COSENZA «In qualche modo mi aspettavo vincesse il “no” perché intorno alle modalità di questo percorso non c’è stato un grande coinvolgimento precedente, intendo delle cittadine e dei cittadini dei tre dei tre contesti, quindi un po’ me lo aspettavo e anche i bassi numeri di affluenza, soprattutto in due dei contesti, lo testimoniano». È il commento del direttore del dipartimento di Scienze politiche dell’Unical, Giap Parini, rispetto alla vittoria del “no” nel referendum sulla Città unica tra Cosenza, Rende e Castrolibero. Raggiunto dal Corriere della Calabria, il professore ha spiegato che l’ipotesi di un percorso intelligente, moderno e di razionalizzazione «sarebbe stata auspicabile, ma su altre basi. Io credo che prima bisogna costruire le cose, poi chiamarle».
Il dato sull’affluenza ferma al 26% fa emergere quello che è il tema della disaffezione dei cittadini rispetto la vita comune e quella vita politica. «Lo scenario – ha detto Parini – è quello generalizzato oserei dire esteso almeno all’Occidente intero che è quello di una disaffezione per la politica, per la cosa pubblica, una sfiducia nei confronti di tutto quello che riguarda la politica e le decisioni. Qui parla il sociologo: gli individui si sentono sempre meno appartenenti ad una comunità, sentono sempre meno di essere all’interno di una relazionalità molto complessa e proprio per questa complessità si sentono o hanno l’illusione di sentirsi isolati». «Io in questo periodo dico sempre molto più spesso che se un tempo a contare erano i diritti, oggi le persone impaurite cercano di difendere privilegi». C’è poi un altro aspetto emerso dal voto: neanche il destino del proprio comune, del proprio municipio e del proprio “campanile” è riuscito a “smuovere” i cittadini. Secondo Parini tutto è crollato «nel momento in cui la politica ha finito di essere progettualità, ha finito di avere lungo respiro ed è diventata semplicemente la “politica degli slogan”, quella di chi la dice meglio degli altri, perché pensano di avere elettori tendenzialmente senza memoria o, meglio, così ci si illude di leggerli, e che si fanno attrarre, così ci si illude di leggerli, dai facili slogan».
Il percorso verso la città unica di per sé, per tutti i suoi fondamentali, era un percorso di modernità, un passo in avanti. E alla domanda se sia ormai irrimediabilmente perso Parini risponde così: «Ci sono due strade. Una è quella che io non auspico, questo è un referendum un consultivo, il presidente Occhiuto può andare avanti sulla sua linea, la legge glielo permette. Non so poi come reagirebbero gli elettori quando si tratterà di votare. In secondo luogo, però, io credo che siano adesso i tempi maturi perché i sindaci e le forze politiche e i cittadini, soprattutto di queste tre realtà, si mettano insieme e comincino a programmare oserei dire dal basso la Città unica, pensando ai servizi, alle sinergie, pensando a quello di cui i cittadini hanno bisogno. Io che vivo questa città unica che di fatto in qualche modo è già presente, spesso mi confondo su quale sia il confine tra Cosenza e Rende».
La politica naturalmente deve tenere conto del giudizio degli elettori, ma non è forse la funzione primigenia della classe dirigente anticiparla e fare cose quando anche il corpo elettorale non le abbia comprese fino in fondo? «Certamente, ma allora si fanno su altre basi, pensando a costruire la Città unica prima che a crearne una cornice fittizia». Insomma, l’obiettivo era giusto ma il metodo era sbagliato. «Esatto», chiosa Giap Parini. (redazione@corrierecal.it)
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