Per i nuovi medici di famiglia assunzione direttamente dal Servizio sanitario nazionale per lavorare sul territorio nelle oltre 1400 Case di Comunità che apriranno in tutta Italia entro metà del prossimo anno grazie ai fondi del Pnrr, negli ospedali di comunità, nelle Cot (le Centrali operative territoriali) e nei distretti in team con gli altri colleghi. «I giovani dottori che decideranno dopo la nuova specializzazione universitaria in cure primarie di diventare medici di famiglia non saranno più infatti come oggi dei “liberi professionisti” che siglano una convenzione con il Ssn in base alla quale tenere aperti i loro ambulatori per alcune ore al giorno gestendo un determinato numero di pazienti (1500 al massimo che con le deroghe arrivano in media a 1800) in modo autonomo e spesso troppo isolato, ma saranno dei veri e propri dipendenti assunti con orari e contratti nazionali». È questo – secondo quanto riportato dal Sole 24Ore – il piano a cui sta lavorando il ministero della Salute con la collaborazione di un gruppo di Regioni – in particolare Friuli, Veneto, Emilia Romagna e Lazio che hanno lavorato a una prima bozza appena chiusa – per arrivare a una riforma. «A parte i neo-assunti tutti gli altri medici di famiglia – oggi ridotti a poco più di 37mila – potranno scegliere di restare “convenzionati”, ma dovranno comunque mettere a disposizione un certo numero di ore a settimana (almeno 14-16 ore) per il distretto: magari per fare delle vaccinazioni, delle visite a casa dei pazienti o fare attività nelle Case di comunità».
Cambia anche la formazione e poi la doppia opzione. «La bozza – scrive il Sole 24Ore – è già alla valutazione tecnica anche perché l’intervento impatterà su tutta l’architrave normativa che regge il Ssn e cioè la legge 502 del 1992 e le sue revisioni. L’obiettivo è quello di ripensare tutto il percorso di accesso alla medicina generale, compresa la formazione specialistica post laurea che diventerà di rango universitario (oggi è regionale). Per i nuovi dottori di famiglia, come detto, il destino sembra quello unico della dipendenza – come chiedono ormai da tempo in coro tutte le Regioni – mentre per gli altri medici di famiglia che decideranno di restare nei loro ambulatori – ci sarà la possibilità di fare una opzione – si valuta un impegno in base al carico di assistiti, ma assicurando un numero minimo di ore (14-16 a settimane) a disposizione del distretto sanitario».
Altro obiettivo è quello di non far diventare le case di comunità delle «cattedrali nel deserto», come ha sottolineato lo stesso ministro Schillaci: dal monitoraggio dell’Agenas aggiornato a giugno 2024 emerge che «in ben 120 Case di comunità delle 413 attive non è prevista neanche l’attività di medici di assistenza primaria e in 137 non ci sono pediatri. Soltanto in 175 Case di comunità la presenza di medici è prevista tra 50 e 60 ore a settimana e in 141 quella dei pediatri».
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