Come si fa a dire che nel nostro paese non esiste il lavoro nero? Uno studio della Cgil ha riscontrato un’alta incidenza di precariato e di “part time”: cioè impieghi meno retribuiti che sono la causa del “lavoro povero” nel nostro Paese. E non si tratta di poche decine di unità; la Cgil ha accertato, attraverso i dati raccolti dall’Inps, che sono ben 6 milioni di lavoratori sparsi in tutte le regioni che percepiscono fino a mille euro netti al mese. Le cause di tanto malcostume le ha raccolte il sindacato che ha così potuto stabilire che le cause del “lavoro povero” facendone una graduatoria, (i datisi riferiscono all’anno 2024): i dipendenti a tempo indeterminato percepivano salari per 28.540 euro; quelli a tempo determinato ne percepivano 10.320 e i “full time” 28.508″; mentre quelli a tempo determinato non superavano i 10.320 euro; i full time 29.508 e i part time 11.785 euro. Circa sei milioni “viaggiano” al disotto dei 15 mila euro all’anno. Ciò determina la bassa intensità lavorativa. Ecco perché la Cgil si batte perché venga rivisto il salario minimo orario, portandolo a nove euro l’ora. Ma il Governo Meloni avrebbe vanificato la proposta, senza tenere in conto che avrebbe determinato un “salario dignitoso”, escludendo il rischio della “povertà lavorativa”. Sarebbe sufficiente porsi il problema che l’aumento dei salari contribuirebbe non soltanto a concedere un salario dignitoso, quanto ad evitare il rischio della povertà, disincentivando le imprese a competere con i bassi salari e dando “energie” alle famiglie.
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