Feroleto della Chiesa è un paesino prevalentemente collinare. Clima mite anche d’inverno ed economia basata sull’agricoltura. Un centro abitato privo di uno stile organico, in cui spiccano qualche palazzotto nobiliare con i portali in granito e i ruderi della Chiesa della Madonna del Rosario.
Nel dicembre del 1964, Fortunato Furfaro come ogni giorno sta portando al pascolo le sue pecore. Ha 18 anni e fa il pastore già da un po’ di tempo. Anche quella mattina il suo gregge invade l’uliveto di Rocco Lemma, un uomo più grande di lui che lavora i campi da colono. Un fatto che ormai si ripete da anni e che Rocco non riesce più a sopportare. Quel giorno tra i due scoppia l’ennesimo litigio, volano parole grosse che, stavolta, però, si concludono in tragedia. Rocco prende il suo fucile e spara al ragazzo uccidendolo sul colpo. Una reazione istintiva, brutale, imprevedibile che non sa come gestire. È poco lucido, è nel panico, non vuole che il corpo di Fortunato venga ritrovato nel suo terreno, e allora lo trasporta a fatica per diversi metri per poi gettarlo in un dirupo lontano dalla zona. Quando torna a casa, non parla di ciò che è accaduto neanche con la sua famiglia. Ma col passare delle ore, dei giorni, i sensi di colpa iniziano a togliergli il fiato, il sonno. Non può più tenersi tutto dentro.
Il 15 dicembre, esattamente quattro giorni dopo aver ucciso il giovane Fortunato Furfaro, il suo assassino Rocco Lemma decide di costituirsi. Vivere con quel peso dentro è impossibile, non riesce più a guardare negli occhi sua moglie Carmela. Si presenta nella stazione dei carabinieri e racconta per filo e per segno ciò che è accaduto. Ogni dettaglio, ogni parola prima dei colpi mortali partiti dal suo fucile. Viene subito arrestato e da quel momento in poi la vita di due famiglie, la sua e quella di Fortunato Furfaro, piomba nell’abisso.
A Concetta Lemma manca suo padre Rocco. Ha appena sedici anni e senza la sua chioccia, il suo punto di riferimento, si sente smarrita. Dall’altra parte, il dolore immenso e incomprensibile per la morte assurda di Fortunato, porta la famiglia Furfaro a provare sentimenti contrastanti, rassegnazione, dolore e rabbia. Soprattutto rabbia.
A manifestarla è Giuseppe, il fratello maggiore di Fortunato. Vuole vendicare quella perdita lancinante, ma come fare con il suo assassino in carcere? Ci pensa su per giorni, fino a quando si decide.
La mattina dell’11 gennaio 1964, esattamente un mese dopo la morte di Fortunato Furfaro, per le vie di Feroleto della Chiesa regna un silenzio inquietante. Sono da poco passate le festività natalizie che in casa Lemma sono volate via senza niente da festeggiare, come se fossero giorni di lutto. Concetta è già in piedi e sta preparando il caffè quando, improvvisamente, qualcuno sfonda la porta di ingresso. Lei si volta d’istinto e le viene spontaneo urlare: di fronte a lei c’è Giuseppe Furfaro, tiene tra le mani una lupara. Quel suono di terrore viene subito messo a tacere da due colpi che prendono la ragazza in pieno petto. Concetta cade a terra, non ha più voce, piange e prima di andarsene per sempre riesce a vedere sua madre Carmela piombare nella stanza. Non saprà mai che Giuseppe Furfaro le risparmierà la vita. Per lui, la vendetta poteva dirsi consumata, è stato solo un caso che a pagare con la vita sia stata Concetta.
Verrà arrestato e condannato a 20 anni di carcere, gli stessi di Rocco Femia. (f.veltri@corrierecal.it)
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