LAMEZIA TERME Nel carcere di Palermo c’era chi gestiva e comandava ogni piano assegnato. Un sistema “paralegale” che non era stato definito e imposto dagli agenti penitenziari, ma da esponenti della criminalità organizzata. È un elemento emerso dall’inchiesta della Distrettuale antimafia di Palermo, quella eseguita dai Carabinieri del Comando provinciale di Palermo, insieme alla Polizia Penitenziaria del capoluogo e di Padova, con l’esecuzione di 12 misure cautelari – sette nei confronti di persone già detenute – accusate di corruzione, accesso indebito di dispositivi idonei alla comunicazione, associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga, spaccio di sostanze stupefacenti. L’inchiesta della Dda palermitana avrebbe fatto luce su un traffico di sostanze stupefacenti e telefonini all’interno del carcere palermitano di “Pagliarelli”.
Chi “gestiva” le aree più importanti dell’istituto penitenziario, oltre ad essere di elevato spessore criminale e diretta promanazione del potere mafioso, era a capo di una sorta di organizzazione piramidale e verticistica. Un sistema che veniva imposto e fatto rispettare attraverso il ricorso alla violenza ed alla intimidazione. All’interno del penitenziario palermitano, dunque, si sarebbe creato un clima di connivenza da parte degli altri ristretti, sia perché intenzionati a trarne un profitto personale, ma anche perché intimiditi dalla forza e dalla pericolosità dell’associazione. Due tra i più attivi membri del sodalizio sarebbero stati Vincenzo Cannariato e il calabrese Salvatore Castiglione, entrambi raggiunti dalla misura firmata dal gip, Claudia Rosini.
Salvatore Castiglione indicato come “Totò il calabrese” sarebbe «socio stabile di Cannariato nel traffico di sostanze stupefacenti», annota il gip al capo d’imputazione, «approfittando entrambi del ruolo di “spesini”, i quali poi si avvalevano di un altro “Totò” del primo piano per la commissione dei pestaggi a danno di altri detenuti». Classe 1965 di Crotone, Castiglione è detenuto in esecuzione a condanne irrevocabili per “resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale”, fino all’aprile del 2026. Per come ricostruito dagli inquirenti, poi, il trasporto all’interno dell’istituto a cura di un agente della penitenziaria colluso poteva riguardare – indifferentemente o congiuntamente – droga, telefonini e anche, eventualmente, altri beni la cui circolazione interna è limitata o vietata.
Oltre ai racconti forniti da alcuni collaboratori di giustizia, c’è anche una conversazione captata il 2 gennaio del 2024 al primo piano reparto Mari del carcere. A parlare sono i detenuti palermitani Cannariato e Alario mentre al centro del discorso c’era proprio la ripartizione del potere all’interno dell’istituto. «Al primo piano ci sono i palermitani (…) al terzo piano ci sono i calabresi!». Tuttavia, per come è emerso dall’inchiesta, fra tutti i detenuti dei vari piani, nonostante le “influenze”, i rapporti erano continui e difatti i palermitani «erano sovente costretti a rifornirsi dai catanesi», loro stabili al reparto “Ionio”, così come pure questi ultimi dai palermitani.
Dalle intercettazioni, sia video che audio, sarebbe emerso poi come il calabrese e il palermitano «discutevano di alcuni pestaggi disposti per punire un detenuto per questioni inerenti al traffico di stupefacenti» effettuato all’interno del carcere. Già a fine anno 2023 venivano registrate conversazioni indicative nell’appartenenza del Castiglione al gruppo dedito allo spaccio di sostanze stupefacenti. Come, ad esempio, l’episodio del 16 novembre 2023, quando veniva registrata una conversazione intercorsa fra i detenuti Vincenzo Cannariato, Salvatore Castiglione e Paolo Francesco Cardinale (cl. ’66) detto “u zuoppu”, finito agli arresti domiciliari, nel corso delle quali «veniva cristallizzata la consegna di un pacchetto di colore nero», riporta il gip nell’ordinanza che l’assistente lanciava sul balcone, allontanandosi subito dopo. «Quindi Cardinale avvisava i detenuti di una imminente perquisizione della sezione detentiva, programmata dall’Ufficio Comando ed a cui lui stesso avrebbe dovuto prendere parte». Secondo l’inchiesta, infatti, il pubblico ufficiale sarebbe entrato nel dettaglio ed avrebbe offerto «alcune informazioni decisive ai fini elusivi, spiegando le modalità e le tempistiche usuali di intervento dell’aliquota del Reparto di Polizia Penitenziaria». (g.curcio@corrierecal.it)
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