VIBO VALENTIA «I Bonavota non erano molto legati ai riti di affiliazione, anche se Vincenzo Bonavota ci teneva molto a queste cose ed anche i figli erano tutti rimpiazzati». «So che Pasquale Bonavota ha auto lo “sgarro” e fu lui che non volle mai andare oltre a questa dote, ritenendola l’unica che contava veramente. Domenico Bonavota che io sappia ha la dote del “padrino”». A parlare davanti ai pm della Distrettuale antimafia di Catanzaro è Francesco Salvatore Fortuna (cl. ’80) di Tropea, collaboratore di giustizia da qualche mese. L’ex “braccio armato” del clan Bonavota e protagonista dei piani omicidiari del clan di Sant’Onofrio, ha illustrato una lunga serie di episodi e dettagli – alcuni ancora inediti – finiti in decine di pagine di verbali, ora allegati all’appello del processo “Rinascita-Scott”.
Fortuna, in particolare, ha spiegato ai pm alcuni degli aspetti legati ai riti di affiliazione e alle regole da seguire dai locali di ‘ndrangheta. «So che loro (i Bonavota ndr) inserivano nelle copiate i loro amici, o comunque soggetti a loro vicini, senza seguire le regole di Polsi, ossia il fatto di dover inserire alcuni nomi prestabiliti. Nella sostanza si trattava una cosa interna, di cariche assegnate, ma che rimanevano al livello del nostro territorio». Il pentito, ai pm, cerca di chiarire questo aspetto, facendo riferimento ad un locale di ‘ndrangheta i cui appartenenti non sarebbero stati in grado di riconoscerlo perché rispondeva a Polsi, riconoscendo dunque solo i soggetti formalmente affiliati secondo le regole ufficiali dei clan. «Tutti ci conoscevamo tra di noi, ma i componenti del mio gruppo avevano deciso di non farsi riconoscere a Polsi perché questo avrebbe voluto dire mettersi a disposizione in qualsiasi circostanza per qualsiasi cosa e dare conto di ciò che facevamo».
E spiega ancora il pentito ai pm della Dda: «I locali del vibonese riconosciuti a Polsi erano pochi, circa 3 o 4, nella specie Serra San Bruno, l’Ariola e pochi altri. Per tutti gli altri funzionava come vi sto dicendo, allo stesso modo di come funzionava nel mio gruppo. Anche io sono stato “rimpiazzato” da Domenico Cugliari e ho ricevuto fino alla dote del “padrino”. Nella mia copiata c’era Giuseppe De Stefano, Damiano Vallelunga e Rocco Anello». Secondo Francesco Fortuna «anche se le copiate e le doti che venivano conferite a Sant’Onofrio non corrispondevano a quelle stabilite a Polsi» ma «spesso, all’interno delle stesse, vi erano nominativi di ‘ndranghetisti di assoluto rilievo che invece a Polsi erano riconosciuti (come nel caso di Damiano Vallelunga)». «Questi soggetti – ha spiegato – venivano messi a conoscenza del conferimento di queste doti e dell’inserimento dei loro nomi nella copiata, generalmente prima del conferimento, ma, se i rapporti lo consentivano, anche successivamente».
Secondo il racconto del pentito in ogni caso questi soggetti dovevano dare il loro consenso al conferimento della dote e all’inserimento in copiata, cioè, “ratificare” la concessione in un secondo momento. «Il fatto che tali doti non fossero conferite in piena conformità con le strette regole di Polsi», ha spiegato «non significa che non avessero alcun significato o valenza all’esterno di Sant’Onofrio». In ogni caso, ha spiegato ai pm il pentito, «tutti noi abbiamo ricevuto delle doti, portando in copiata soggetti comunque di spessore e, per come mi veniva sempre detto, questa cosa serviva soprattutto all’interno delle carceri». E fa un esempio: «Mi riferisco alle gerarchie che si devono rispettare all’interno delle carceri, alcune regole che devono essere osservate come per esempio il possessore della carica più elevata deve sedere a capotavola (…) ma ormai queste cose stanno scemando, le condizioni carcerarie sono mutate e nessuno vuole più rischiare di dare nell’occhio». (g.curcio@corrierecal.it)
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