LAMEZIA TERME «C’è uno scontro serio in atto tra magistratura e politica». A parlare è Franco Giampà, avvocato del foro di Lamezia Terme, ospite di In primo piano, la rubrica di approfondimento in onda su L’altro Corriere Tv condotta da Danilo Monteleone. «Lo abbiamo visto all’inaugurazione dell’anno giudiziario con la protesta dei magistrati che notoriamente non sono rivoluzionari incalliti, eppure hanno voltato le spalle al rappresentante del governo. Pochi giorni dopo è arrivata la “risposta” di Meloni a quello che avrà considerato un attacco sfrontato della magistratura». Oggetto della contesa è la discussa riforma della giustizia, fortemente criticata dai magistrati e al contempo strenuamente difesa dal governo. «Lo stesso Nordio in Parlamento ha risposto che si andrà fino in fondo con la riforma» continua Giampà che evidenzia anche: «Stiamo parlando però di una riforma che non può basarsi sulla contrapposizione forzata, sulla incomunicabilità tra i protagonisti, su scelte quasi brandite come minaccia. Lo scontro, cosi aperto, cosi profondo e plateale non fa bene a nessuno. Ecco perché ho guardato con preoccupazione a quel gesto dei magistrati».
Nella discussione Giampà ha evidenziato, in questo senso, il ruolo degli avvocati. «Siamo una parte decisiva e fondamentale del processo, garantiamo quel diritto di difesa senza il quale viene meno non solo l’idea di giustizia ma anche l’architettura di uno Stato che possa definirsi autenticamente democratico. Oggi, nonostante negli anni non ci si sia prestato ascolto a sufficienza, siamo sempre noi avvocati ad indicare il percorso più corretto ed equilibrato. Forse, mi passi l’espressione, perché è insita nella professione, anzi nella missione del difensore, da un lato la forte interiorizzazione del concetto di giustizia, dall’altro la comprensione e la valutazione, anche emotiva, di chi è coinvolto in un procedimento giudiziario. Un processo giusto e con parti effettivamente equilibrate rende concreta la giustizia e preserva il diritto di chi deve difendersi e farlo senza essere limitato nelle sue possibilità».
Tra i temi al centro del dibattito c’è la separazione delle carriere, che per Giampà sarebbe più che altro un «pretesto che non risolve il problema della giustizia»: «In realtà c’è già all’80%, perché con le riforme fatte adesso il passaggio alla magistratura giudicante può avvenire solo una volta nella carriera. I veri problemi sono altri». In primis, spiega Giampà «si andrebbero a creare di fatto due Consigli superiori della magistratura, uno per i magistrati requirenti, l’altro per la magistratura giudicante. Addirittura si prevede un terzo organismo, l’Alta Corte, che invece avrà il compito di disciplinare per entrambe». Di fatto, secondo l’avvocato, questo scenario porterebbe a «una divisione della magistratura».
Anche l’estrazione a sorte è un punto da criticare: «Una cosa paradossale. Il consiglio sarebbe formato da rappresentanti politici scelti con sorteggio ma tra quelli in Parlamento. Invece, la parte della magistratura sarebbe scelta tout-court a sorte». Leit motiv della discussione la necessità di procedere a riforme, ritenute necessarie ed improcrastinabili, ma farlo nel modo corretto e cioè senza causare lacerazioni i cui effetti si manifesterebbero nell’immediato futuro, pregiudicando la funzionalità e l’efficacia del sistema giustizia. La situazione attuale, spiega l’avvocato, è anche figlia di quel correntismo e di tutti quegli episodi, discutibili, che hanno fornito della magistratura un’immagine non proprio positiva, indebolendo drammaticamente. Originale la chiave interpretativa fornita da Giampà in ordine allo “sdoppiamento” del Consiglio Superiore della Magistratura «le modalità di elezione a sorteggio minano il principio di rappresentatività ma è anche vero che assegnare alla magistratura requirente un proprio autonomo organo di autogoverno potrebbe generare, in prospettiva, un pubblico ministero più forte di oggi, con maggiori poteri e questo rappresenterebbe un ulteriore fattore di rischio. Per ipotesi, e paradossalmente, potremmo trovarci anche di fronte ad un pubblico ministero che segue finalità diverse dalla giustizia, magari indaga ma trascura il processo perché, di fatto, il risultato che voleva lo ha già raggiunto. Insomma si tratta di temi delicati e che vanno affrontati con equilibrio e con un surplus di responsabilità».
Tutto si inserisce in un contesto in cui si assiste a una crisi di fiducia nella magistratura. «Ma questo è dovuto anche alle carenze del sistema giustizia. Ci sono alcune parti del paese dove i processi si svolgono veloci, altri sono più lenti e ne soffrono cittadini e imprese. Questo determina una sfiducia». Emblematico è il caso della Calabria, dove «stiamo vivendo una situazione che è indicativa dei limiti di come viene gestita la giustizia. Ad esempio, uno dei processi più importanti contro la ‘ndrangheta, Rinascita Scott, viene celebrato fuori regione. Lo Stato non riesce a garantire al sistema giustizia neanche il luogo fisico dove celebrarsi, questo è un dramma. Non è solo un problema degli avvocati, ma come fa lo Stato a sconfiggere l’organizzazione criminale più potente al mondo quando non è neanche nelle condizioni di garantire le condizioni fisiche per svolgere il processo nel suo posto?». Per questo lo scontro tra magistratura e politica è «ancora più allarmante. Quando c’è uno scontro c’è sempre un terzo che se la ride e che ha da guadagnare. Dovremmo invece fare fronte comune e creare le condizioni perché il sistema giudiziario vada in fondo». (redazione@corrierecal.it)
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