MILANO Una Fiat Punto bordeaux, una manovra “azzardata”, due colpi di lupara. Poi il drammatico silenzio che precede le urla di aiuto e di dolore. «Correte, a mio padre è esploso il cervello» ricorda di aver gridato ancora stordito dai boati Lorenzo Sanua. Suo padre Pietro, ambulante e sindacalista, fu ucciso il 4 febbraio di 30 anni fa nell’agguato di via Di Vittorio a Milano. Quella mattina erano insieme sul furgone, il figlio sul sedile passeggero, lui alla guida del veicolo, in viaggio verso Corsico, nell’hinterland milanese, dove avrebbero allestito il bancone per vendere i fiori. I colpi di lupara arrivano alle 6:10, giusto pochi secondi dopo che lo stesso Pietro aveva notato la strana e “azzardata” manovra della Punto indirizzata verso il loro furgoncino rosso.
Un omicidio cruento avvenuto nell’alto Nord con le modalità tipiche di un agguato mafioso, ma rimasto ancora a 30 anni di distanza senza colpevoli. Dietro, l’ombra della ‘ndrangheta, gli affari dei clan calabresi nella “Platì del Nord” e una verità giudiziaria che potrebbe arrivare presto. Anche, spera il figlio Lorenzo, su quelle indagini che nel 1995 si arenarono subito. Ad agosto di quell’anno, dopo solo 6 mesi, l’inchiesta viene archiviata: nessun movente, nessun sospetto, nessun volto dei killer che dopo l’omicidio incendiarono l’auto e si diedero alla fuga. «Viene da chiedersi se davvero ci siano state sottovalutazioni, omissioni, complicità» afferma al Corriere della Sera il figlio Lorenzo, oggi divenuto referente di Libera per il Sud-Ovest di Milano. Per trent’anni ha lottato affinché si indagasse ancora sul delitto del padre, poi inserito come vittima innocente grazie alle ricerche di Mattia Maestri e del professore Nando dalla Chiesa. Il primo caso caso di “ricerca sociale”, finanziata dalla famiglia della vittima e affidata a Cross, l’osservatorio sulla criminalità organizzata. La direzione distrettuale antimafia riapre così le indagini, con i sospetti che oggi sembrano indirizzare verso una pista che legava il suo impegno da sindacalista agli interessi della criminalità organizzata a Milano.
Da presidente provinciale dell’Associazione nazionale venditori ambulanti Pietro Sanua aveva denunciato il “racket dei fiori”, fondato “Sos impresa”, e vigilava sui mercati di Corsico, Quarto Oggiaro e Buccinasco. Proprio quella Buccinasco che, col tempo, verrà soprannominata la “Platì del Nord”, la roccaforte di ‘ndrangheta in terra lombarda. Il paese in cui, in quel periodo, si espanse la ‘ndrina dei Papalia, pur mantenendo un legame diretto con il vertice ‘ndranghetista in Calabria. La stessa Buccinasco che oggi “resiste” e si ribella alla presenza della malavita calabrese, provando anche a debellare la nomea di città di ‘ndrangheta del Nord. Tempi lontani da quando le ‘ndrine si spartivano il traffico di droga, gli appalti, con interessi nell’economia e con il bar di Corsico, strategico per l’affaccio sulla Vigevanese, come “quartier generale” da cui il clan Sergi-Papalia impartiva ordini e gestiva il narcotraffico.
Lungo quella strada, la vecchia Vigevanese, venne ucciso Pietro Sanua. Oggi l’ipotesi ‘ndrangheta, tratteggiata anche dalle recenti indagini coordinate dalla pm Alessandra Dolci, resta ancora sullo sfondo e teorica, ma comunque avanza un terzo filone rispetto ai primi due che non portarono risultati concreti. Inizialmente, dopo la solita pista passionale, si seguì quella dei sorteggi per gli spazi pubblici pilotati al Comune, poi quella del traffico di droga all’interno dell’Ortomercato di Milano. Una “piccola” svolta è arrivata nel 2023. Le indagini della Direzione distrettuale antimafia hanno portato a Oppido Mamertina, dove sono state condotte alcune perquisizioni nell’abitazione del fratello di un boss della ‘ndrangheta. Al momento, nessuna misura cautelare è stata applicata e il “cold case” resta ancora senza soluzione. «La speranza c’è sempre – ha detto Lorenzo Sanua al Corriere della Sera -, sappiamo che l’impegno della procura c’è stato e abbiamo la massima fiducia nel lavoro della dottoressa Dolci». La verità – aggiunge – «la cercherò finché sarò vivo. Non posso fare altro». (ma. ru.)
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