Sentenza Bergamini, quello che manca e quello che non torna dopo la condanna di Isabella Internò
Per il movente tocca attendere le motivazioni. Ma chi ha ucciso materialmente Denis il 18 novembre 1989 a Roseto Capo Spulico?

COSENZA Le sentenze si commentano. Qualunque sia l’esito del verdetto. Ancor di più se una nuova e non definitiva verità processuale arriva a 35 anni dai fatti accaduti del caso Bergamini. Isabella Internò è stata ritenuta colpevole di concorso in omicidio di Denis Bergamini, giocatore sul fior del suo miglior successo agonistico, e condannata a 16 anni per omicidio in concorso con ignoti per la morte di quell’ex fidanzato celebre e famoso.
Il golfo di Bella Vista di Roseto Capo Spulico da memoriale di tifosi ora diventa punto di un omicidio svelato posto accanto ad una strada sinistramente chiamata dal toponimo popolare della morte a causa dei numerosi incidenti che vi avvengono e che risulta ora aver ospitato uno dei gialli più intricati tra i cold case nazionali.
Quando ammazzi un uomo gli rubi la vita. E se Bergamini è stato ucciso come ha acclarato il processo, a Denis è stata rubata la sua vita. Secondo le determinazioni del Tribunale e della giuria popolare trova la conferma maggioritaria di chi collettivamente ha sempre sostenuto che il caso Bergamini è un delitto avvolto da troppa polvere che nel tempo ha ricoperto di fango troppi protagonisti.
Roseto Capo Spulico diventa memoriale di accresciuto dolore, 76 chilometri da Cosenza, vicino al mare con l’aria nitida di solito, luogo di vessilli sportivi, totem di una volontà collettiva che con l’incidere del tempo ha modificato la percezione di un lutto collettivo e familiare che mette in archivio la tesi del suicidio di Denis Bergamini e diventa anche simbolo di Diritto male amministrato.
Né fuga né suicidio
Ogni anno in Italia si uccidono 4000 persone. Ancora oggi tra i giovani tra i 15 e il 29 anni, è la terza causa di morte dopo incidenti stradali e tumori. Non riguardava il campione del Cosenza questa ipotesi come le verità ufficiali hanno detto in circostanza del tragico 18 novembre del 1989. Denis con Isabella nella sua Maserati non era diretto a Taranto per imbarcarsi su un cargo mai rivelato e accertato. Non fuggiva verso un posto rumoroso con tante navi e puzza di fogna per raggiungere un altrove mai rivelato. Al chilometro 401 della strada della morte Denis, nome da eroe tragico, è stato ucciso.
Altri giudici a tre anni dai fatti accreditarono la tesi del suicidio. Due volte il caso è stato riaperto. Di fronte al verdetto della Corte d’Assise vincono le determinazioni del magistrato Eugenio Facciolla che nel giugno 2017 decise per la riesumazione della salma e una rideterminazione del caso. Bergamini soffocato con un sacchetto, messo sull’asfalto per poi inscenare un suicidio ha retto come ipotesi ufficiale per 35 anni. Un periodo lungo una vita che ha dilaniato i familiari del giocatore e che attorno al dolore hanno raccolto una solidarietà collettiva la quale è cresciuta come un’onda che ha valicato i confini dello stadio Marulla e di Cosenza arrivando in tanti stadi e redazioni di giornali. Pochissimi quelli seduti dalla parte del torto a sostegno della tesi innocentista, convinti delle prove a difesa, invece naufragate davanti al giudizio del Tribunale.
Isabella e un silenzio rumoroso
Bisognerà attendere le motivazioni della sentenza per comprendere quanto è stata decisivo l’impiego della glicoforina come prova regina, la testimonianza della moglie di Lucky Lucchetti, compagno di squadra di Denis, la quale ha svelato a giudici e giurati i propositi di vendetta di Isabella Internò. Era una giovane ragazza di Rende, Isabella all’epoca dei fatti, con libertà moderne per l’epoca non avendo ritirate a casa, giudicata fin da allora con asprezza da coetanee e conoscenti per spocchia e alterigia.
La colpevole della tragica morte di Bergamini ha scelto un silenzio che con il passare del tempo è risultato essere troppo rumoroso. Ha giurato davanti a Dio solo alla fine con dichiarazione spontanea di essere innocente. Alla sua coscienza e al confessore se è stata spergiura.
Per la Giustizia degli uomini, con sentenza di primo grado, è colpevole di concorso in omicidio e ricordiamo innanzitutto a noi stessi, che non si tratta di una sentenza definitiva in un Paese che ci ha abituato a far pendere la bilancia della giustizia nei modi più contraddittori.
Ha ben sostenuto il processo mediatico invece la famiglia Bergamini e l’esperto di materia, l’avvocato Anselmo, che alla vigilia aveva annunciato di voler raggiungere lo scopo di sentire pronunciare la parola “omicidio” nel Tribunale di Cosenza. Risultato ottenuto.
Una verità parziale
Il verdetto di primo grado invece ci consegna sul caso Bergamini una verità parziale. Questo procedimento, al netto del volere di tifoseria, lascia l’amaro in bocca, e un tarlo alla coscienza che ci costringe a continuare a mettere in discussione come si amministra la Giustizia. Dal processo emerge un movente legato al delitto d’onore. Un processo del 2024 ci restituisce un reperto da anni Cinquanta legato al matrimonio mancato, alla vita libera di un uomo punita con l’omicidio. Abbiamo un movente che sarà spiegato dalle motivazioni della sentenza.
Manca un pezzo rilevante, a quanto pare. Se Isabella Internò ha concorso ad un omicidio efferato per concezione e motivi abbietti chi ha ucciso materialmente Denis il 18 novembre 1989 in quel memoriale del dolore rossoblu che si chiama Roseto Capo Spulico? Questo processo non lo dice. E’ una verità che manca, però il tribunale ha deciso la trasmissione degli atti in procura per Roberto Internò indicandolo come possibile coautore in concorso del delitto.
Nella storia lunga e dolorosa di questi 35 anni sono emerse quelle tipiche mancanze investigative e di scrupolo che in posti periferici costruiscono dettagli mancanti e chiari. Ci furono depistaggi? Confesso che non mi sono chiari. Il legame della condannata di primo grado con un appartenente ad un corpo di polizia è elemento debole per giustificare un’architrave di tale portata. Certi misteri decennali a volte hanno verità più semplici di quello che sembra.
Le sciatteria e la civiltà giuridica
Osservo che ci sono state molte imperizie e approssimazioni, sciatterie rilevanti. Ero un giovane cronista nel 1989. Mi sembra che a quel tempo non abbiamo saputo porre le domande giuste e come stampa ci affidammo troppo facilmente alla verità ufficiale.
Il peso dell’opinione pubblica tifosa nel corso del tempo ha impedito l’oblio e le verità di comodo, ma ritengo che non ha influenzato una magistrata di riconosciuto equilibrio qual è Paola Lucente.
La difesa di Isabella Internò rifletta sui suoi errori che pur ci sono stati a cercare vie laterali dal processo e nell’Appello adoperi meglio i suoi argomenti a favore. Il desiderio di Giustizia negata e ottenuta parzialmente non dimentichi la presunzione d’innocenza di una condannata in primo grado che dopo il verdetto si continua a dichiarare innocente.
Si tratta di civiltà giuridica. Non va molto di moda. Va comunque sempre garantita per la difesa non di una presunta colpevole ma della libertà di tutti. Il caso Bergamini non è ancora finito.
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