‘Ndrangheta nelle Preserre, da «killer latitante» all’archiviazione: il destino di Gaetano Emanuele
La caduta della misura cautelare e le dichiarazioni dei pentiti «poco credibili»: la Dda getta la spugna (per ora) contro il presunto boss

VIBO VALENTIA Potrebbe essere presto archiviata la posizione di Gaetano Emanuele nell’inchiesta “Habanero”, quella della Dda di Catanzaro che ha fatto luce sulle dinamiche criminali che hanno preceduto la strage di Ariola, quando il 25 ottobre 2003 nella piccola frazione di Gerocarne vennero uccisi Francesco Gallace, Giovanni Gallace e Stefano Barilari, mentre l’unico sopravvissuto fu Antonio Chiera. La stessa Distrettuale antimafia, infatti, ha chiesto il rinvio a giudizio nei confronti di 24 indagati con il giudice della terza sezione penale del Tribunale di Catanzaro, Piero Agosteo, che ha fissato l’udienza preliminare per il prossimo 30 aprile. E in questo elenco manca proprio Emanuele la cui posizione è stata stralciata.
La fuga, la consegna e la caduta della misura
Insomma, una svolta sorprendente rispetto alle premesse dell’inchiesta dell’Antimafia, con una teoria accusatoria che si è schiantata nei mesi successivi. Perché la vicenda del presunto reggente della cosca – in virtù del ruolo di luogotenente in assenza del fratello Bruno, vero capo della cosca di ‘ndrangheta omonima – è quasi da film. Il 40enne era stato raggiunto da un ordine di carcerazione firmato dal gip del Tribunale di Vibo Valentia ma, al momento della notifica dell’arresto, a casa Emanuele non c’era, facendo perdere le sue tracce per sei mesi esatti. L’8 gennaio 2025 Emanuele ha detto basta, consegnandosi ai carabinieri della Stazione di Soriano, nel Vibonese. E mentre tutti si chiedevano dove fosse finito e le forze dell’ordine hanno cercato di seguirne le tracce, in sua assenza è proseguito l’iter giudiziario, fino all’annullamento della misura di custodia cautelare all’esito del lungo tira e molla tra accusa, difesa e giudici, culminato con l’ultimo esito passato da un’aula di tribunale.
Pentiti «poco credibili»
Nell’inchiesta Habanero Gaetano Emanuele – assistito dagli avvocati Giuseppe Di Renzo e Alessandro Diddi – era sottoposto a indagini per gli omicidi di Francesco Gallace, Giovanni Gallace e Stefano Barillaro e per il tentato omicidio di Ilario Antonio Chiera, reati commessi il 25 ottobre del 2003, utilizzando dei fucili da caccia calibro 12 a pallettoni esplosi verso l’autovettura e dopo, quando questa si è fermata, gli autori si sono avvicinati e hanno sparato frontalmente. I giudici di Catanzaro hanno accolto in pieno la teoria della Corte di Cassazione secondo cui, diversamente da quanto ritenuto dal giudice del Riesame, non si poteva ritenere che le dichiarazioni rese da Forastefano fossero «equiparabili a quelle dirette» perché costituite da «confidenze autoaccusatorie ricevute direttamente dall’autore materiale del fatto». Antonio Forastefano, infatti, aveva dichiarato di avere appreso da Angelo Maiolo – mentre era latitante – che Gaetano Emanuele aveva partecipato come esecutore materiale. Si tratterebbe, secondo la Cassazione, di una informazione corretta «solo in ordine a quanto narrato da Angelo Maiolo in merito alla propria responsabilità, che ha in tal modo “confessato” al collaboratore, ma non può essere esteso alla posizione di Gaetano Emanuele». Stesso discorso per le dichiarazioni di Oppedisano. Secondo la Cassazione, «il collaboratore in ordine alla credibilità intrinseca del quale la motivazione del provvedimento impugnato è inesistente, ha riferito di un discorso avvenuto, peraltro in termini generici, circa un anno prima che venissero commessi gli omicidi».
Verso l’archiviazione
Un primo spiraglio per Gaetano Emanuele si era già aperto con la caduta l’ordinanza di custodia cautelare del 21 dicembre 2024, poi qualche giorno dopo si è materializzato dopo 6 mesi di latitanza. Disposto il suo trasferimento a Barcellona Pozzo di Gotto per svolgere attività in una casa-lavoro per un anno perché aveva eluso la libertà vigilata alla quale era sottoposto dopo la condanna definitiva a 16 anni e 11 mesi nel processo “Luce nei Boschi”, per il presunto ‘ndranghetista è vicina la chiusura di un capitolo in realtà mai aperto del tutto. Salvo sorprese per il futuro. (g.curcio@corrierecal.it)
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