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il ricordo

Un rumore di mare tra le dita

«Dentro quel vento delle assenze, dentro l’eco di quelle voci, abita Corrado Alvaro e in quel qualcosa che manca abita la letteratura»

Pubblicato il: 20/04/2025 – 11:17
di Annarosa Macrì
Un rumore di mare tra le dita

Due vote sacro, questo nostro incontro. Perché si svolge dentro un’università, e mai come oggi, da Harvard alla gloriosa Sapienza che ci ospita, le università sono spazio e palestra di resistenza ai poteri e di libero pensiero, e perché assomiglia un po’ ad una funzione religiosa, questo nostro essere insieme, in comunità di intenti, di sensibilità, e di intelletti, nel ricordo di Corrado Alvaro, nel giorno del suo centotrentesimo compleanno postumo: in realtà, poco più che sessantenne è oggi il Nostro, perché «gli scrittori nascono il giorno che muoiono», ha detto Vito Teti, che Alvaro, in Calabria, e dunque in Italia, lo conosce e lo custodisce come nessun altro, e a giusto titolo, di questa cerimonia, cadenzata di letture dei testi alvariani, della presenza autorevolmente sobria del Presidente della Calabria e dei tanti fedeli lettori di Alvaro, è il sacerdote. Mi era assai piaciuta l’idea partita appunto da Vito Teti – troviamoci sotto casa di Alvaro, alle 10, puntuali, eh, saremo quattro amici, lì a piazza di Spagna, faremo due chiacchiere, niente di ufficiale – bella l’idea, e bella soprattutto la modalità del “passaparola”: che cos’è, la letteratura, infatti, se non un passaparola? gli scrittori che si fanno passare le parole da altri scrittori, e le passano a noi, e noi che… 
Poi il maltempo, lu malu tempu, non sempre è bonu tempu, si dice dalla nostre parti, ha cambiato la sceneggiatura ed è cambiata la location. Nessun problema per chi, come noi e come lui, Corrado Alvaro, ama più della vita la favola della vita. E forse, questa, di location, a lui, sarebbe piaciuta di più. La casa di chi legge e di chi scrive non è fatta di cemento, ma di libri, dei libri che hai scritto dei libri che hai letto e di quelli che vorresti scrivere. È una casa di parole.

Le parole. Una volta Alvaro disse perentorio, ad un giornalista che lo interrogava, di non aver mai letto, figuratevi scritto, una parola, una sola parola, in esterno, chessò al mare o sotto un albero, o in stazione. Era uno scrittore e un uomo da interni, lui. E forse non gli sarebbe piaciuto molto lasciarci lì, sotto casa sua, a parlare di lui, co’ ‘sto malu tempu. Entrate, favorite, accomodatevi, queste sarebbero state le sue parole, le stesse che diceva ai tanti Calabresi che andavano a trovarlo. Le parole, certo. Che cosa resta di uno scrittore, se non le sue parole? Quelle che lui ha scritto sui giornali e nei libri, vivaddio, sono tutte ben custodite. Ma tutte le parole che ha letto, tutti i poeti, tutti gli scrittori che gli sono stati cari, tutte le lettere che gli sono entrate dentro il cuore, dove è finito tutto questo? Mi fa sempre molta impressione, quando non c’è più una persona che di libri, di romanzi, di saggi si è nutrita, pensare a dove sono finite tutte le parole che ha letto, che lo hanno commosso, impressionato, inquietato. Questo mi pare il vero impenetrabile mistero della morte di uno scrittore o di un poeta.
Le parole. Anch’io, qua, sono in veste di fedele. Fedele lettrice delle parole di Corrado Alvaro e, mi voglio allargare, indegna sua collega di giornalismo. Una aspirante praticante di prima penna in prova, al suo confronto. Lui che, l’aneddoto è notissimo, si sentì dire da suo padre, quando gli comunico che era diventato giornalista: “E che gli dico, a quelli che di San Luca adesso, se mi chiedono che lavoro fa Corrado? Se dico che fai il giornalista, loro lo sai che capiscono? che fai il giornalaio, e che figura ci faccio? meglio se gli dico che sei diventato maestro di scuola, va’”. E aveva ragione. Maestro, era Corrado Alvaro. Di una scuola di giornalismo-letteratura altissima, alla Dostoevskij (da dove nacque Delitto e castigo se non da un fatto di cronaca nera?) che rende il quotidiano eterno e il contingente universale. Come la letteratura. Quella letteratura giornalistica che gli consentiva di fare di una notizia o di un’inchiesta o di un reportage una storia universale, dentro il tempo e senza tempo.
Altro che “incartarci il pesce il giorno dopo”, con le parole che lui ha scritto sui giornali: sono là, e sono per sempre, sono letteratura.
Gliele ho chiesto in prestito, le sue parole, le ho utilizzate e gliele ho restituite, come si fa con un cacciavite, con un martello, con gli attrezzi del mestiere. O, meglio, come si fa con una chiave. C’è una porta chiusa e non sai come entrare. Scusi, posso provare con la sua chiave? le sue parole per me sono state chiavi per entrare dentro persone fatti circostanze, specialmente calabresi e, perciò, per definizione, misteriose, enigmatiche, indecifrabili. Anzi “locridee”, come disse una volta un giornalista importante, delle notizie che arrivavano al suo importante giornale, dalla Calabria. Le devi avvicinare alla luce di una lampada, guardarle da vicino come fanno i miopi e poi da lontano, come fanno i presbiti, per mettere a fuoco e cercare di capire.
Hanno arrestato Tizio. E’ una buona o una cattiva notizia? Hanno bloccato i lavori di una strada. E’ una buona o una cattiva notizia. I cittadini di questo o quel paese non vanno a votare. E’ una buona o una cattiva notizia? Ero sotto casa di Alvaro, in Piazza di Spagna, con una telecamera, per dire, quando, un po’ di anni fa, fu affissa una lapide in suo ricordo, a via del Bottino, a cura della Fondazione Alvaro. Il Prefetto di Reggio adesso l’ha commissariata, quella fondazione. Faceva poco, c’erano dentro, ha detto, persone poco raccomandabili. È una buona o una cattiva notizia? Per fortuna lo Stato c’è, o per sfortuna lo Stato c’è? Mah, una notizia locridea, devo chiedere a Corrado Alvaro. Come ho sempre fatto, ad una notizia così, e lui mi ha dato la chiave: era nei suoi libri di Alvaro. Non li ho letti tutti, i suoi libri, ma è lui che ha letto tutto di me: i miei dubbi, le mie esitazioni, i miei perché. E mi ha dato delle risposte, quando era possibile, o, molto più spesso, ha formulato meglio le mie domande, ha dato consistenza e senso ai miei dubbi: diffidate di quelli che i dubbi pretendono di toglierveli. Come i cattivi politici, o i cattivi giornalisti, o i cattivi influencer.
Lo scoprii a Milano, Corrado Alvaro, non a Reggio Calabria, dove ero nata e avevo fatto il liceo. Lui era morto da una decina d’anni e io avevo letto solo Gente in Aspromonte, circolava in casa l’edizione di Garzanti, con la copertina rossa e le scritte verdi. Mi sembrò un romanzo mitologico, epico, esotico: non sapevo niente della Calabria, come, del resto, tutti i Calabresi. Lo scoprii a Milano, quando, alla mia università, la Cattolica del Sacro Cuore, al corso di Storia della Letteratura Contemporanea, accanto a Pavese e Calvino, mi fecero studiare, non leggere, ma studiare Alvaro, i suoi libri di viaggio come letteratura.
La professoressa Ines Scaramucci, con le sue sottanone da vecchia signora dell’Azione Cattolica, era una rivoluzionaria, in fatto di letteratura: acconsentì alla mia richiesta di fare la tesi di laurea su Lorenzo Calogero, tra i mugugni di Mario Apollonio, docente di Letteratura Italiana, che diffidava della contemporaneità, e l’indifferenza di Lidia Menapace, che insegnava Storia della lingua italiana, troppo occupata in quei formidabili anni, ad occupare l’università.
E lo riscoprii di nuovo a Milano, Corrado Alvaro, quando tornai a lavorare, alla Rai, all’inizio degli anni novanta; scoprii che c’era tutta una generazione di giornalisti milanesi, notoriamente allora i più bravi d’Italia, dentro e fuori della Rai, che avevano imparato da lui. Alla lettera. Aveva diretto il primo Gr della Rai quando era la Rai, e l’azienda gli aveva dato il compito di insegnare il mestiere ai giovani giornalisti.
Anche Enzo Biagi, che divenne poi il mio maestro, imparò da lui, così confessava, dai suoi articoli e dai suoi libri; non lo aveva mai incontrato di persona, ma diceva che era il più grande scrittore e giornalista italiano, e un campione, anche di etica. E questo, credo, disse a don Massimo, il fratello di Alvaro, quando mi chiese di accompagnarlo a casa sua, durante il suo viaggio-inchiesta in Calabria per la Rai e per il Corriere della Sera; si abbracciarono come due vecchi amici e poi si parlarono, da soli, senza telecamera, e parlarono di lui, parlarono di Corrado, per non so quanto tempo; resta, per fortuna, una magnifica fotografia di quelle due teste canute, di spalle, che si raccontano. Parole, case di parole, parole come chiavi, ed ecco qua, quasi ad apertura di pagine, ecco qua le parole che Corrado Alvaro mi ha affidato questa volta, gliele ho chieste rispettosamente in prestito, perché sono tratte da una sua lettera privata, intima, a Cristina Campo, con cui, com’è noto ebbe una profonda corrispondenza d’amorosi sensi, e lui, con la sua solita generosità, me le ha affidate.

Non parlarmi con le parole.
Parlami con il silenzio!
Se il silenzio non dovesse bastare
inventa un rumore di mare tra le tue dita!

Sono altrove, ma vivo tra i fantasmi che danzano tra i miei pensieri. Da quando sono ritornato a Roma vivo di solitudini e mi fanno compagnia gli spazi di voci che giungono dalla scalinata. Trinità dei Monti. Piazza di Spagna. Non mi affaccio più. Ascolto quando è possibile ascoltare. Mi ripeto frasi già scritte.
Se la favola della vita mi interessa più della vita stessa sono convinto, forse, che l’immaginario ricostruisce la fantasia della finzione rendendo l’una e l’altra realtà dell’anima. A rincorrere la notte tra le stanze in silenzio mi sembra di ricucire ricordi di epoche. Sono sempre al loro solito posto gli oggetti. Qualcosa manca. Forse più di qualcosa. È il vento delle assenze che trascina lo sguardo tra gli spazi e le rose che scendono lunga la scalinata del nostro tempo a penetrare memorie tra le mie dita che afferrano solitudini antiche. Ho di pensieri l’aurora colma e terra battuta tra i miei occhi che osservano vele passare nel vento sui volti. Ho tralasciato gli oblii per custodire una vita. Siete qui ed ogni eco ha la vostra voce. Indissolubile sino a quando io non avrò smesso di abitarvi.
Ecco, dentro quel vento delle assenze, dentro l’eco di quelle voci, dentro il silenzio, abita Corrado Alvaro e in quel qualcosa che manca abita la letteratura, che per noi che la balbettiamo, che la sillabiamo, che proviamo persino a scriverla, è la nostra vera casa. A piazza di Spagna, dentro un’aula di una università, sul display di un telefonino, dove sto leggendo le mie parole e le sue, nell’eterno passaparola che è la favola della vita.

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