È stato consigliere regionale della Calabria, ma non ha mai cercato rifugi nel conformismo politico. Giuseppe Giudiceandrea, avvocato, è un uomo che porta con sé una storia importante. Figlio di Rita Pisano, tra le figure più luminose e indimenticabili della sinistra calabrese, ha scelto di restare dentro le contraddizioni del proprio tempo, di difendere idee scomode e persone fragili. Lo abbiamo incontrato per riflettere su un tema attuale: il senso della giustizia e il ruolo dell’avvocato in un Sud ferito, spesso abbandonato. Di recente, Giudiceandrea ha partecipato a una presentazione del libro “Non esistono cause perse. Gli avvocati e la strada”, scritto da Antonio Mumolo e Giuseppe Baldessarro. È stata un’occasione per interrogarlo: non già sull’attualità politica, ma sulla funzione civile della professione forense.
Che cosa significa fare l’avvocato oggi, in una società in continua trasformazione e in un territorio come la Calabria? Quali sono i problemi principali?
«Credo che non ci siano grandi differenze nell’esercizio della professione forense fra le varie regioni d’Italia. Al netto della difficoltà generalizzata nell’economia, che inevitabilmente si ripercuote anche sulla nostra professione. Il nuovo processo telematico e la normativa Cartabia hanno reso la nostra professione molto più asettica e tecnica, con una notevole riduzione di tempi e termini per la risoluzione delle vertenze. Nel diritto penale le innovazioni tardano ad essere applicate».
Qual è l’aspetto più complesso del suo lavoro in una regione con una forte presenza criminale che soffre anche di una diffusa carenza di lavoro e opportunità economiche?
«Ad oggi, le sembrerà strano, la difficoltà maggiore è quella di riuscire a trovare qualcuno che voglia farlo il mestiere di avvocato. Pochi laureati e pochissimi quelli che decidono di dedicarsi alla professione forense. E le difficoltà non sono legate alla presenza della criminalità organizzata, ma alla povertà di risorse economiche».
Le recenti riforme, introdotte con l’obiettivo di snellire i processi e migliorare l’efficienza del sistema, sono davvero un passo avanti verso una giustizia più equa e rapida, oppure rischiano di compromettere oltremodo i diritti dei cittadini, soprattutto nelle aree più svantaggiate?
«Le innovazioni apportate dal processo telematico consentono agli avvocati che lo vogliano di seguire le loro vertenze anche in tribunali lontani. La riforma Cartabia sta inevitabilmente poi portando una netta riduzione dei tempi di giustizia. In alcuni casi, però, la velocità e la fretta, accanto al risultato numerico positivo, portano con sé’ un margine di minore attenzione alla “giustizia” intesa come capacità di discernere il bene dal male. Occorre misura e tanta dedizione e spesso, con enorme fatica, riusciamo a dare una mano all’affermazione di una giustizia “giusta”».
La Calabria è spesso considerata una “periferia giudiziaria”, con tribunali sovraccarichi e una cronica mancanza di risorse. Qual è, secondo lei, il ruolo dell’avvocato nel supplire a queste carenze strutturali? Come, poi, la politica dovrebbe intervenire per colmare questi vuoti?
«Direi che se si guarda nei tribunali delle grandi città si comprende, invece, come la Calabria sia un’isola felice oggi sotto questo punto di vista. Gli organici di Tribunali e Giudici di pace, anche se a fatica, riescono a tenere il passo con la domanda di giustizia attuale. Diverso è ciò che succede a Napoli o Torino, ad esempio, dove gli uffici del Giudice di pace vedono fissare le udienze con rinvio anche oltre l’anno. Assumere nuovi Giudici di pace potrebbe essere la soluzione, magari mettendo le posizioni a concorso non solo per pensionati della pubblica amministrazione come avvenuto fino a qualche anno fa».
Lei è stato consigliere regionale in Calabria. Crede che la politica regionale abbia fatto abbastanza per garantire l’accesso alla giustizia ai cittadini calabresi? Che cosa servirebbe, in concreto, per rafforzare i presìdi di legalità nei territori più fragili?
«Credo che le amministrazioni regionali non abbiano alcun potere nel campo della giustizia. Certo, la politica regionale avrebbe potuto opporsi con maggiore decisione e vigore alla chiusura di alcuni presìdi di giustizia come il tribunale e la procura della Repubblica di Corigliano-Rossano. Oggi, farebbe la metà del suo dovere, poi, se si battesse per la riapertura di quel luogo di tutela dei diritti, peraltro nella città più popolosa della provincia».
In una terra non di rado segnata da soprusi, prepotenze e violazioni dei diritti, come si può restituire fiducia nelle istituzioni giudiziarie? Che ruolo possono giocare, al riguardo, i giovani avvocati che si affacciano alla professione?
«Un giovane musicista rap originario di Cosenza cantava che bisognerebbe avere “la conoscenza come scudo ed il sorriso come spada” per combattere contro i vari mali della nostra terra. Ai giovani avvocati consiglio di studiare molto per rendere più solida la loro conoscenza e sorridere dinnanzi alle difficoltà che, dall’alto della scienza, diventano sempre più piccole e vincibili».
C’è una richiesta silenziosa di giustizia che arriva dalla strada, dalla voce dei cittadini che reclamano dignità e rispetto delle leggi. Ritiene che la politica stia ascoltando davvero queste richieste? Come si può migliorare il dialogo tra istituzioni e società civile?
«Viviamo in un periodo storico di enorme difficoltà e i primi a farne le spese sono come al solito i più vulnerabili. Il governo attuale del Paese e le democrazie occidentali, troppo spesso in mano a ricchi e potenti uomini molto poco affascinati dal welfare, sono sordi al grido dei propri concittadini e a quello dei bambini vittime di guerre e soprusi. Crede davvero che sia migliorabile il dialogo fra costoro e chi ha bisogno senza una vera e propria rivoluzione culturale? Io penso di no. E se continua così la prima a farne le spese purtroppo sarà proprio la democrazia, demagogicamente ritenuta inutile».
L’Intelligenza artificiale è oggi un vantaggio per gli avvocati? Lei teme che in un futuro non lontano possa soppiantare le professioni intellettuali?
«Sono sempre stato convinto che l’elemento umano nella macchina sia necessario, imprescindibile. Ma la presenza, alla guida, di uomini come Musk fa vacillare anche le mie certezze. Per il resto la tecnologia al servizio della giustizia non può che essere vista soprattutto nei suoi aspetti positivi di ottimizzazione di tempi e di qualità del lavoro».
Che cosa immagina, in futuro, per la professione forense in Calabria? Quali innovazioni o cambiamenti ritiene necessari per garantire maggiore tutela legale e un più efficace contrasto delle organizzazioni criminali e delle ingiustizie sociali?
«L’avvocato è un eroe del nostro tempo, in troppi casi mal pagato e all’indice, ma sempre pronto, per scelta consapevole, al sacrificio personale per il rispetto di sé e della propria dignità. Speriamo in un aumento delle passioni e delle iscrizioni all’Albo».
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