VIBO VALENTIA «Intraneo di entrambi i sodalizi» e «pienamente consapevole di agevolare» la ‘ndrina Anello-Fruci, rafforzandone così «la forza economica, il prestigio criminale e la capacità operativa sul territorio». Con queste motivazioni, rese pubbliche da poco, i giudici del Tribunale di Vibo Valentia hanno condannato Pasquale Rondinelli a 25 anni di carcere con uno “sconto” di un solo anno sulla richiesta della Dda. La sentenza del processo Imponimento contro la cosca Anello-Fruci risale al 18 giugno, con una pronuncia di 48 condanne e 25 assoluzioni, tra cui quelle dei fratelli Stillitani. Nei confronti del 44enne di Filadelfia è arrivata, però, una condanna pesante. Ritenuto dagli inquirenti «distributore» della droga per conto del clan e accusato di detenzione per le armi a disposizione della ‘ndrina, a Rondinelli è anche contestato il ruolo in alcune estorsioni a strutture ricettive alberghiere. Sono 17 gli anni, invece, per Vincenzo Rondinelli, fratello di Pasquale, e ritenuto insieme a lui «custode delle armi» per la cosca.
Il tutto, secondo gli inquirenti, a favore della ‘ndrina degli Anello-Fruci. Accuse per i giudici «comprovate» sia delle intercettazioni che dalle propalazioni del collaboratore di giustizia Francesco Michienzi. Le sue dichiarazioni dimostrerebbero «il contributo fornito alla cosca dall’imputato» Pasquale Rondinelli. In primis, nel ruolo di guardiano di una nota struttura turistica del territorio, posizione che «poteva tornare utile per la gestione degli affari della cosca». Dalla ricostruzione emerge «la volontà degli Anello di inserire il sodale Rondinelli nello staff della guardiola del villaggio turistico», nonostante l’opposizione dello stesso Michienzi alla proposta. Assunzioni che sarebbero state volute e gestite dalla ‘ndrina anche secondo il pentito Giuseppe Comito. L’imputato, secondo il pentito, sarebbe stato già noto all’interno dell’associazione «proprio perché aveva in gestione le armi della cosca».
Un ruolo che avrebbe avuto insieme al fratello Vincenzo. «Le custodivano loro (i Rondinelli, ndr), sapevamo che le custodivano dietro l’abitazione perché avevano a disposizione una fitta boscaglia con dei viali» ha riferito Michienzi. «Modificavano le armi, erano pure molto bravi perché mi ricordo che in alcuni casi sono riusciti a fare delle pistole che vendevano le famose scacciacani, le trasformavano in armi vere». Pasquale Rondinelli avrebbe avuto anche un ruolo nello smercio di droga per conto del clan. Secondo i giudici «è incontrovertibilmente emerso il collegamento del Rondinelli con Tommaso Anello», sulla base di alcuni incontri registrati dagli investigatori. Fino all’arresto avvenuto nel 2017 in cui Rondinelli viene trovato con droga e armi. Per i giudici è rilevante anche la conversazione intercettata tra gli Anello, in cui «sono evidenti il disappunto e l’agitazione dei conversanti a conferma del fatto che la perquisizione, l’arresto del Rondinelli e il sequestro di armi e droga preoccupavano Tommaso Anello». Secondo il collegio, è da rifiutare la tesi che l’imputato lavorasse in autonomia, ma «è certo il ruolo dinamico e di rilievo dell’imputato all’interno dell’organizzazione criminale, quale distributore di sostanza stupefacente». (ma.ru.)
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