Nuovi episodi del calabrese Peppe Sculli, ex campione del calcio di buon talento con carriera inceppata da ascendenza parentale ingombrante essendo nipote diretto di Giuseppe Morabito, al secolo scorso noto come il “tiradrittu”, capo assoluto ad Africo e quando arrestato ritenuto boss della stessa caratura di Provenzano. Sculli in chiave preventiva ha inteso far sapere tramite il giornalista Klaus Davi che lui con il processo che si apre tra pochi giorni su quel troncone di curve milanesi infette e contaminate dalle ‘ndrine non ha nulla a vedere.
Una sorta di Gascoigne dalla fedina penale pulita Sculli, ma dalle ombre sempre incombenti. Indicato come paciere tra le fazioni in campo, l’ex attaccante calabrese si premura di far sapere che al suo ristorante milanese i capi malandrini della curva nerazzurra Andrea Beretta e Vittorio Boiocchi lui non li ha mai incontrati perché non li conosce: «Magari sono andati al mio ristorante ma io non c’ero. È un posto pubblico, si può anche andare, ma io rapporti con questi non li ho mai avuti».
Certo i ristoranti sono un problema per Sculli considerato che aleggia anche il sospetto di aver potuto cenare al locale “I malacarne” (nome omen) di Cologno Monzese ristorante di proprietà di tal Rosario Calabria, esercizio oggi chiuso e ritrovo storico degli ultrà rossoneri; ma anche qui Sculli afferma di non esserci mai stato come sostiene di non saper nulla del defunto Antonio Bellocco. Circa un decennio addietro il ristorante sospetto era invece il “Met-Villa Brasini” finito nelle tinte fosche di “Mafia capitale” e il commensale sospetto allora era Giovanni De Carlo della scuderia Carminati. Solo sospetti considerato che Sculli da quell’indagine non ha avuto nessun provvedimento giudiziario.
Per tornare al presente Sculli a Davi dice che il pentito Beretta lo conosceva di vista perché lavorava alla discoteca Hollywood dove andava a ballare. L’amicizia con Enzo Anghinelli, uscito vivo per miracolo da un agguato a via Cadore a Milano, invece è legata al fatto che l’ultrà milanista perdente abitava di casa vicino al ristorante di Sculli. Il rapporto doveva essere alla meridionale considerato che Anghinelli e il figlio per ammissione dell’ex calciatore furono invitati al suo matrimonio in Calabria. Questioni di centimetri come un gol annullato dal fuorigioco senza Var. Sculli nell’intervista racconta che nel 2004, vincitore del bronzo olimpico, fu tenuto lontano dal Quirinale per la cerimonia con il presidente delle Repubblica. Evidente che il cerimoniale di Carlo Azeglio Ciampi ritenne sconveniente la foto ricordo con un calabrese locrideo dalla parantela imbarazzante. Circostanza che fanno dire a Giuseppe Sculli: «Se non fossi stato il nipote di Tiradritto avrei potuto giocare in Nazionale ma non ci sono mai arrivato eppure ci giocano delle pippe mostruose». Va ricordato che il bomber quella medaglia olimpica l’aveva dedicata al nonno.
Una vita calcistica spericolata e irta di ostacoli quella di Giuseppe Sculli. Si è sempre raccontato che nella sua lunga latitanza durata 12 anni nonno “tiradrittu” non mancasse di leggere sui giornali i progressi del nipote che porta il suo stesso nome. Giuseppe Sculli nasce a Locri nel 1981, ma è cresciuto a Bruzzano Zeffirio, paese della Jonica di poche anime. A 7 anni inizia a frequentare la scuola calcio del paese. Qualcuno nota che ha i piedi buoni. Dopo tre anni, passa nella vicina Brancaleone e sogna una maglia che conta. Qualche osservatore chiama Moggi. Viene segnalato alla corte di casa Agnelli che lo opziona per la Juventus all’età di 13 anni. Il cammino di calciatore non ha “beneficiato” delle parentele mafiose. Un percorso tipico da piccolo campione. Il trauma di trasferirsi da un piccolo paese calabrese alla grande Torino “città dura e chiusa” come ricorderà lo stesso Sculli. Allenamenti e studi con profitto come richiedono i grandi vivai calcistici: un diploma e il calcio professionistico. Giuseppe non vede nonno Peppe già da un anno. Salito sui sentieri della latitanza dell’Aspromonte. Se ne ricorderanno gli investigatori di Dia e Ros che andranno a seguire le partite di Sculli con la speranza di incastrare il “tiradrittu” in tribuna. Ma il nonno non cadrà in quella trappola troppo prevedibile. Del nonno ‘ndranghetista disse in un’intervista al Corriere della sera di qualche decennio fa: «un generoso che amava aiutare il prossimo e spesso cercava e otteneva lavoro per chi aveva bisogno».
A Sculli quella parentela ha creato noie costanti anche perché certe araldiche non aiutano. A Crotone una squalifica per una partita truccata con compagni e dirigenti a fine campionato con il Messina, ma i calabresi jonici erano già retrocessi e si sa che così fan tutti. Atipico che il provvedimento arrivi a 4 anni dei fatti quando Sculli gioca con il Genoa e risulti l’unico sanzionato. Indimenticabile la contestazione a Marassi del 2012 quando gli ultrà genoani processano la squadra a fine partita per la pesante sconfitta interna con il Siena e impongono ai giocatori di levarsi le maglie del Grifone perché ritenuti indegni di portarla. L’unico a non dismetterla? Giuseppe Sculli, il quale però pagherà con tre mesi di squalifica il fatto di non aver collaborato con la Procura federale che indagava fatti e misfatti di quella partita. E poi di nuovo l’inchiesta sul calcioscommesse del mastino pm Salvini, Sculli archiviato; e poi ancora uno di quei straordinari casini di Corona con pestaggi e petardi ma qui siamo più dalle parti di Dagospia che del codice penale. Su Sculli avrebbe indagato anche Nicola Gratteri mentre era alla ricerca di pesci grossi del mare mafioso di Africo ma il magistrato all’epoca non emise nessun provvedimento nei confronti della celebre ala del calcio. Di recente abbiamo appreso invece in un’intervista televisiva a Peter Gomez che Gratteri quando arrestò nonno Peppe Morabito “Tiradritto” ebbe rispetto di quell’avversario che si era opposto al suo assassinio, perché lui era stato magistrato che non aveva avuto atteggiamenti “strani” rispetto ad altri suoi colleghi.
Ma la vera novità dello Sculli pensiero la registriamo oggi quando afferma che in Calabria: «Non ci tornerò mai più. È una terra bellissima però lì che futuro potrei garantire ai miei figli? Cosa gli posso garantire, che vadano al bar, che si bevano la birra e che giochino a carte dalla mattina fino alla sera? Questo non lo voglio». Per dirla con Brunori Sas tifoso di Juventus e Cosenza: «Ho imparato sin da bambino la differenza fra il sangue e il vino: E che una vita si può spezzare per un pezzetto di carne o di pane». Calabria terra crudele anche per Giuseppe Sculli. (redazione@corrierecal.it)
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