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una giornata particolare

Quella stretta di mano prima della scomunica ai mafiosi

Grazie Francesco, che in tutto il suo pontificato ci ha fatto respirare quella incontenibile libertà evangelica che continuerà ad esistere

Pubblicato il: 25/04/2025 – 11:16
di Ennio Stamile
Quella stretta di mano prima della scomunica ai mafiosi

Prima di condividere un ricordo personale dell’incontro che ho avuto con Papa Francesco che rimarrà sempre impresso nella mia memoria, approfondisco ulteriormente un aspetto che ho inteso sottolineare all’indomani della sua morte circa il suo essere “vero profeta”. Richiamando quando ci riporta il testo Biblico ricordavo che il profeta ha un triste destino: quello di essere incompreso, inascoltato e criticato da vivo e osannato da morto. A Francesco è capitato proprio questo: tutti lo ricordano e lo apprezzano ora che è “passato a miglior vita”, anche coloro che, almeno per un senso di pudore, dovrebbero tacere, perché non lo hanno mai ascoltato sui temi che a lui, sin dall’inizio del suo pontificato, gli sono stati cari: immigrazione, povertà, guerre, sfida ambientale, disarmo. Un profeta autentico, ci ricorda sempre il Sacro Testo, lo si riconosce non solo e non tanto dalla denuncia dei mali che contrastano l’immagine stessa di Dio, ma anche per alcuni gesti profetici che pone in essere. Francesco ne ha compiuti tantissimi fino alla fine, fino a quando, allo stremo delle sue forze, ha inteso visitare i carcerati. Gesti profetici tesi a far riscoprire quella piccolezza e tenerezza di Dio, spoglia da qualsisia segno di potere temporale che ne potesse offuscare la Sua vera immagine quelle manifesta da Gesù Cristo che “non ha dove posare il capo”, come ci ricorda il Vangelo di Luca (Lc 9,20). Gesù di Nazareth ha avuto piena autocoscienza di essere una persona senza protezioni, senza dimora, senza sicurezze umane, continuamente attraversando il mondo, ossia andando contro o, meglio, essendo altro rispetto a ogni estabilishment, a ogni realtà e habitus consolidati e codificati dalle norme della convenzione sociale.
Che sia stato vero profeta, Francesco, paradossalmente, lo dimostra anche il fatto che il suo dire ed il suo agire non è stato mai finalizzato a ricercare apprezzamenti da parte di nessuno, soprattutto dello zoccolo duro che ancora resiste all’interno della Chiesa, i cosiddetti “conservatori”. Ma di cosa, mi chiedo? Della casta? Di un potere temporale da esercitare per sentirsi superiori agli altri? Non si legge forse nel Vangelo «chi vuol essere il primo sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti» (Mc 9,35)? Sempre nel Vangelo troviamo un’espressione che forse più di ogni altra ci fa apprezzare la figura profetica di papa Francesco: «guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo, infatti, agivano i loro padri con i falsi profeti» (Lc 6,23). Di persone che hanno parlato contro di lui, ad intra ed ad extra, ne abbiamo sentite molte. Qualcuno anche mostrando orgogliosamente una t-shirt con una scritta: “Benedetto XVI è il mio papa”. Quel leader politico, ora Ministro della Repubblica, commentava così la scritta: “A noi quelli che invitano in chiesa gli imam non piacciono. Benedetto aveva idee chiare sull’immigrazione”. Non era ancora esplosa l’era dell’intelligenza artificiale, ma persisteva ancora (e persiste) l’era della deficienza naturale.
Francesco ha saputo incarnare la piccolezza di Dio, partendo sempre da ciò che è povero ed insignificante agli occhi del mondo che, ieri come oggi, rifugge la minorità prediligendo sogni di potere e di gloria. Forza profetica quando in quel giugno del 2014 venne in Calabria, terra di ‘ndrangheta che fa registrare un alto numero di familiari delle vittime innocenti e pronunciò la famosa “scomunica ai mafiosi”. Ricordo che ebbi la fortuna di stringergli la mano quando volle che assieme a lui, a incontrare i familiari delle vittime innocenti delle mafie giorno 20 marzo 2014 – vigilia della XIX Giornata nazionale della memoria e dell’impegno nella chiesa di San Gregorio VII a Roma – ci fossero anche i sacerdoti che facevano parte di Libera. Ero a pochi passi da lui e ricordo il suo atteggiamento, ricurvo su stesso durante la lettura di quei quasi mille nomi. Ha dato a tutti, me compreso, l’impressione che attraverso ogni nome si facesse vicino ai familiari con compassione e tenerezza. In detta occasione pronunciò un discorso breve ma profondamente incisivo: «Il desiderio che sento è di condividere con voi una speranza, ed è questa: che il senso di responsabilità piano piano vinca sulla corruzione, in ogni parte del mondo… E questo deve partire da dentro, dalle coscienze, e da lì risanare, risanare i comportamenti, le relazioni, le scelte, il tessuto sociale, così che la giustizia guadagni spazio, si allarghi, si radichi, e prenda il posto dell’inequità. So che voi sentite fortemente questa speranza, e voglio condividerla con voi, dirvi che vi sarò vicino anche questa notte e domani, a Latina – pur se non potrò venire fisicamente, ma sarò con voi in questo cammino, che richiede tenacia, perseveranza».

Cocò Campolongo

Alla fine, passò a salutare i sacerdoti presenti sul presbiterio della chiesa. Non andammo noi, venne lui a salutarci uno ad uno, a dirci con una semplice stretta di mano, “grazie per la vostra vicinanza ai familiari delle vittime innocenti”. Ricordo che nello stringergli la mano gli dissi “Santo Padre si ricordi della Calabria”. Ebbe un sussulto quasi come se fosse stato colto di sorpresa. Capii quell’atteggiamento, che mi lasciò adire il vero un po’ perplesso, solo qualche mese dopo, quando si diffuse la notizia che sarebbe venuto in Calabria, nella Diocesi di Cassano allo Jonio, terra tinta del sangue innocente di Cocò Campolongo, che a soli tre anni era stato barbaramente ucciso il 16 gennaio di quello stesso anno, a colpi di pistola assieme al nonno ed alla compagna del nonno. Quando mi strinse la mano aveva già in mente di venire in Calabria, di rompere ancora una volta i protocolli, di pronunciare quelle parole forti di scomunica contro i mafiosi, per fargli comprendere il dolore provocato dalla violenza senza scrupoli che non si ferma neanche dinanzi a un bambino di soli tre anni. Grazie Francesco, in tutto il tuo pontificato ci ha fatto respirare quella libertà evangelica che, nonostante la si voglia a volte soffocare o ingabbiare da chi preferisce la logica del compromesso, della cautela, per evitare di provocare contrasti, incomprensioni o divisioni, continuerà ad esistere semplicemente perché, oltre duemila anni di storia non sono riusciti a contenerla. Buona festa della liberazione a tutti.

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