Sapete qual è la residenza napoletana dove Giacomo Leopardi visse i suoi ultimi anni, dove scrisse “La Ginestra” e di chi è oggi?
La villa si chiamava Palazzo Ferrigni, si trova a Torre del Greco e, in memoria del poeta celebrato nella seguitissima miniserie di RaiUno di Sergio Rubini, si chiama oggi Villa delle Ginestre. Alle falde del Vesuvio, con uno splendido affaccio sul vulcano da una parte e sul Golfo dall’altra, era di proprietà di Giuseppe Ferrigni, che sposò Enrichetta Ranieri, sorella di Antonio, l’amico di Leopardi. La villa è dal 1962 di proprietà dell’Università Federico II, ma la gestione e la valorizzazione del sito, successivamente, sono state affidate alla Fondazione Ente Ville Vesuviane che vi ha realizzato un percorso museale che esalta la visita alla stanza che ospitò il poeta dove è conservata la struttura e il mobilio storico.
Sono numerosissime le Ville della fascia costiera vesuviana, esattamente 122, oltre quelle gestite dalla Fondazione (Villa Campolieto, il Parco sul Mare della Villa Favorita, la Villa Ruggiero a Ercolano e la Villa delle Ginestre a Torre del Greco), tutti edifici monumentali che si trovano nei comuni di Napoli, San Giorgio a Cremano, Portici, Ercolano e Torre del Greco. Una curiosità poco nota riguarda la nipote di Leopardi. Sul finire dell’Ottocento un nipote di Giuseppe Ferrigni sposò Adelaide Leopardi, pronipote del Poeta e abitarono per breve periodo nella Villa dove la giovane sposa morì. Nel 1907 la Villa passò in eredità ad Antonio Carafa, pronipote di Giuseppe Ferrigni. A quel periodo risale la ristrutturazione della residenza con la creazione del porticato sui tre lati a sorreggere la terrazza superiore conferendo alla Villa l’aspetto attuale. Fu il re Vittorio Emanuele, nel 1937, a volere una targa commemorativa in onore di Leopardi che qui compose, oltre alla Ginestra, la sua ultima poesia, Il Tramonto della luna.
Per visitare la villa di paga un ticket di 6,50 euro.
Napoli forse dovrebbe fare di più per ricordare Leopardi. È qui che riposa il poeta, ammesso che le sue spoglie siano effettivamente quelle custodite dalla tomba che si trova al parco Vergiliano a Piedigrotta. Attenzione, se volete andare a fare una visita, a non confonderlo con il parco virgiliano, sempre a Napoli, che si trova a Posillipo. C’è solo una vocale di differenza ma si tratta di due oasi diverse. Il parco dove riposa Leopardi si trova a due passi dalla stazione di Mergellina (prima del tunnel che porta a Fuorigrotta allo stadio Maradona) famoso anche perché conserva le spoglie che si presumono appartenute a Virgilio. I due grandi poeti italiani si fanno compagnia, o ci piace pensare così. Il cenotafio di Virgilio è un colombario di età romana.
Il Parco dal 1922 ospita anche le spoglie di Leopardi morto a Napoli e sepolto inizialmente nella vecchia chiesa di San Vitale Martire a Fuorigrotta. Ma la storia dei resti del poeta è un giallo finora non risolto. Giacomo morì a Napoli, a 39 anni, durante una famosa epidemia di colera, nella casa che divideva con l’ amico Antonio Ranieri. Leggi speciali e severissime imponevano che tutti i morti venissero sepolti in fosse comuni e poi bruciati per evitare l’ estendersi del contagio. Antonio Ranieri ha sempre sostenuto di essere riuscito a “salvare” Giacomo dai monatti, e con la complicità di alcuni religiosi di averlo sepolto nella chiesa di San Vitale a Fuorigrotta (il religioso che nella fiction di Rubini è interpretata da Alessandro Preziosi che parla con accento napoletano). Quando però nel 1900 la salma venne riesumata la delusione fu davvero grande.
Nella cassa infatti c’erano soltanto alcuni frammenti di ossa, un femore lungo 45 centimetri, niente del dorso, né del cranio. Nella cassa c’erano anche la suola e il tacco di una scarpa che Beniamino Gigli (il tenore) comprò e regalò al comune di Recanati.
Dunque quei resti trasportati nel 1939 per volere di Mussolini nel Parco Virgiliano di Posillipo, e meta di pellegrinaggio mondiale degli amanti di Leopardi, non sarebbero affatto del poeta. L’ ipotesi più probabile è che la salma di Leopardi sia finita in una di quelle fosse destinate ai malati di colera e che Antonio Ranieri abbia mentito per poter così accreditarsi come custode della memoria di Giacomo. Del resto lo stesso Ranieri per molti anni nascose lo Zibaldone, affermando di non sapere dove fosse finito. Il manoscritto fu invece ritrovato proprio in casa sua. (redazione@corrierecal.it)
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