni, molto tristi e dolorosi per lui, e che preferisco ricordarlo com’era quando lo conobbi, mezzo secolo fa, giovane professore di filosofia pieno di vita, di idee e di allegria. È vero che è morto da un anno, quando era vecchio e stanco, ma nulla ci costringe a ricordarlo così.

Che cosa ha lasciato Vattimo a lei, alla filosofia, all’università, all’Italia?

A me un modello di cose da fare e, cosa forse ancora più importante, di cose da non fare, perché nessun maestro è perfetto. Alla filosofia, una visione potente che ha segnato un’epoca, quella del postmoderno. All’università l’esempio di un professore che si è sempre spinto fuori dell’università, in altri territori. All’Italia una filosofia che, proprio come quella di Croce, è riuscita a spingersi fuori dall’Italia.

L’ingresso in politica del suo maestro fu un bene oppure un errore?

Forse per lui fu un bene, visto che l’ingresso in politica coincise con la necessità di nuovi stimoli e diversivi dopo il lutto per la morte del suo primo compagno, Giampiero Cavaglià. Per la politica, non saprei, sicuramente ha dato di più alla filosofia.

Negli ultimi anni, prima di ritirarsi a vita privata, Vattimo parlò molto all’estero. Quanto, in Italia, voi filosofi siete ascoltati?

Direi che siamo ascoltati molto più che in altri paesi. Per esempio, negli Stati Uniti sarebbe inconcepibile un filosofo che prende posizione su questioni di pubblico interesse e di attualità come hanno fatto Vattimo ed Eco e come fa oggi Cacciari. E solo in Italia sarebbe concepibile un festival della filosofia come quello di Modena, con migliaia di persone che vengono a sentire lezioni e conferenze.

Vattimo e la Chiesa, il rapporto venne infine ricomposto?

Direi proprio di sì, c’è stata anche la famosa telefonata di Papa Francesco a Vattimo.

In che cosa consisteva, secondo lei, la fede di Vattimo?

Nel cattolicesimo interpretato con lucidità filosofica, così come lo aveva compreso, per esempio, Joseph de Maistre: una fede che privilegia la forma rispetto al contenuto, la carità rispetto alla oggettività, il rito rispetto al mito. E che dunque permette, insieme, di credere e di non credere, ossia, secondo la formula di Vattimo, di credere di credere.

Pareyson, Vattimo, Perniola, Givone, Ferraris. Ci sono ancora, in Italia, le scuole di pensiero?

Secondo me sì, anche se più che scuole di ortodossia sono scuole di eterodossia, come dimostra la differenza di idee, per esempio, dei cinque nomi che ha fatto (includendo me stesso, ciò di cui la ringrazio).

Qual è l’insegnamento più importante che ritiene d’aver ricevuto da Vattimo?

Il 19 avrò l’onore di inaugurare a Torino un convegno in onore di Vattimo e ho intitolato la mia relazione con i versi di Franco Battiato “com’è difficile trovare /L’alba dentro l’imbrunire”. L’ontologia del declino e il pensiero debole erano il tentativo di trovare luce e conforto proprio in un tramonto, nell’età della morte di Dio e dell’oblio dell’essere. Mi sembra una prospettiva affascinante, ma con il tempo mi sono trovato in disaccordo, perché riduce la filosofia al rimpianto e alla malinconia. Visto che sono piuttosto malinconico di mio, preferisco una filosofia che fornisca, per quanto possibile, delle speranze.

Guerre, crisi, precarietà, fine della storia. «Verso che mondo» stiamo andando, per riprendere un interrogativo di Vattimo?

Verso il mondo che riusciremo a creare, o che altri creeranno al nostro posto, senza che in questo processo ci sia alcunché di necessario, di fatale, di superiore alle decisioni delle donne e degli uomini di buona o di cattiva volontà.

Vattimo era molto legato alla Calabria. Come vede la regione, le pare che abbia una storia filosofica poco considerata?

Anch’io sono particolarmente affezionato alla Calabria per ragioni private. Mi sembra che patisca di molte disgrazie storiche in una natura incantevole, ma certo non è poco considerata filosoficamente. Casomai, è sovraffollata. Oltre a Vattimo, che è nato a Torino ma ha passato gli anni della guerra a Cetraro, il paese del padre, la lista dei filosofi calabresi, da Bernardino Telesio a Gioacchino da Fiore, da Tommaso Campanella a Pasquale Galluppi, è lunghissima, il che è tanto più significativo per una regione che conta meno di due milioni di abitanti.

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