VIBO VALENTIA Nel piano di “resurrezione” della sanità calabrese c’è un buco nero, un limbo in cui dottori, medici, commissari ed esperti si perdono: la provincia di Vibo Valentia, con una Asp sciolta tre volte per infiltrazioni mafiose e in passato anche teatro di drammatici casi di malasanità. Su tutti, il caso di Federica Monteleone, la 16enne che morì per un blackout durante un intervento di appendicite, che scosse l’intera comunità nel 2010. «Se ci fosse stato il nuovo ospedale mia figlia sarebbe ancora viva» disse la madre Mary Sorrentino. Una fotografia drammatica dello stato della sanità vibonese, perché da quel giorno poco è cambiato: Vibo aspetta ancora il nuovo ospedale (anche se, questa volta, sembra essere quella giusta) e la situazione sanitaria resta altrettanto critica.
Lo ha messo nero su bianco nella sua lettera conseguente le dimissioni, il primario di ginecologia Vincenzo Mangialavori. «Gravi criticità strutturali e gestionali» ha denunciato, specificando che la sua decisione non è collegata ai due eventi tragici delle ultime due settimane, la morte di Martina Piserà (dopo quella del figlio), e quella di dieci giorni dopo del bambino che portava in grembo una donna di origine maliana. Episodi che richiamano quelli più (relativamente) remoti di Tiziana Lombardo, morta dopo il parto nel 2017 con il caso che arrivò in tribunale, e la tragedia di Donatella Labate nel 2000, quando a soli 20 anni morì insieme al figlio che portava in grembo. Le dimissioni di Mangialavori arrivate in concomitanza delle due recenti tragedie hanno scosso ancora più l’ambiente sanitario vibonese, anche in virtù delle lamentele lasciate nella lettera e riprese dal primario emerito di neurologia Domenico Consoli. «Questo è il tempo della testimonianza» ha affermato mostrando vicinanza al primario dimissionario e ribadendo la necessità che siano gli stessi sanitari a prendere una posizione rispetto a una politica «silente, inefficace o ignava».
Consoli, nella sua lunga lettera in cui parla di «una classe medica di livello» in confronto a un management con «il preminente obiettivo di far quadrare i conti», definisce i cittadini vibonesi «i più poveri tra i poveri». Perché oltre ad una sanità calabrese con numeri decisamente peggiori rispetto agli standard nazionali, quella vibonese risulta ancora più deficitaria: «1,47 posti letto per 1000 abitanti nella provincia di Vibo Valentia, rispetto ai 3,53 di Catanzaro e ai 2,6 di Crotone; con 0.36 letti per post-acuti per 1000 abitanti contro i 1.32 di Crotone e una media regionale di 0.6/1000 abitanti; con 17 strutture complesse (Unità operative ovvero Divisioni o Reparti) contro i 19 di Crotone, i 78 di Reggio Calabria, i 101 di Catanzaro, gli 87 di Cosenza, con finanziamenti per l’ospedalità privata (dati 2018) fino a 60 milioni circa per la provincia di Cosenza, 57 milioni per Catanzaro, 33 milioni per Crotone e 4.780.268 per Vibo Valentia». «A fronte di dati di questo tipo (senza eccedere in commenti), il rituale, consolidato e cronico atteggiamento dei decisori è che a chi più ha più sarà dato, e a chi non ha sarà tolto anche il poco che possiede». Dati simili a quelli denunciati dal rapporto firmato da 18 sindaci della provincia: una situazione drammatica per cui «è indispensabile una totale inversione di tendenza». Per questo una presa di posizione, aggiunge in conclusione, deve arrivare proprio dai medici in trincea, «non carnefici, ma forse vittime di un sistema da stravolgere e che richiede la comprensione e la solidarietà della popolazione». E i problemi non si fermano ai posti letto: carenza di personale sanitario, tra infermieri e oss non sufficienti – come denunciato anche dal sindacato Nursind per l’ospedale Serra San Bruno -, locali inadatti e necessità di reparti (come psichiatria) che non ci sono.
Un malumore nei confronti di chi gestisce l’Asp condiviso anche dall’osservatorio civico Cittàattiva in una lettera a firma delle avvocate Daniela Primerano, Francesca Guzzo e Ornella Grillo. Nel riportare la notizia del debito ridotto dall’Asp, il gruppo civico aggiunge che «del resto sono le logiche di bilancio ad orientare le scelte di chi amministra un’Azienda, ma quando si tratta di un’Azienda Sanitaria si corre il rischio che le decisioni di spesa prevalgano sui bisogni sanitari. E’ proprio il termine ‘Azienda’, del tutto inappropriato, che può trarre in inganno chi ragiona solamente con i numeri, senza calarsi nella realtà. Chi gestisce una ‘Azienda’, da intendere come Struttura sanitaria, per poter essere considerato all’altezza del compito che deve svolgere, deve innanzitutto garantire il diritto alla salute». Insomma, sotto accusa da ogni fronte la gestione manageriale dell’Asp, un ente tre volte sciolto per mafia e complesso da amministrare, da pochi mesi in mano alla terna commissariale che ha l’arduo compito di provare a salvare il più grande “malato” della Calabria: il sistema sanitario vibonese. (Ma.Ru.)
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