La ‘ndrangheta «affaristica» del Vibonese: i legami con istituzioni e imprenditori
La Dia “fotografa” la situazione in provincia di Vibo: almeno 12 locali, l’egemonia del clan Mancuso «alleato e interlocutore delle cosche reggine»

VIBO VALENTIA Inchieste, sentenze e scioglimenti che nel 2024 hanno certificato la presenza della ‘ndrangheta nel Vibonese. Una «mafia affaristica», come viene definita nell’annuale relazione della Direzione Investigativa Antimafia, con legami con imprenditori e istituzioni locali. Al vertice resta il predominante clan dei Mancuso di Limbadi, non solo «punto di riferimento» criminale del territorio, ma anche «un alleato e solido interlocutore delle cosche reggine», soprattutto quelle della Piana di Gioia Tauro. Una fotografia della ‘ndrangheta la offrono le motivazioni della sentenza di primo grado di Rinascita Scott, oltre 2200 anni di carcere inflitti a più di 300 imputati.
Un controllo capillare e asfissiante del territorio
La sentenza, sottolinea la Dia, conferma «le cointeressenze tra uomini dei clan e rappresentanti dell’imprenditoria e delle istituzioni locali». Nella provincia vibonese una vera e propria «mafia affaristica, che da anni costituisce il marchio di fabbrica delle consorterie criminali calabresi». Dal processo emergono anche «le logiche di assoggettamento della popolazione» attuata dalle singole ‘ndrine tramite «un controllo capillare ed asfissiante del territorio» al fine di raggiungere gli obiettivi criminali. Viene poi ulteriormente confermata l’unitarietà della ‘ndrangheta, con l’autonomia delle cosche vibonesi riconosciuta dal Crimine di Polsi, al quale comunque si rivolgono in caso di controversie o problemi interni.
12 locali individuati
La Dia propone una mappa gerarchica della ‘ndrangheta vibonese: ben 12 locali riconosciuti in provincia, a loro volta sotto articolati in ‘ndrine e famiglie criminali. Se i Mancuso continuano ad essere egemoni, nel locale del capoluogo è ancora saldo il potere dei Lo Bianco-Barba, «attivi particolarmente nel centro storico» mentre il resto della città è spartito con i Pardea-Ranisi e i Pugliese “Cassarola”. È radicata, invece, la presenza della cosca Patania a Stefanaconi, comune tra l’altro sciolto per infiltrazioni mafiosi in seguito ai dettagli emersi dall’operazione Petrolmafie, in cui «è emerso è emerso il sostegno fornito da alcuni indagati a soggetti riconducibili alla predetta amministrazione comunale». Stessa sorte toccata al Comune di Tropea, dove è influente la cosca dei La Rosa, e all’Asp vibonese, sciolti rispettivamente ad aprile e settembre dello scorso anno. A Sant’Onofrio, accanto Stefanaconi, è presente il clan dei Bonavota, ormai “emigrati” anche al Nord, con ramificazioni in Piemonte.
Le ‘ndrine delle Preserre e della Costa
Duramente colpite dall’inchiesta Habanero, scattata a giugno dello scorso anno, le ‘ndrine dell’entroterra vibonese. Il cosiddetto locale di Ariola, operante nel territorio di Gerocarne, Acquaro, Arena e in generale tutte le preserre vibonesi, dove sono presenti diverse famiglie. Alcune di queste anche in forte contrasto tra loro, come Maiolo-Loielo-Emanuele, oltre ai “Viperari” e agli Altamura. Lungo la Costa degli Dei operano i Bonavita-Melluso-Barbieri, famiglie che fanno riferimento al locale di Zungri capeggiato dalla cosca Accorinti. Anche i già citati La Rosa di Tropea svolgono un ruolo importante nel turismo, essendo ritenuti «espressione dei Mancuso lungo il litorale». Infine, la Dia cita i Cracolici, cosca operante a Maierato ma dislocata anche a Filogaso e Maida, finiti nel mirino dell’operazione Artemis che a novembre ha postato all’emissione di 59 misure cautelari. (ma.ru.)
Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato