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«Quando entri nella ‘ndrangheta il legame è indissolubile. Se sbagli muori»

“Regole” raccontate dal collaboratore Belnome e riprese dai pm nel processo “Propaggine”. «Non si può entrare o uscire a piacimento»

Pubblicato il: 26/11/2024 – 6:41
di Mariateresa Ripolo
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«Quando entri nella ‘ndrangheta il legame è indissolubile. Se sbagli muori»

ROMA «La ‘ndrangheta non è un club esclusivo, da cui si può entrare ed uscire a piacimento: una volta fatto ingresso dell’organizzazione, è possibile uscirne solo con la morte o collaborando con la giustizia». Una constatazione messa nero su bianco dai pm della Procura di Roma nella memoria depositata nel processo d’appello, con rito abbreviato, nato dall’inchiesta “Propaggine” che ha permesso di ricostruire le dinamiche criminali intorno alla cosca Alvaro, attiva a Sinopoli, Cosoleto e San Procopio e alla prima “locale” attiva a Roma, ad Anzio e Nettuno, che operava nella Capitale dopo avere ottenuto l’investitura ufficiale dalla casa madre in Calabria. Dichiarazioni, quelle sulle “regole” di appartenenza all’organizzazione criminale, che arrivano direttamente dalla voce di chi in ambienti di ‘ndrangheta ci è nato e cresciuto. Antonino Belnome, classe ‘72, diventato collaboratore di giustizia tra il 2010 e il 2011, le aveva già raccontate nel corso un interrogatorio nel 2021, e lo ha poi ribadito in aula ascoltato nel processo in primo grado che si sta celebrando con rito ordinario, interrogato dal pm Musarò. 

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«Una volta che entri il legame è indissolubile»

«Una volta che lei entra a far parte della ‘ndrangheta il legame è indissolubile tranne per due ragioni…. infamità, tragedie, carrette sotto banco intendo, la sua colpa la fa ricadere su un altro o lei va con una donna di un altro ndranghetista insomma che possa scalfire l’onore mbè non è che lei la prendono e la parcheggiano cioè lei muore’. Cioè nella ndrangheta la trascuranza è ammessa, lo sbaglio no! E dipende che sbaglio lei fa, lei muore!», ha rivelato Belnome, spiegando – come altri oltre a lui – che dalla ‘ndrangheta non si può uscire e che anche chi si “ritira in buon ordine” (per età o per ragioni di salute), resta comunque “a disposizione”: «Nella ndrangheta si può ritirare in buon ordine si dice per gravi problemi di salute e per anzianità ma il ritirarsi in buon ordine non vuol dire non essere al servizio della ndrangheta io non ti chiamo, non vieni alle riunioni, non vai a fare nessuna azione criminosa, ma se vengo da te e i dico tienimi sto bancale di armi tu mi devi tenere sto bancale di armi…(…) resti pur sempre a disposizione».

La “regola non scritta”

Una “regola” non scritta che, per secondo i pm, «dal punto di vista processuale, non implica alcun automatismo probatorio e ci si guarda bene dal sostenere che una condanna definitiva per partecipazione alla ‘ndrangheta vale anche per il futuro e a prescindere dalla condotta materiale del soggetto. E’ però innegabile che quanto riferito da Belnome – scrivono ancora – conferma quanto attestato in diverse sentenze definitive, fornisce una chiave di lettura importante». E il riferimento nel documento è alla posizione del boss Pasquale Vitalone: «Anche in epoca successiva alla sua condanna, – rilevano i pm – ha continuato a far parte della ‘ndrangheta e, dopo la costituzione del locale di Roma, si è “chiamato il posto” a Roma». (m.ripolo@corrierecal.it)

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