MILANO Un racconto che parte dal passato e dalla storia, quella della miniera di sale di Lungro. Una storia tipicamente calabrese, silenziosa, vissuta nelle viscere della terra, a 300 metri di profondità, che oggi resiste in qualche cognome, nella memoria dei protagonisti e nell’attività meritoria del Salgemma Lungro Festival, grazie al quale il sogno di trasformare un polo di archeologia industriale in occasione turistica e magari di ripopolamento appare meno irrealizzabile che in altri posti simili della Calabria. L’Arberia è un’enclave di cultura orientale in Occidente, un arcipelago ricco di usi, costumi, riti e atmosfere. Lungro, sede dell’Eparchia, è il cuore della religiosità arbëreshë e delle funzioni in rito greco-bizantino, piene di sacralità. Arrivati in questo meraviglioso angolo di Calabria è impossibile non rimanere affascinati dalla remotezza dei luoghi. E il Festival è un percorso in grado di aprire nuovi orizzonti, raccontando un diverso e sorprendente immaginario di vita, partendo da quella storia che consente di invertire lo sguardo, non più rivolto al centro, alle città, ma alle aree interne.
Il Salgemma Lungro Festival è diventata una case history di successo, presentata (e premiata) a Milano nella sede della fondazione Luigi Rovati al Forum della Bellezza di Italia Patria della Bellezza. Nel corso del panel “Sapore di sale. L’acqua come protagonista e come forma di cultura: una risorsa strategica“, Erika Liuzzi – ideatrice del progetto – ha ricordato l’epopea dimenticata dei salinari di Lungro, gli eventi che hanno portato alla chiusura della miniera di Salgemma e l’impegno del Festival per riaccendere la speranza e invertire la narrazione. All’evento ha preso parte anche il sindaco del centro del Cosentino, Carmine Ferraro. (redazione@corrierecal.it)
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