«Grazie Salvino, cammineremo ancora verso i nostri paesi e i loro mille altrove»
«Ci lascia un immenso grande “ultimo” di un universo unico e irripetibile, come quello dei Greci di Calabria, che lui sapeva inserire nella storia e dell’antropologia, nella lingua e nelle culture de…

«Salvino camminava con quel passo lento e inconfondibile, spesso con la giacca sulle spalle, con quello sguardo intenso che si liberava in un sorriso le volte che incontrava un amico. Anche lui, come Alvaro, camminava, come il calabrese che deve ancora fare tanta strada. Ma non aveva fretta, aveva i tempi di una cultura che sapeva aspettare e resistere, aveva il garbo e la sobrietà di chi cammina con leggerezza e amore su questa terra. Con Salvino ci lascia un immenso grande “ultimo” di un universo unico e irripetibile, come quello dei Greci di Calabria, che lui sapeva inserire nella storia e dell’antropologia, nella lingua e nelle culture della Magna Grecia e della Grecia, di quel Mediterraneo mobile, grandioso dove era sorta la nostra “civiltà”, le nostre identità plurali e ariose. Salvino aveva assistito alla fine del suo mondo, di un mondo. Era stato uno degli ultimi bambini a lasciare la sua Choria di Roghudi, dopo le grandi alluvioni, che con la complicità di uno Stato lontano e assente, cancellavano definitivamente quei paesi dove ancora si parlava la lingua di Omero e dei greci arrivati nei secoli. Salvino negli anni avrebbe elaborato il lutto della perdita di tutto il suo mondo con lo studio, la poesia, la scrittura, con uno scavo intenso e laborioso nelle parlate, nelle parole, nelle culture che egli riportava in vita, salvava dall’oblio, rendeva memoria viva per il presente. Nei nostri viaggi in Grecia, a Delfi, a Crissò cercavamo, in maniera diversa, i nostri antenati, ma non per rinchiuderli nel mito, ma come persone vive che dovevano accompagnare nel confuso tempo presente, dove spesso, come con amarezza diceva Salvino, la memoria, le lingue, le culture venivano usate per favorire mode, apparenze, esibizioni, interessi. Salvino non aveva conventicole, non amava salotti, era un irregolare, un sovversivo che sarebbe piaciuto a Pasolini. E però, con generosità, competenza, dedizione di chi sente che ha una missione e che accoglienza e ospitalità non sono slogan o retorica, ma caratteri dell’anima della sua gente, non si sottraeva al suo piacere e dovere di essere testimone, ardo, missionario di una cultura millenaria. Assolveva questa sua missione con semplicità, gioia di dare, felicità di rendere partecipi gli altri del bello e del sacro che aveva ereditato, raccolto, elaborato. Il suo paese vuoto, le pietre, la caldaia del Drago, le acque, le Nereidi, le naidi, le piante, le erbe, le capre, i sentieri, le vie dei canti, a saperlo seguire nel suo candore di bambino, che rifiutava globalizzazione e omologazione, che invece amava scambi, dialoghi, rapporti veri, a saperlo ascoltare, tutto diventava fiaba, realtà, vita vissuta, gioia, dolore e per tutti noi dono, ammonimento, esempio, atto di amore. Per questo, scrivo a caldo da un cellulare mentre aspetto qualcuno che amo in una sala di Ospedale, penso che questo grande ultimo, questo amico fraterno è generoso, sia in realtà il primo di un mondo nuovo che possiamo sognare anche grazie a lui. Per questo penso che io e tantissimi altri dobbiamo rendere omaggio e onore a uno dei migliori figli del Sud e del Mediterraneo di questi anni nebulosi e tristi. Grazie Salvino, cammineremo ancora verso i nostri paesi e i loro mille altrove».
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