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LA LENTE DI EMILIANO

Sila Scienza e il futuro che manca: una nuova visione per la salute, la politica e il territorio

Una rete integrata di sanità pubblica e privata, di ricerca scientifica e iniziativa culturale, di assistenza clinica e promozione del benessere psicosociale

Pubblicato il: 08/06/2025 – 6:57
di Emiliano Morrone
Sila Scienza e il futuro che manca: una nuova visione per la salute, la politica e il territorio

In un’Italia che parla di salute solo quando la sanità collassa, il festival “Sila Scienza” di Cotronei è parso una bella e felice eccezione. Senza autoreferenzialità, si è concretizzata un’esperienza di scienza partecipata: studiosi, amministratori e cittadini si sono riconosciuti parte di una stessa comunità di destino. Alla sua seconda edizione, la manifestazione ideata dalla scienziata Domenica Taruscio – esperta mondiale di malattie rare e originaria proprio di Cotronei – ha riportato al centro il concetto ancora poco diffuso di One Health: la salute non è tanto un problema di ospedali e dipende piuttosto dal rapporto tra ambiente, alimentazione, cultura e benessere spirituale. Codesta visione nasce nelle accademie e può vivere nei territori. A partire dalla Sila, che potrebbe diventare laboratorio nazionale di un nuovo modello di prevenzione e integrazione sanitaria.
Le relazioni del festival – in particolare quella della ricercatrice Raffaella Bucciardini, dell’Istituto superiore di sanità – hanno mostrato che la sanità è tutt’altro che neutra. Essa dipende infatti dalla distribuzione delle opportunità sociali, dal grado di istruzione, dalla condizione lavorativa, dal contesto urbano o montano in cui si nasce e si vive. È la lezione dei princìpi di Marmot, fondati sull’equità in salute: non basta curare, occorre invece agire sulle cause sociali e strutturali delle malattie, ridurre le diseguaglianze tra individui e territori, intervenire fin dall’infanzia per riequilibrare le condizioni di partenza. Bisogna cioè invertire la distrazione e l’indifferenza, perché, come ricordava il teorico della giustizia John Rawls, «le diseguaglianze sono accettabili solo se migliorano la condizione dei più svantaggiati».

Calabria terra svuotata di giovani e competenze

La Sila è oggi il teatro naturale per mettere in pratica questa rivoluzione silenziosa. Che non è da bollare d’ufficio – per pigrizia intellettuale – quale utopia da romanzo, ma è da accogliere come risposta concreta alla crisi del Servizio e del sistema sanitario, ai ritardi strutturali della Calabria. Nel contesto, pubblicata sul portale Open Calabria, una recente analisi di Francesco Aiello, professore ordinario di Politica economica nell’Unical, fornisce lo sfondo più realistico delle condizioni territoriali e rafforza il nostro ragionamento: 30 anni di declino della forza lavoro, tassi di inattività tra i più alti d’Europa, disoccupazione mascherata da scoraggiamento, fuga di capitale umano. Oggi – e per cause remote – la Calabria è una terra svuotata di giovani e competenze, in cui la salute risente di una vulnerabilità sociale estesa e stratificata. Eppure, di questa vulnerabilità, come hanno evidenziato i materiali del Sila Scienza, non si parla quasi mai; nemmeno quando si progettano piani sanitari o si sprecano milioni di euro in infrastrutture disgiunte dalla realtà umana e ambientale dei luoghi.
È in questo scenario che il modello One Health, come formulato dall’Oms e dai ricercatori internazionali, si rivela una bussola: una visione integrata che riconosce l’interdipendenza tra salute umana, salute animale e salute degli ecosistemi. Allora la Sila può interpretare codesta strategia con coerenza e innovazione: grazie all’aria salubre, alla qualità dell’ambiente, alla presenza di cliniche private convenzionate e alla possibilità di trasformare l’ospedale pubblico di San Giovanni in Fiore in un ospedale spoke, sempre pubblico, in collegamento con la medicina territoriale.

Le idee per una rete integrata

Qui, nel cuore montano della Calabria, da Savelli a Cotronei, da San Giovanni in Fiore a Castelsilano, può nascere una proposta nazionale: una rete integrata di sanità pubblica e privata, di ricerca scientifica e iniziativa culturale, di assistenza clinica e promozione del benessere psicosociale. Nello specifico, i Comuni diventano “ombrelli” di equità sanitaria, come suggerisce la rete nazionale Codiss, cui Cotronei ha già aderito. Si tratta di un’alleanza interistituzionale per portare la salute nei territori più fragili, per costruire risposte comunitarie ai determinanti sociali della malattia. Il modello di Diderichsen, citato durante il festival di Cotronei, chiarisce che le diseguaglianze non sono affatto un destino come molti pensano. Esse si producono invece, aspetto spesso trascurato, lungo una catena che va dalla vulnerabilità all’esposizione ai rischi, fino agli esiti sanitari. Rompere questa catena significa agire sulla cultura, sull’istruzione, sul lavoro. E significa riconoscere – come ammoniva lo scienziato Renato Dulbecco, nativo di Catanzaro – che «la ricerca è l’unico investimento che può salvare il futuro di una società». Oggi investire vuol dire anche decentralizzare: portare la conoscenza fuori dai salotti, metterla a servizio delle comunità, sperimentare nei territori soluzioni nuove.

Medicina, biodiversità, scuola, agricoltura e arte

Non è un caso che il Sila Scienza abbia intrecciato medicina, biodiversità, scuola, agricoltura e arte. Né lo è che si sia parlato di alimentazione come prevenzione, di spettacolo come strumento di benessere, di partecipazione come terapia sociale. «La verità non è mai data una volta per tutte – ricordava il compianto Gianni Vattimo – ma è un’esperienza che accade nell’incontro tra le persone». In questo senso, il festival è stato un atto politico: ha rotto la narrazione di una Calabria immobile, ha proposto un’alternativa, ha mostrato che un altro modo di pensare la sanità – e dunque la politica – è possibile. Oggi, più che mai, serve difatti una svolta nella visione pubblica della salute, dati il programma di riarmo dell’Unione europea, i vincoli di bilancio imposti dall’euro e la contrazione della spesa sociale a favore di logiche securitarie e speculative. Perciò, i territori interni possono e devono diventare hub di resilienza democratica: luoghi dove si sperimenta ciò che nei palazzi romani si dimentica. La Sila può quindi essere un presidio di pensiero, un laboratorio di integrazione sanitaria, un motore di rinascita civile.

Una grande rete silana della salute e della cultura

La proposta è sul tavolo: costruire una grande rete silana della salute e della cultura, fondata sul principio di equità, sulla centralità della prevenzione, sull’interazione tra pubblico e privato, sulla valorizzazione delle comunità locali. Un’Azienda ospedaliera montana unica, come proposto dal comitato civico “La Cura”, potrebbe gestire con efficienza e progettualità i presìdi esistenti. Eventi di arte, musica e spettacolo potrebbero contribuire al benessere psicosociale e al turismo di qualità. E la formazione di operatori sanitari e sociali nei luoghi stessi della fragilità potrebbe generare occupazione, dignità e senza dubbio speranza. Sarebbe un atto di coraggio, certo. Ma soprattutto sarebbe un atto di giustizia.
Come diceva Corrado Alvaro, «la libertà è come la salute: se ne conosce il valore solo quando manca». (redazione@corrierecal.it)

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