A Gioia Tauro da De Masi l’antiretorica del procuratore Musolino
Demolisce colleghi populisti, commissariamenti per mafia e circuiti massonici. Attualità di Giannino Losardo e Peppe Valarioti

COSENZA È accaduto qualcosa di travolgente in Calabria. Qualcuno ha detto delle grandi verità in modo inatteso. L’iniziativa di mercoledì scorso a Gioia Tauro “Favuriti”, (accomodatevi in italiano, voto 10 al titolo) organizzata da Nino De Masi nel suo opificio difeso dagli artigli della piovra non è stata né messa cantata e nemmeno una passerella di professionisti dell’antimafia militante e di quella di facciata. Pietro Comito l’ha condotta da par suo, lui che con De Masi ha scritto assieme il libro biografia dell’imprenditore sotto assedio da 13 anni nelle pagine di “Inferi”.
Il format, come dicono quelli moderni, era originale. Tra i tanti due magistrati sullo stesso palco con il governatore Occhiuto hanno mostrato inedite regole d’ingaggio in tempi di inchiesta giudiziaria in corso. La notizia rilevante però non è venuta da quello che svetta sulle aperture di siti e giornali con i duelli a distanza tra iene alleate dei falchi contro colombe miste a belle gioie con le loro reciproche verità preconcette. La notizia inattesa è stata a mio parere l’intervento del procuratore aggiunto della Dda reggina, Stefano Musolino, e fa piacere che il collega del Corriere della Calabria, Antonino Casadonte, l’ha saputa cogliere ed evidenziare nel suo resoconto che mi ha indirizzato ad ascoltare l’intervento integrale del procuratore reggino.
C’è un magistrato a Reggio Calabria che non s’intruppa nel pensiero unico, non sale sul piedistallo inquisitorio, ma pensa, dice, e parla nel dibattito pubblico come è lo stato delle cose reali in Calabria. È stato come vedere un film neorealista sentire le riflessioni di Musolino, magistrato lontano da ossequio al potere e che non segue (ipse dixit) “autorevoli colleghi” che ritengono che la loro azione sia la palingenesi (rigenerazione in senso letterario e religioso) della politica. Ecce toga. Musolino afferma dal palco di De Masi che il riscatto della Calabria non può venire dal magistrato d’assalto o dal togato che vuol diventare uomo solo al comando mescolando Robespierre e populismo. Il riscatto deve arrivare dai calabresi. L’antiretorico Musolino afferma che non abbiamo bisogno di eroi vittime ma di una Calabria normale dove il magistrato ai convegni possa ascoltare quello che si dice in quarta fila senza essere protagonista sul palco.

Mai avevo sentito da molti anni in Calabria un magistrato difendere le libertà civili e le prerogative costituzionali in modo così netto. Mi sono tornate in mente le pagine di Franco Ippolito e gli interventi di Renato Greco nel sentire Musolino disintegrare il commissariamento dei comuni calabresi per infiltrazione mafiosa affermando che ci sono “paesi senza democrazia da anni”. C’è un magistrato democratico a Reggio Calabria e non tira a campare come avviene in Calabria.
A Gioia Tauro Musolino ha parlato dei Piromalli ma in modo vero e nuovo. Evidenziando che nel nostro piccolo mondo se sei carcerato devi trovare una soluzione al detenuto che sconta la pena. E se sei parente, amico, conoscente e compare dell’affiliato tu devi lavorare. E se lavoro non trovi e sei contiguo allora sarai costretto ad aprire un attività economica che per il cognome e la storia che porti accetti il rischio che ti infliggeranno un’interdittiva. Un’economia senza rimedio. Una misura che porta a niente.

Le verità di Musolino che all’uditorio ricorda che il sessanta per cento della sua generazione è andato via dalla Calabria e anche quella dei figli andrà via per dispari opportunità. Il magistrato ammonisce: «Non saranno i nostri arresti a salvare la Calabria». Ringrazia le qualificate forze dell’ordine sempre poche a servizio di procure calabresi, le quali devono operare in tutt’Italia e nel mondo a causa della ‘ndrangheta globale e che avrebbero bisogno di maggiori mezzi e di molti più uomini. È segnante anche il procuratore di Vibo, Camillo Falvo, sul palco quando afferma che «la Calabria non è più quella di prima, una terra stritolata dalla ‘ndrangheta, abbiamo tanta imprenditoria, prima c’erano sul palco tanti rappresentanti di questo mondo che possono essere modelli per il futuro e per i giovani».
A Gioia Tauro che si candida a Capitale italiana della cultura (comunque vada anche questo è un buon segnale) dei magistrati hanno delineato lo scontro tra bene e male.
Perché l’assennato Musolino non dimentica il suo ruolo di procuratore aggiunto e ci ricorda quello che ben sappiamo, ovvero che circuiti massonici inquinano la pubblica amministrazione e i meccanismi imprenditoriali e le modalità attraverso cui si seleziona personale sono condizionati da appartenenze losche. E anche al Porto di Gioia Tauro il magistrato si chiede “perché alcuni sono privilegiati, quali sono i criteri per la scelta, come si assumono i lavoratori”. Sindacati, politica di ogni colore, autorità portuale niente da dichiarare? Forse dovremmo intervistare qualcuno dei Piromalli come faceva l’immenso giornalista Gio’ Marrazzo? Altra stagione, meglio andare ad ascoltare in privato un magistrato calabrese di altra geografia che in via confidenziale e rigorosamente anonima sugli stessi temi affrontati da Falvo e Musolino mi dice: «In Calabria quando apri una indagine il primo problema non è la segretezza, la mafia, l’omertà, ma i collegamenti degli indagati con le forze dell’ordine e la magistratura. Sono protezioni dirette e indirette che in modo strisciante iniziano a farti l’esposto che poi qualche amico porterà avanti e così mentre dovresti pensare a fare il tuo lavoro devi impiegare il tempo a giustificarti o, peggio, a difenderti. E poi magari dopo un po’ li trovi questi signori a fare il questore e il capo di un ufficio importante. Questa è la lotta alla mafia di cui nessuno parla».
C’è nuova lotta alla mafia da raccontare. Quella del giudice Musolino che ci mette faccia e voce va tenuta in gran considerazione.
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I giornalisti Giulia Zanfino e Gianluca Palma e il filmmaker Mauro Nigro calabresi nel 2023 hanno fondato la Ugly Films, una casa di produzione indipendente e hanno prodotto e realizzato due film documentari “Chi ha ucciso Giovanni Losardo?” e “Medma non si piega”. Hanno riportato alla luce gli omicidi di due militanti comunisti uccisi dalla ‘Ndrangheta, Giannino Losardo a Cetraro e Peppe Valarioti segretario della sezione di Rosarno. Omicidi impuniti e senza colpevoli. La trasmissione “Chi l’ha visto” ne ha preso spunto (voto otto) per raccontare due delitti eccellenti del 1980 avvenuti a pochi giorni di distanza. Abbiamo visto nel servizio televisivo il boss anziano Franco Muto al balcone degli attuali arresti domiciliari voglioso di parlare ma impossibilitato a dichiarare, abbiamo sentito il figlio di Losardo rievocare le ultime parole del padre morente “sono stati quelli di Cetraro”. Hanno intervistato la fidanzata di Valarioti e sentito Peppino Lavorato urlare a 87 anni che significava essere nel 1980 comunisti contro la ‘Ndrangheta. È storia d’Italia nascosta quella di Losardo e Valarioti uguale a quella di Portella della Ginestra e al pasoliniano romanzo delle stragi italiane.
Che dei giovani calabresi nel 2025 l’abbiano dissotterrata dall’oblio con le loro opere audiovisive è un segno di resistenza e di rinascita democratica.
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Salvini ha visitato il ponte sullo Stretto di Akashi, in Giappone, il secondo ponte sospeso più lungo al mondo, e ha scritto sui social: «Il ponte sullo Stretto sarà ancora più imponente». Aspettando l’inizio dei lavori già più volte annunciati e mai iniziati.