Molti cibi, da noi quotidianamente consumati, hanno un’origine millenaria e sicuramente sconosciuta ai più, anche se sono costantemente presenti in innumerevoli tavole italiane. La loro introduzione risale al pieno Alto Medioevo, quando l’Europa era un continente arretrato e sottopopolato ed in cui non esistevano ancora i cosiddetti “Stati Nazionali”.
L’agricoltura era povera e quasi sempre di puro sostentamento, con coltivazioni essenziali e affidata dai Nobili Feudatari a sottonutriti “servi della gleba”, che dovevano obbligatoriamente dare gran parte del loro misero raccolto ai Signori ai quali erano sottomessi. In questo contesto, forse stupirà sapere che tra il IX e XI secolo, la regione più avanzata e civilizzata dell’intero Continente europeo era la Sicilia. Essa però era in mano araba.
Tutto iniziò ai primi dell’800, anno in cui, tra l’altro, a Roma sorse il Sacro Romano Impero, quando, nella notte di Natale, Papa Leone III pose sul capo di Carlo Magno la corona imperiale. Il potere di Carlo si estendeva però solo nell’Italia settentrionale e negli altri territori sottomessi ai Franchi, mentre a sud dello Stato pontificio, vi era ancora una residua presenza dei Longobardi nel ducato di Benevento, mentre i restanti territori, ossia il Ducato di Napoli, la Puglia, la Basilicata, la Calabria e la Sicilia erano sotto il controllo dell’Impero Bizantino, con capitale Costantinopoli (l’attuale Istanbul).
Nelle zone sottomesse ai bizantini, vi era però un diffuso e radicato malessere, in quanto tale Impero era di fatto assente, ad esclusione di una forte tassazione che ricadeva sugli abitanti di queste terre. In Sicilia, come d’altra parte nelle altre aree dell’Italia Meridionale, il potere di Costantinopoli era in evidente declino e con un’esigua presenza militare imperiale.
In questo quadro gli arabi provenienti dal Nord Africa e in modo particolare dall’Ifriquya (l’attuale Tunisia), già fautori di numerose razzie nell’isola in cerca di bottino, nell’anno 827 decisero che era il momento di andare alla conquista di questa regione, un tempo così florida tanto da essere definita dai romani “granaio d’Italia”.
Il primo comandante che avviò militarmente questo processo si chiamava Asad ibn al-Furat e fu delegato in questa impresa dall’Emiro Ziyadat Allah I ibn Ibrahim, della dinastia degli Aghlabidi, ai quali da governatori che erano, nell’anno 800 venne loro riconosciuto dal Califfo Harun al Rashid il titolo di “Emiri” (ossia “Principi”).
E’ il caso di precisare come il mondo Islamico era (ed è ancora) diviso in due grandi correnti politico-religiose: i Sunniti e gli Sciiti. La prima, maggioritaria, riconosce come capo supremo il Califfo (termine traducibile come “Comandante dei Credenti”) ed al tempo aveva come capitale Baghdad, con la dinastia regnante degli Abbasidi. Al contrario, gli Sciiti non avevano (e non hanno) una capitale unica, ma nelle molte città in cui si praticava e si pratica questa fede, il capo riconosciuto era (ed è) l’Imam, ossia la “guida”.
Comunque sia, l’invasione della Sicilia iniziò nel giugno 827, da dove salpò dai porti dell’Ifriquya di Susa e Kairuan, una flotta con al comando Asad ibn al-Furat, composta da circa 100 navi e 10.000 uomini, comprendente in maggioranza guerrieri arabi e berberi. Lo sbarco ebbe luogo quasi due settimane dopo a Mazara del Vallo, sulla costa occidentale dell’isola.
Le prime conquiste avvennero, oltre che nella già citata Mazara, in numerosi centri minori e zone di campagna, ma negli anni e decenni successivi caddero sotto il controllo islamico rispettivamente Palermo (831), Messina (843), Siracusa (878) e infine Taormina (902), sancendo definitivamente il dominio arabo sulla Sicilia, che dal 948 diventò un emirato indipendente, sotto la dinastia dei Kalbiti ed avente come Capitale Palermo.
Le vittorie tunisine, come si può notare, non furono immediate, ma esse impiegarono vari decenni per giungere ad avere il controllo totale dell’isola. Questo si spiega con la resistenza messa in atto dal malmesso, ma nonostante ciò attivo, esercito bizantino, nonché da quella dei residenti, decisamente timorosi di finire sotto un controllo islamico.
Man mano che gli Arabi procedevano nelle loro conquiste, i siciliani presero atto con sollievo che i nuovi dominatori erano tutt’altro che dei semplici e feroci razziatori. Nei territori da loro progressivamente conquistati, la prima cosa che fecero fu infatti quella di concedere la massima libertà religiosa. Tanto ai cristiani ortodossi quanto agli ebrei, fu quindi loro consentito di professare pubblicamente la propria fede, dietro il pagamento di un’ imposta di relativamente modesta entità.
Pure il territorio dell’isola cominciò inoltre gradualmente a cambiare la sua fisionomia agraria. Infatti i nuovi dominatori introdussero innovative tecniche nell’agricoltura, colture prima sconosciute e sistemi di irrigazione precedentemente ignoti. A tal fine i nordafricani svilupparono sofisticate tecniche per sfruttare al meglio le falde acquifere, come i “quanat“ (canali sotterranei) e le “norie” (ruote idrauliche) che dotarono di acqua corrente anche le zone più aride.
Furono altresì introdotti nuovi metodi agrari, come la rotazione delle colture, che in Europa si diffonderà solo tre secoli dopo, e l’uso di concimi naturali, che migliorarono la produttività dei terreni. In alcune zone collinari furono ancora realizzati terrazzamenti, per sfruttare al meglio le aree scoscese ed avere nuovi spazi coltivabili.
Ma soprattutto introdussero prodotti del tutto sconosciuti nel Continente, che cambiarono profondamente il volto dell’agricoltura siciliana. Tra questi troviamo in primo luogo gli agrumi, ossia arance e mandarini che, come si è detto, durante l’inverno compaiono quotidianamente sulle nostre tavole, a testimonianza del loro millenario successo alimentare. Naturalmente fra gli agrumi vanno annoverati anche i limoni, divenuti anch’essi da secoli di uso comune in tanti preparati gastronomici.
Altre colture introdotte in Sicilia, furono ancora il riso, la canna da zucchero, la palma da dattero, il cotone, il sesamo e lo zafferano. Essi, come il riso ed il cotone, hanno incontrato notevole fortuna nelle nostre future produzioni agrarie destinate ai fini alimentari o nella manifattura tessile.
Considerando questo insieme di fattori, il dominio islamico della Sicilia nell’800 portò ad una vera e propria rivoluzione agricola, che trasformò profondamente la fisionomia agraria dell’isola e ne fece una delle regioni più produttive e prospere del Mediterraneo, alla quale dobbiamo riconoscere l’introduzione in un’Europa ancora arretrata e misera,di prodotti, gastronomici e non, di futuro successo.
Ma le innovazioni portate dagli arabi non si limitarono all’ambito agricolo, ma investirono numerosi altri campi, sia della conoscenza che dell’attività umana in genere. La prima, importantissima innovazione fu portata in ambito matematico, nel quale gli islamici introdussero un rivoluzionario sistema di numerazione, che usiamo regolarmente tutt’oggi .Esso prevedeva l’utilizzo del sistema decimale, che gli islamici avevano appreso in precedenza in India, i quali introdussero lo “zero” come “numero intero”, prima di allora del tutto sconosciuto agli europei. Tale sistema si rivelò subito un metodo molto più efficiente di quello romano nell’operare calcoli, sia semplici che estremamente complessi.
Non a caso, infatti, essi svilupparono l’algebra come disciplina autonoma, con contributi più che significativi di numerosi matematici (come per esempio Al-Khwarizmi, da cui il termine “algoritmo”), ed i cui lavori hanno fornito le basi per lo sviluppo, nei secoli successivi, di questa branca del sapere in Europa. Gli arabi hanno altresì tradotto molte opere dell’antica Grecia, come quelle di Euclide e di Archimede, contribuendo, anche in questo caso, alla rinascita degli studi matematici nel Continente.
Gli islamici hanno ancora portato le conoscenze mediche del mondo arabo, che all’epoca erano all’avanguardia, consentendone la diffusione nell’arretrata Europa dell’ arcaico, frastagliato e difforme panorama dei medici Ippocratici , Galenici, Erboristi, Guaritori religiosi e Chirurghi barbieri. Essi hanno ancora migliorato notevolmente l’ambito igienico, con la costruzione di bagni pubblici, sull’esempio delle antiche città romane.
Inoltre, e l’elenco sarebbe ancora lungo, hanno sviluppato l’architettura islamica introducendo nuovi modelli urbanistici, con la costruzione di quartieri residenziali, giardini di vario tipo, palazzi ricchi di stucchi, intarsi in legno e decorati con motivi geometrici e floreali, nonché splendide e numerosissime Moschee, parecchie delle quali successivamente furono trasformate in chiese per la loro magnificenza, come, ad esempio la Cattedrale della Capitale della Sicilia araba, Palermo.
Non va infine dimenticato, come anche in questa nuova realtà sorta in Sicilia, esattamente come in tutto il resto del mondo arabo, le donne vivevano secondo le norme e le tradizioni islamiche, la cui condizione principale era di assoluta subordinazione all’uomo e si realizzava quasi esclusivamente nella sfera domestica, in qualità di moglie e madre. E pur avendo diritti legali quali quelli riguardanti la proprietà e l’eredità, la loro vita pubblica era decisamente limitata ma, sia consentito dirlo, vivevano di sicuro in condizioni di maggiore considerazione, rispetto e libertà, in confronto ad alcune società odierne radicalmente islamizzate.
Ma come tutte le “epoche d’oro”, esattamente come quella greca e quella romana, anche quella della Sicilia araba fu destinata a concludersi. Questo non avvenne per ragioni interne, ma per motivi militari e religiosi. Papa NiccoIò II, infatti, desideroso di sbarazzarsi dei bizantini, divenuti Cristiani ortodossi dopo lo Scisma d’Oriente del 1054, e possibilmente anche degli “infedeli islamici”, nel 1059 stipulò il “Trattato di Melfi”, con il quale il capo Normanno Roberto il Guiscardo fu investito del titolo di “Duca di Puglia e Calabria” e gli fu promesso il futuro riconoscimento delle conquiste in Sicilia.
Così i Normanni, popolo guerriero per eccellenza, installatosi in Italia ad Aversa nel 1030 e provenienti dal Nord Europa in cerca di terre e di bottino, iniziarono una campagna militare che li vide prima espellere i bizantini dal Sud Italia ed in seguito invadere la Sicilia nel 1061 con Ruggero I d’Altavilla e suo fratello Roberto il Guiscardo al comando di una flotta di sole 30 navi e circa 3500 combattenti.
Nonostante ciò, l’esperienza normanna e le loro truppe corazzate e con un nutrito reparto di cavalleria, fu più efficace della fanteria leggera degli islamici, i quali, decennio dopo decennio videro cadere le loro città. Nel 1072 i Normanni conquistarono infatti Palermo e d il possesso definitivo dell’isola ebbe luogo nel 1091, con la caduta dell’ultima roccaforte, Noto. Così in 30 anni esatti la Sicilia passò di mano, finendo da quelle arabe a quelle normanne, i quali, unificando i territori conquistati ai bizantini con quelli dell’isola, nel 1130 proclamarono la nascita del Regno di Sicilia, avente come primo sovrano Ruggero II d’Altavilla.
L’epoca d’oro della Sicilia sotto la dominazione islamica finì così nel 1091, dopo poco più di 160 anni, ma i loro lasciti culturali e le loro introduzioni agronomiche restano ancora, a distanza di oltre un millennio, come muti testimoni di una civiltà in quegli anni incomparabilmente molto più evoluta dell’arretrata Europa, ma destinata a lasciare il passo ad una nuova “stagione d’oro” dell’isola che prenderà vita pochi decenni dopo con Federico II di Svevia, nuovo e brillantissimo Re di Sicilia e travagliato Imperatore d’Europa, soprannominato per le sue eccezionali qualità “Stupor Mundi”.
Cosa dire: così la storia ha decretato che per gli arabi andasse “l’epoca d’oro” del loro dominio in Sicilia. “Inshallah”.
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