La strage di Capaci e il dovere della memoria tra gli studenti Unical
Magistratura, forze dell’ordine e mondo accademico all’incontro organizzato da Giancarlo Costabile, docente di pedagogia dell’antimafia

RENDE Più di 250 studenti in religioso silenzio, in un caldo pomeriggio di un venerdì, con l’ateneo in smobilitazione: anche questo può essere un tributo alle vittime della mafia oltre che una conferma dell’importanza della memoria presso le nuove generazioni. È l’iniziativa organizzata nell’aula Solano da Giancarlo Costabile, docente di pedagogia dell’antimafia all’Unical che ha invitato, in occasione del 33º anniversario della strage di Capaci, esponenti della magistratura, delle forze dell’ordine e del mondo accademico.
Memoria sovversiva
«La memoria è sovversiva» ha esordito Costabile citando gli esempi di Tonino Bello, prete antimafia, ma anche le parole di Monsignor Savino. Poi il ringraziamento ad Antonio Nicaso, docente di storia delle organizzazioni criminali alla Queen’s University di Kingston in Canada, «figura che – ha commentato Costabile – con Nicola Gratteri ha creato non il mito dell’invincibilità del potere mafioso mo una storiografia che è strumento di studio anche per le nuove generazioni. L’antimafia – ha concluso introducendo i lavori – non è una manifestazione ma un impegno, un sacrificio».
Dopo le introduzioni di Francesco Raniolo, protettore dell’Unical, e Rossana Rossi coordinatrice del corso di studio unificato in scienze dell’educazione e scienze pedagogiche, sono iniziate le relazioni degli ospiti: il filo conduttore è stato l’approccio alla «memoria come pratica quotidiana consapevole» e non momento puramente celebrativo: «Ricordare non basta – ha detto Rossi – bisogna educare», di qui importanza della pedagogia e di un patto educativo largo che coinvolga forze dell’ordine e magistratura.
Il ricordo personale di Mommo e Capomolla
Parte da qui l’accorato dettagliato excursus di Andrea Mommo, comandante provinciale dei carabinieri, che non a caso cita la celebre frase dello scrittore siciliano Gesualdo bufalino secondo il quale la mafia poteva essere sconfitta da un esercito di maestri elementari. L’intervento di Mommo copre l’arco temporale che va dal secondo dopoguerra alla seconda guerra di mafia in Sicilia per arrivare alla stagione delle stragi del 1992, periodo in cui si stagliano figure come quella del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e delle tante altre vittime di mafia – sindacalisti, giornalisti, politici – che hanno pagato il loro impegno con la vita. «Dopo la strage di via D’Amelio – racconta Mommo con commozione – presi la decisione di lasciare la marina e di diventare ufficiale dei carabinieri».
Anche Vincenzo Capomolla, procuratore di Cosenza, non si sottrae al momento autobiografico riportando che nel giorno della strage di Capaci stava tornando dal concorso in magistratura a Roma, nella cui commissione d’esame sedeva proprio Francesca Morvillo, moglie del giudice Falcone e tra le cinque vittime dell’attentato.
«Iniziative come queste – ha detto il magistrato – sono importanti per trasmettere esempi ai ragazzi e creare coscienze critiche. Sono incoraggiato dall’impegno dei giovani, non sempre preda delle lusinghe della criminalità organizzata, e della loro passione nel ricordare figure credibili che hanno pagato con il martirio il loro sacrificio contro le illegalità». Poi Capomolla ha menzionato «l’ecletticità e duttilità delle mafie», senza dimenticare le novità tecnologiche e le professionalità che le mafie cercano di attrarre per avvalersene, di qui il suo richiamo a una «etica della responsabilità» nell’esercizio delle proprie competenze lavorative, da non mettere a disposizione del crimine.
Nicaso e quel primo scioglimento per mafia
Per Nicaso una «lunga e colpevole sottovalutazione», quasi «un’amnesia collettiva» ha portato alla mancata vittoria della battaglia contro le mafie, dopo le due precedenti che hanno visto la sconfitta prima del brigantaggio e poi del terrorismo. Per il docente e saggista calabrese le mafie sono un segno di quella che definisce «patologia del potere».
Poi menziona il primo processo per «associazione di malfattori», celebrato nel 1862, soroprendentemente a Bologna: solo 120 anni dopo, nel 1982, nascerà il reato di associazione di stampo mafioso.
Nella ricca aneddotica di Nicaso, che rapisce il giovane uditorio, anche un’altra vicenda poco nota: le elezioni del 1869 a Reggio Calabria, dove, nella contesa tra i due schieramenti, i filo-borbonici e i latifondisti, entrarono in scena le bande malavitose assoldate dai secondi e guidate da un De Stefano antenato della famiglia di mafia nota anche ai nostri giorni: fu quello il primo caso di scioglimento del consiglio comunale da parte di un prefetto quando ancora non esisteva la legge.
A proposito del periodo fascista, Nicaso fa notare che «Mussolini sconfisse solo la mafia degli stracci» benché sempre negli anni venti per la prima volta compaia la parola ‘ndrangheta in un rapporto dei carabinieri, dunque è possibile retrodatare la prima menzione del termine di almeno una trentina d’anni rispetto a Corrado Alvaro. Poi la sua panoramica arriva all’oggi: dall’hacker assoldato per gestire e controllare da remoto il narcotraffico nel porto di Aversa ai broker che operano in Romania o in Belgio fino all’indagine Glicine Acheronte e alla ‘ndrangheta al nord.
A Gianluigi Greco, direttore del dipartimento di matematica e informatica, tocca trarre le conclusioni delle quasi tre ore di dibattito. Il suo ricordo di quindicenne è meno nitido rispetto a chi ha parlato prima di lui, ma riporta le emozioni per il discorso che ascoltò in televisione durante i funerali delle cinque vittime dell’attentato di Capaci, in cui Rosaria Costa, moglie dell’agente Vito Schifani, pronunciò parole che scossero le coscienze e che in un certo senso passarono alla storia contemporanea del nostro paese. Poi Greco parla della «grandissima responsabilità dell’Unical in una terra difficile e bellissima come la Calabria. Non dobbiamo solo coltivare le eccellenze – dice l’esperto di intelligenza artificiale – ma contaminare le visioni in un ateneo pluralistico dove ingegneria e medicina sono importanti, sì, ma lo è anche la formazione di generazioni di maestri ed educatori. Siamo fieri di voi. Immaginare una nuova classe dirigente era il sogno di Andreatta che noi dobbiamo, sempre più, portare avanti». (euf)

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