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Assoluzione definitiva per l’ex vicecapo della Mobile di Vibo, Rodonò. Ecco perché

Era accusato di aver «favorito i Mancuso» e di aver «rivelato segreti d’ufficio» parlando al telefono con un avvocato

Pubblicato il: 31/03/2025 – 13:43
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Assoluzione definitiva per l’ex vicecapo della Mobile di Vibo, Rodonò. Ecco perché

LAMEZIA TERME Era stato accusato di aver «rivelato segreti d’ufficio» e lo avrebbe fatto durante una conversazione avvenuta con l’avvocato, Antonio Galati. Per i giudici della Corte di Cassazione è del tutto innocente. È il caso dell’ex vicedirigente della Squadra mobile di Vibo Valentia, il catanese Emanuele Rodonò (cl. ’71), condannato in primo grado e assolto in Appello e ora in via definitiva, con gli ermellini che hanno accolto la tesi difensiva dei legali Armando e Clara Veneto.  

Il processo

Rodonò era coinvolto nel processo “Purgatorio”, in cui era accusato anche di concorso esterno in associazione mafiosa per presunti rapporti con la cosca Mancuso. Nel processo era coinvolto anche l’avvocato Antonio Galati (assolto in appello perché il fatto non sussiste) così come Rodonò, escludendo quindi il concorso esterno mentre era già prescritto in primo grado il reato di rivelazione di segreti di ufficio. I giudici avevano sottolineato come non potessero «dichiarare l’assoluzione» perché non erano «assolutamente certi che il fatto non fosse mai avvenuto» o che l’imputato non lo «avesse commesso o che non fosse penalmente rilevante». In appello, dunque, ciò non era avvenuto perché «il reato risultava provato dalla telefonata intercettata tra il Galati e Rodonò, il cui contenuto è inequivoco e non si presta ad interpretazioni alternative». Il riferimento è alla telefonata il cui Rodonò parlando con l’avvocato Galati affermava: «compare, stanotte abbiamo fatto il colpaccio con i colleghi di Bologna», rivelando all’interlocutore, secondo i giudici, «un aspetto delle indagini che non era stato reso noto, ossia il fatto che esse riguardavano il gruppo dei “Piscopisani”, cosca rivale del clan Mancuso».

Le motivazioni

Secondo la Cassazione però «né la sentenza di primo grado né quella di secondo grado indicano da quali elementi sia stata tratta questa deduzione, del tutto assente nel dialogo captato (…) né, dal punto di vista logico, si comprende quale possa essere stato il senso della presunta rivelazione, fatta a un soggetto, l’avvocato Galati, che è stato assolto dal reato di concorso esterno in una associazione di stampo mafioso, che, a sua volta, è stata ritenuta insussistente». Per la Corte di Cassazione quindi «risulta con immediata evidenza l’assoluta assenza di elementi a sostegno dell’ipotesi accusatoria, che impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con più favorevole formula di merito». Dopo oltre dieci anni, dunque, si chiude il caso e una battaglia legale che durava dal 2014. (Gi.Cu).

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